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venerdì 22 febbraio 2013

I miei standards preferiti: Speak Low (1943)


Questo standard, considerato una delle più belle canzoni d'amore di tutti i tempi, venne musicato dal compositore tedesco Kurt Weill, su testo del poeta statunitense Ogdan Nash, noto soprattutto per i suoi versi anticonvenzionali e spiritosi.
Un testo decisamente originale e suggestivo

Speak low when you speak love 
Our summer day withers away too soon, too soon 
Speak low when you speak love 
Our moment is swift, like ships adrift, we're swept apart, too soon 
Speak low, darling, speak low 
Love is a spark, lost in the dark too soon, too soon. 

I feel wherever I go 
That tomorrow is near, 
Tomorrow is here and always too soon, 
Time is so old and love so brief 
Love is pure gold and time a thief. 

We're late, darling, we're late, 
The curtain descends, everything ends too soon, too soon. 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, speak love to me and soon... 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, 
Slow to me, oh please, 
Just don't say no to me 
Let it flow to me, slow to me 
Soon...Soon...Soon... 
Ooo...Soon...Darling, speak low to me 
Darling, speak slow to me... 
Oh, oh, oh!


Kurt Weill. celebre per le sue collaborazioni con Bertold Brecht negli anni '20 (Opera da tre soldi, Ascesa e caduta della città di Mahagonny, ...) con l'avvento del nazismo, essendo ebreo fu costretto a lasciare la Germania. Nel 1937 arrivò a New York dove cominciò a comporre musica per gli spettacoli di Broadway.


Speak Low venne scritta per un musical di grande successo One Touch of Venus dal quale venne tratto anche un film dallo stesso titolo (in italiano Il bacio di Venere) interpretato da Ava Gardner in cui canta il brano doppiata dalla cantante Eileen Wilson. 
La prima versione discografica di successo venne realizzata da Frank Sinatra nel 1945


Il successo fu immediato e duraturo grazie anche al film che consacrò Ava Gardner come star di prima grandezza. 


Da allora il brano venne ripreso sia in versione vocale, sia in versione strumentale da moltissimi artisti fino ai giorni nostri.
Tra le numerose versioni vocali, in prevalenza femminili, una delle più interessanti è quella latineggiante realizzata da Billie Holiday nel 1956 per la Verve, accompagnata dalla chitarra di Barney Kessel, dal sax di Ben Webster e dal piano di Jimmy Rowles.


Molto diversa per ritmo e atmosfera, ma altrettanto interessante, è la versione realizzata Live a Chicago nel 1958 da Sarah Vaughan accompagnata dalla sola sezione ritmica, comprendente Roy Haynes alla batteria, Richard Davis al basso e il poco noto, ma bravissimo, Ronell Bright al piano.



Dopo Billie e Sarah, per par condicio, non possiamo tralasciare la versione della terza regina: Ella Fitzgerald realizzata nel 1983 con il chitarrista Joe Pass



Molte altre cantanti famose da Anita O'Day a Carmen McRae, da Dianne Schurr a Barbra Streisand, da Dee Dee Bridgwater a Dianne Reeves, solo per citarne alcune, si sono cimentate nel tempo con questo motivo. Fra le versioni più recenti, a mio avviso, merita di essere ricordata quella elegante del grande vecchio Tony Bennett in compagnia della giovane talentuosa Norah Jones.


Una citazione particolare merita il video seguente nel quale il contrabbassista Charlie Haden si esibisce in assolo su un nastro in cui Kurt Weill esegue al piano e canta la sua canzone. Un'esecuzione veramente suggestiva.




Numerose sono state negli anni anche le versioni strumentali ed alcune fra le più interessanti vengono qui riproposte. La prima è quella del quartetto di Gerry Mulligan con Chet Baker del 1953 nella quale tromba e sax baritono si fondono con grande maestria.


Diversa ma altrettanto pregevole è la versione realizzata nel 1958 dal quintetto del sassofonista Hank Mobley con Lee Morgan alla tromba, Wynton Kelly al piano, Paul Chambers al basso e Carl Pership alla batteria. Interresante confrontare il lirismo di Baker con il calore di Morgan. Molto intenso anche l'assolo di Mobley.



Più o meno nello stesso periodo John Coltrane ne incise un'altra originale versione con il sestetto del pianista Sonny Clark comprendente anche Donald Byrd alla tromba, Curtis Fuller al trombone, Paul Chambers al basso e Art Taylor alla batteria.



Un'altra eccellente interpretazione è quella tratta dall'album Crosscurrents del 1977 del trio di Bill Evans assieme a Lee Konitz al sax alto e Warne Marsh al sax tenore. Il bassista è  Eddie Gomez ed alla batteria c'è Elliot Zigmund.



Anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo brano. In particolare ricordiamo la strepitosa versione di Massimo Urbani nel suo doppio LP Dedication to A. A. & J. C. - Max Mood del 1980 in cui, alla sua maniera, si ispira a quella di Coltrane. Lo accompagnano Luigi Bonafede al piano, Furio Di Castri al basso e Paolo Pelegatti alla batteria.


In tempi più recenti il quintetto del batterista Roberto Gatto, nel suo secondo CD dedicato a Shelly Manne, ne propone una bellissima versione con in evidenza il sax di Max Ionata e la tromba di Marco Tamburini.


Concludiamo infine questo breve excursus con la voce della compianta Mia Martini, che incluse questo brano nella sua unica esperienza jazzistica Live, in cui era accompagnata da Maurizio Giammarco. Da quell'esperienza venne realizzato nel 1991 l'album Mia Martini in Concerto.

giovedì 28 giugno 2012

I miei standards preferiti: I Can't Get Started (1936)

In questi giorni GEROVIJAZZ compie 6 anni, infatti nacque sulla piattaforma Splinder verso la fine di giugno del 2006, poi lo scorso novembre si è trasferito su Blogger spostandovi anche la maggior parte delle pagine realizzate negli anni, che con il post di oggi arrivano a 190. Per celebrare questo anniversario ho pensato di continuare con la serie degli standards, visto l'elevato gradimento riscosso dal post precedente. 


I Can't Get Started nacque nel 1936 dalla penna di Vernon Duke per la musica e di Ira Gershwin per il testo, destinato alla rivista musicale Ziegfeld Follies di quell'anno e nella quale era cantato da Bob Hope, ma il picco della popolarità lo raggiunse l'anno successivo grazie ad una strepitosa versione realizzata dal trombettista Bunny Berigan (1908-1942)


ancora oggi considerata una delle migliori versioni mai realizzate, tale da meritarsi circa quarant'anni dopo l'inserimento nella Grammy Hall of Fame.



Oltre alla qualità della musica la canzone piacque anche per il testo particolare; Ira Gershwin aveva presente che a cantarla sarebbe stato un comico, Bob Hope e cercò di realizzare una storia divertente e attuale per l'epoca con riferimenti ad eventi e personaggi del momento (la guerra civile in Spagna, il presidente Roosevelt, Greta Garbo).

Dattiloscritto originale di Ira Gershwin contenente la prima stesura del refrain della canzone.


Il successo ottenuto da Berigan indusse molti altri artisti a cimentarsi con il brano. L'anno seguente Billie Holiday e Lester Young ne realizzarono un'altra versione eccellente, la prima al femminile, (la protagonista il tè lo prende con Robert Taylor anziché con Greta Garbo).


All'epoca i due erano all'apice della forma e della popolarità ed il feeling fra loro era ottimo. Ne uscì un'interpretazione che non aveva nulla da invidiare a quella di Berigan, con un assolo di Lester da manuale.
Negli anni successivi il brano venne ripreso non solo il forma vocale e costituì la palestra per interpretazioni di grande livello come quella del trombettista Clifford Brown con il quintetto di Max Roach del 1954,




o quella del pianista Lennie Tristano, che ne realizzò nel 1946 una versione intimistica in trio con Billy Bauer alla chitarra e Clyde Lombardi al basso, che evidenziava la dolcezza della melodia.



Lester Young riprese spesso il brano dopo la versione presentata in precedenza, qui lo ritroviamo nel 1946 in un concerto della serie Jazz at the Philarmonic con altri eccellenti solisti, primo fra tutti Charlie Parker


Negli anni si ebbero anche molte versioni vocali sia maschili che femminili, nelle quali il testo originale veniva di volta in volta modificato o attualizzato. Nel 1959 Frank Sinatra ne incise una versione molto lenta e pensosa nel suo famoso LP della serie Capitol No One Cares, con un testo completamente diverso dall'originale.


Jazzisticamente parlando tuttavia le interpretazioni più interessanti sono quelle strumentali in cui i solisti si cimentano in assolo spesso interessanti come nel caso del quintetto di Charles Mingus qui proposto registrato dal vivo nel 1959 (dall'LP Mingus in Wonderland) in cui prima John Handy al sax alto e poi Mingus ci  offrono momenti di straordinaria emozione. 


Altrettanto interessante è la seguente interpretazione dei Jazz Messengers di Art Blakey con John Gilmore al sax tenore e Lee Morgan alla tromba realizzata nel 1966 per la BBC.


In anni più recenti un altro talentuoso artista Wynton Marsalis si è cimentato nel 2008 con questo brano accompagnato dalla soave voce di Shirley Horn. Un'altra stupenda interpretazione degna di essere ricordata.



Negli anni anche molti musicisti italiani si sono cimentati con questo celebre brano, da Nunzio Rotondo a Enrico Peranunzi, da Enrico Rava a Franco Cerri solo per citarne alcuni. Per concludere proponiamo l'interpretazione che nel 1959 ne dette il sestetto Basso-Valdambrini, uno dei gruppi che in Italia hanno fatto la storia del jazz.






martedì 27 dicembre 2011

I miei standards preferiti: I Remember Clifford (1957)

Questo brano è sicuramente il più famoso canto funebre del jazz. Venne scritto dal sassofonista Benny Golson, profondamente colpito per la prematura scomparsa nel 1956 a soli 25 anni, del quasi coetaneo collega Clifford Brown, astro emergente della tromba. Di seguito un raro video di Clifford Brown ripreso un anno prima dell'incidente.




Benny Golson all'epoca suonava con l'orchestra di Dizzy Gillespie e racconta che quando appresero la notizia dell'incidente automobilistico in cui persero la vita oltre a Brown anche il pianista Richie Powell, fratello di Bud, e la moglie, stavano suonando all'Apollo Theatre di New York.

benny golson



La notizia sconvolse tutti i musicisti, molti dei quali piangevano mentre suonavano. Da quell'emozione scaturì l'ispirazione a Golson per questo splendido brano che venne eseguito per la prima volta nel 1957 proprio dall'orchestra di Gillespie. Nel video seguente Dizzy Gillespie l'esegue al Festival di Newport nel luglio dello stesso anno.





L'anno seguente Golson venne chiamato da Art Blakey a far parte dei Jazz Messengers, ed il brano entrò stabilmente nel repertorio del gruppo. Di quel periodo è il video seguente con Lee Morgan alla tromba e lo stesso Golson al sax. Il pianista è Bobby Timmons.





Nel 1961 a Parigi Don Byas e Bud Powell, accompagnati da Pierre Michelot al basso e Kenny Clarke alla batteria, ne registrarono una struggente versione. L'esecuzione di questo brano per Powell aveva un significato speciale in quanto in quell'incidente perirono anche suo fratello e la cognata.



Il brano, negli ultimi 50 anni, è diventato una delle composizioni più eseguite e più amate al mondo e grazie ai versi scritti da Jon Hendricks è stata eseguita anche da molti cantanti. Fra le varie versioni vocali in circolazione, a mio parere, quella di Helen Merrill, che con Brown aveva realizzato uno splendido disco, è una delle più sentite. La tromba è quella di Roy Hargrove.





Nel 1986, nel 30° anniversario, Keith Jarrett riprende il brano e con il suo trio e ne da una lettura che ne evidenzia la straordinaria liricità e bellezza







Ancora oggi il brano è spesso eseguito dai musicisti contemporanei come dimostrano i due successivi video. Nel primo troviamo Fabrizio Bosso in un concerto con Italian Big Band di Marco Renzi al teatro Petruzzelli di Bari lo scorso anno.






Infine il giovane trombettista cubano Gendrickson Mena con il sestetto di Gianni Cazzola ripresi a Busto Arsizio lo scorso maggio.



mercoledì 14 dicembre 2011

Il "Messsaggio" dei Jazz Messengers

Repost from Splinder (22 feb. 2008)


Quest'anno ricorrono i 50 anni della prima storica tournée europea di Art Blakey con i Jazz Messengers, così ho pensato di rievocare, a grandi linee, la storia di questo gruppo che all'epoca divenne un mito per gli appassionati.
I Jazz Messengers sono stati la formazione più longeva della storia del jazz, anche se negli oltre 35 anni di vita al suo interno si sono avvicendati, intorno al leader Art Blakey (1919-1990), decine e decine di giovani musicisti, molti dei quali sono poi divenuti a loro volta leaders di propri gruppi. Una vera fucina di talenti che ha lanciato molti artisti, successivamente diventati protagonisti.
Alcuni nomi: Clifford Brown, Donald Byrd, Kenny Dorham, Lee Morgan, Freddie Hubbard, Woody Shaw, Wynton Marsalis, Terence Blanchard fra le trombe, Lou Donaldson, Benny Golson, Hank Mobley, Jack McLean, Wayne Shorter, Bobby Watson, Bradford Marsalis, fra i saxes, Horace Silver, Bobby Timmons, Cedar Waldron, Keith Jarrett, Cick Corea, McCoy Tyner fra i pianisti, solo per citare i più noti.
L’idea di mettere insieme un gruppo per trasmettere un “messaggio” musicale forte nacque dall’incontro fra un musicista ormai affermato come Art Blakey e un talento emergente, il giovane pianista di origini caraibiche: Horace Silver (1928). La casa discografica Blue Note aveva appena messo sotto contratto Silver e per le prime incisioni decise di affiancargli un batterista ormai affermato come Blakey, reduce da alcune significative esperienze con Thelonious Monk e Miles Davis.
I due entrarono subito in sintonia, così nacque l’idea di realizzare qualcosa d’innovativo. Dopo circa 10 anni il BeBop aveva perso la spinta propulsiva iniziale e con il Cool Jazz la musica bianca (Lennie Tristano, Lee Konitz, Stan Kenton, Gerry Mulligan, Stan Getz) stava tornando a prendere il sopravvento. Il progetto musicale tendeva a rivitalizzare il “messaggio” del BeBop semplificandolo e cercando di evidenziarne la “negritudine”, richiamandosi sia allo spiritualismo del gospel, sia al carattere profano dei blues. Questi riferimenti più coinvolgenti facevano sì che quel messaggio, che l’osticità del BeBop aveva reso troppo elitario, fosse più comprensibile e popolare.
Nel febbraio del 1954 i due ottennero una scrittura al mitico Birdland, sulla 52nd Street, e si presentarono con un gruppo che, oltre a Curley Russell al basso, il quale aveva già preso parte ad una delle sedute di registrazione del precedente disco, comprendeva due giovani talenti come Clifford Brown alla tromba e Lou Donaldson al sax tenore. Questo gruppo, pur non presentandosi come tale, in realtà fu il prototipo di quelli che saranno i Jazz Messengers. Quell’esperienza venne immortalata in due LP Blue Note: A Night In Birdland, ancora oggi considerati una delle massime espressioni della creatività artistica del gruppo che ha dato origine ad una straordinaria stagione musicale.
Da quella esperienza di lì a poco si dirameranno tre filoni che costituiranno la spina dorsale della nuova corrente definita HardBop: i Jazz Messengers di Art Blakey, il quintetto di Clifford Brown e Max Roach e il quintetto di Horace Silver. Infatti dopo la scrittura al Birdland Clifford Brown lasciò il gruppo per andare con Max Roach. 
Silver invece restò ancora per un breve periodo con Blakey e venne costituito un nuovo gruppo con Kenny Dorham alla tromba, Hank Mobley al sax e Doug Watkins al basso. Il gruppo registrò un nuovo album a nome di Silver in cui compariva il termine Jazz Messengers.


Il disco ripetè e confermò il successo della formula, che si concretizzò con una tournée che si protrasse per diversi mesi. È possibile avere una testimonianza di quel periodo ascoltando altri due storici albums Blue Note: The Jazz Messengers at the Cafe Bohemia.
Di lì a poco la collaborazione fra Blakey e Silver si interruppe, I musicisti rimasero con Silver, mentre Blakey uscì mantenendo la titolarità del marchio Jazz Messengers e costituì un nuovo gruppo con Billy Hartman alla tromba e Jack McLean al sax. La nuova formazione però non era all’altezza della precedente, la mancanza di Silver si faceva sentire e di lì a poco il gruppo di sciolse. Per tornare ad avere un gruppo all’altezza del precedente dovrà passare un altro anno.
Finalmente nel 1958 Blakey riunì una nuova formazione comprendente il bassista Jimie Merritt, il giovane trombettista Lee Morgan, appena ventenne, ma già da alcuni anni sulla scena jazzistica e reduce da una collaborazione con John Coltrane per l’album Blue Trane, e soprattutto il pianista ventitreenne Bobby Timmons, valido compositore (suo il Moanin’ che dà il nome al primo album del nuovo gruppo) ed il tenorsassofonista Benny Golson, talentuoso compositore e arrangiatore che darà una nuova impronta al gruppo riportandolo al successo.
Di quel periodo è il primo video scelto, che ci propone una delle prime versioni del famoso brano I Remember Clifford, straordinario e commovente epitaffio per il grande trombettista Clifford Brown, scritto proprio da Benny Golson, brano che diventerà uno degli standards più eseguiti dai jazzisti di tutto il mondo.


Verso la fine del 1958 il gruppo effetuò la sua prima tournée in Europa (Francia, Olanda, Belgio, Svizzera e Germania) ottenendo ovunque grande successo, particolarmente a Parigi dove si esibì in una serie di concerti, tutti esauriti, sia all'Olympia sia al Club St. Germain.
Quell'anno in Francia era uscito un film che diventerà un cult per gli appassionati di jazz: Ascenseur pour l'Echafaud (Ascensore per il patibolo) del regista Louis Malle con la colonna sonora di Miles Davis, che aveva ottenuto un grande successo ed aveva dato l'avvio ad una stagione di film di genere noir con la colonna sonora realizzata da jazzisti americani di passaggio a Parigi.

Blakey e i suoi musicisti vennero anche scritturati per la colonna sonora del film Des Femmes Desparraissent (infelicemente tradotto I Vampiri del Sesso), un fumettone degno di essere ricordato solo per la bella colonna sonora composta da Art Blakey e Benny Golson.






Nel complesso la tournée fù un trionfo e l'eco di questo successo giunse anche in Italia grazie ai dischi, alcuni dei quali riportavano parte dei concerti più importanti.






















All'epoca io avevo una ventina d'anni, e ricordo ancora di aver ascoltato alla radio brani come Blues March o Moanin' rimanendone favorevolmente impressionato. Moanin' divenne anche la sigla di una allora popolare trasmissione radiofonica sul jazz di cui ora non ricordo il nome (Musica in bianco e nero, forse!)

Poco dopo il rientro negli USA Benny Golson lasciò i Jazz Messengers per unirsi ad Art Farmer e formare un nuovo complesso, quel Jazztet che presto diventerà un altro storico gruppo di quegli anni.
Questa uscita, per fortuna, non ebbe un gosso impatto in quanto il posto di Golson venne preso dal un giovane talento: Wayne Shorter (1933), che assunse subito la direzione musicale del gruppo, senza far rimpiangere il predecessore. La formazione nei quattro anni in cui fu presente Shorter ebbe gradualmente diversi cambiamenti al piano dopo Timmons siederanno prima Walter Davis jr. poi Cedar Walton, Morgan verrà sostituito da un altro giovanissimo Freddie Hubbard (1938) al basso arriverà Reggie Workman ed infine al gruppo verrà aggiunto un trombone quello di Curtis Fuller. Questa, a mio giudizio, è stata la più felice formazione mai messa inseme da Blakey.

Quella stagione può essere apprezzata dai due prossimi video: uno realizzato nel 1959 all'Olympia di Parigi, in cui il gruppo esegue il famoso Blues March, la qualità del video è scarsa ma consente di percepire l'entsiasmo del pubblico parigino, alla tromba c'è ancora Lee Morgan e al piano Davis jr..






Il video sucessivo è del 1963, realizzato dalla RAI, e documenta la prima venuta in Italia dei Jazz Messengers per partecipare al Festival del Jazz di San Remo. La formazione e quella del sestetto sopra descritto e il brano è Moanin'.






Verso la metà del 1964 Wayne Shorter venne chiamato da Miles Davis per entrare a far parte di quel famoso quintetto cui ho dedicato un post in precedenza.(qui)

Il gruppo si sciolse e per Blakey cominciò una difficile stagione, ricostituì il gruppo con altri musicisti che via via andavano avvicendandosi, ma mentre in tournée continuava ad avere grande successo soprattutto in Europa e in Giappone, aveva difficoltà contrattuali con le case discografiche, pertanto di quegli anni esistono pochissime registrazioni.
Anche gli anni '70 furono caratterizzati da alti e bassi. Le formazioni migliori furono quelle con Woody Shaw (1972-73) e con Bobby Watson (1977-81), tuttavia bisogna aspettare il 1980 affinché il gruppo torni sulla cresta dell'onda, grazie all'arrivo di un giovanissimo trombettista il diciannovenne Wynton Marsalis che diventerà presto famoso grazie alle sue straordinarie qualità tecniche.
Il video che segue ci mostra il nuovo gruppo, oltre a Blakey ed a Marsalis ci sono il Bradford Marsalis al sax alto, Billy Pierce al sax tenore, Donald Brown al piano e Charles Fambrough al basso.




Raggiunta rapidamente la celebrità Marsalis si metterà in proprio e Blakey dovrà rimettere insieme altri giovani. La nuova formazione sarà ancora interessante come mostra l'ultimo video che propongo realizzato a Umbria Jazz nel 1985. Alla tromba abbiamo Terence Blanchard, al sax alto Donald Harrison, al sax tenore Jean Touissant, al piano Mulgrew Miller e al basso Lonnie Plaxico.







Dopo questa formazione che si sciolse nuovamente dopo un paio d'anni Blakey continuò fino alla morte avvenuta nel 1990 a portare in giro per il mondo la sua musica con sempre nuovi musicisti. Gli appassionati ricorderanno la sua ultima apparizione a Umbria Jazz del 1989.