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venerdì 7 giugno 2013

I miei standards preferiti: A Ghost of a Chance (1932)


Questa celebre canzone, il cui titolo completo era I Don't Stand a Ghost of a Chance with You, venne scritta nel 1932 appositamente per Bing Crosby, che collaborò anche alla stesura del testo, dal paroliere Ned Washington (autore di celebri brani come: Stella by Starlight, The Nearness of You, I'm Getting Sentimental Over You, ecc.), su musica dell'altrettanto famoso compositore Victor Young (autore fra l'altro di My Foolish Heart, Johnny Guitar, ecc., e soprattutto di decine di celebri colonne sonore). All'epoca Crosby era la star più popolare di tutto il mondo dello spettacolo ed intorno a lui ruotava il meglio dello show business. La foto lo ritrae con l'attrice Carol Lombard.



Il disco ebbe un successo straordinario, raggiungendo i vertici delle classifiche, e ne venne realizzato anche un breve filmato, una sorta di odierno video clip.




L'arrangiamento e le atmosfere sono quelli in voga in quegli anni, ed hanno ben poco a vedere con il jazz, ma le splendida melodia venne ripresa, qualche anno dopo, da diversi jazzisti rendendola presto un celebre standard. 


Il primo fu il trombettista Bobby Hackett il quale, con la sua orchestra, nel 1938 ne realizzò una versione decisamente più moderna, che valorizzava al massimo le qualità musicali del brano.



Questa versione aprì la strada ad una serie di nuove interpretazioni da parte di altri musicisti, fra le quali, in particolare, spiccano quelle dei tre maggiori tenor-sassofonisti di quegli anni: Chu Berry, Coleman Hawkins e Lester Young.


Chu Berry (1908-1941)

Il primo, in quegli anni militava nell'orchestra di Cab Calloway e nel 1940, poco più di un anno prima della sua morte, ne incise una strepitosa versione ancora oggi insuperata. Una curiosità: in quell'occasione fra i membri dell'orchestra c'era anche Dizzy Gillespie.


Le altre versioni sopra ricordate furono realizzate entrambe nel 1944.


Coleman Hawkins (1904-1969)

Coleman Hawkins era accompagnato dall'orchestra di Cozy Cole e, contrariamente a Chu Berry che era l'unico solista, in questo caso l'assolo del sassofonista era integrato dagli interventi di altri membri dell'orchestra: Charlie Shavers alla tromba che introduce il brano, poi Tiny Grimes alla chitarra, Hank D'Amico al clarinetto e Slam Stewart che chiude con il suo caratteristico vibrato voce e contrabbasso.


L'assolo di Hawkins, pur eccellente, è più breve e molto meno fantasioso e originale di quello Berry. 

Lester Young (1909-1959)

Infine ascoltiamo la versione di Lester Young, accompagnato da Count Basie al piano con la ritmica della sua orchestra. Una versione più lenta e introspettiva delle precedenti, una lettura mesta, malinconica che sembra quasi presagire le tribolazioni e le umiliazioni che egli dovrà sopportare alcuni mesi dopo, a causa del richiamo nell'esercito, che segneranno il resto della sua vita.



Fra le versioni vocali, che vennero realizzate in quei primi anni, merita di essere ricordata quella del 1939 di Mildred Bailey, accompagnata da un gruppo di musicisti capeggiato dalla pianista Mary Lou Williams. 


Un mix interrazziale di swing e di melodia che modernizza il brano riportandolo all'attenzione di un pubblico più vasto.


Dopo queste memorabili esecuzioni il brano entrò nel repertorio di numerosi musicisti e cantanti e ancora oggi viene ripreso da diversi giovani artisti. Fra queste numerose interpretazioni alcune meritano di essere ricordate per la loro originalità.



Iniziamo con Thelonious Monk che nel suo album Thelonious Himself del 1957,  ne propone una versione di solo piano, una lettura in cui è possibile apprezzare tutte le sfumature della melodia.



Fra le esecuzioni imperdibili non poteva mancare quella di Billy Holiday, supportata dalla tromba di Harry "Sweet" Edison, dalla chitarra di Barney Kessel, e dal sax di Ben Webster; un'interpretazione, realizzata per la Verve nel 1955, piena di pathos che evidenzia anche le qualità poetiche del testo.



Molto particolare e delicata l'esecuzione del trio del pianista Elmo Hope, sempre del 1955 e contenuta nell'album Meditations. Questo artista dotato di grande talento, amico e coetaneo di Bud Powell,  purtroppo è caduto nell'oblio.


Vigorosa e piena di fantasia e di feeling è la versione che Clifford Brown registrò con lo storico quintetto che guidava assieme a Max Roach



Per venire a tempi più recenti, ho apprezzato molto, avendola ascoltata anche da vivo, l'interpretazione di Diana Krall, che nella seconda metà degli anni '90, la eseguiva spesso nei suoi concerti, accompagnata solo dalla chitarra di Russell Malone. Il video è stato realizzato durante un concerto tenutosi a Berna nel 1997.


Per chiudere questa, necessariamente incompleta, rassegna di interpretazioni di questo bellissimo standard, ho scelto la commovente versione di Chet Baker tratta dalla colonna sonora del film "Let's Get Lost", in cui è accompagnato fra gli altri da Frank Strazzeri al piano a da Nicola Stilo alla chitarra e al flauto.

mercoledì 5 dicembre 2012

I miei standards preferiti: It Might As Well Be Spring (1945)


Questa soave ballad venne scritta nel 1945 dal celebre duo Rodgers & Hammerstein II per il loro unico musical scritto direttamente per il cinema: State Fair (titolo italiano: Festa d'amore) in cui veniva cantata da Louanne Hogan, che prestava la voce alla protagonista Jeanne Crain. Nel video seguente posiamo vedere la sequenza interessata.


La canzone divenne subito popolarissima e venne premiata con l'Oscar come miglior canzone originale dell'anno. Questo riconoscimento ne aumentò il successo e indusse molti cantanti a registrarla.
Fra le numerose esecuzioni vocali, sia maschili sia femminili, di seguito ne ricordiamo alcune, cominciando con Sarah Vaughan, che dopo averne registrata, appena ventiduenne, una versione nel 1946  con l'orchestra di John Kirby, ne incise un'altra, jazzisticamente più interessante, nel 1950 accompagnata da un gruppo comprendente fra gli altri Miles Davis e che è possibile ascoltare qui di seguito


Molte altre famose voci femminili si sono cimentate negli anni con questa canzone, come ad esempio una giovane Nina Simone che nel 1959 la incluse in uno dei suoi primi LP The Amazing Nina Simone,


che rimase la sua unica interpretazione del brano, almeno su disco, e che possiamo ascoltare in questo video. Un'interpretazione intensa che la differenzia da quelle un pò "sdolcinate" di molte altre colleghe.



Nel tempo questa canzone non ha per nulla perso il suo appeal e nei suoi quasi settant'anni di vita è stata interpretata da decine e decine di cantanti. Ricorderò qui solo alcune versioni che in qualche modo si differenziano dalle interpretazioni più "classiche" come quella latineggiante di Astrud Gilberto del 1964 tratta dall'album Getz/Gilberto#2 (Live at Carnegie Hall) in cui troviamo anche Stan Getz, Joao Gilberto e Gary Burton.


Un'altra originale ed accattivante versione è quella realizzata nel 1997 da Cassandra Wilson per l'album Rendezvous con il pianista Jacky Terrasson.


Una lettura decisamente fuori dagli schemi consueti della canzone con eccellenti spunti jazzistici, grazie anche al contributo della  ritmica composta, oltre che dal pianista, dal basso di Lonnie Plaxico e dalle percussioni di Mino Cinelu.




In tempi più recenti alcune giovani cantanti emergenti si sono cimentate con il brano dandone, a volte, versioni jazzisticamente interessanti, come la giovane Sophie Milman (classe 1983), russo-israeliana che vive in Canada e che nel 2007 la incluse nel suo CD Make Someone Happy. Nel video seguente la versione live ripresa in concerto a Montreal.



Molto meno numerose sono le interpretazioni vocali maschili, nonostante la prima versione discografica in assoluto sia stata quella del cantante Dick Haymes, uno degli interpreti del film, all'epoca molto conosciuto grazie ad un popolarissimo programma radiofonico che conduceva insieme alla cantante Helen Forrest.
In particolare merita qui di essere ricordata l'interpretazione di Frank Sinatra del 1961 contenuta nell'album Sinatra & Strings.


Le innegabili qualità musicali della canzone sono all'origine anche di numerosissime interpretazioni strumentali jazzisticamente molto interessanti. La suadente melodia ha, in particolare, attirato l'attenzione di molti pianisti da Oscar Peterson a George Shearing, da Bill Evans a Kenny Drew, ecc. A mo' di esempio ne ho scelte due: una, più datata, di Erroll Garner risalente ai primi anni '60



e una più recente di Brad Mehldau tratta dall'album The Art of the Trio vol. V - Progression del 2001.


I circa quarant'anni che dividono le interpretazioni di questi due straordinari pianisti dimostrano come il brano costituisca sempre una eccellente fonte d'ispirazione. 
Fra le altre numerosissime interpretazioni non pianistiche ne ricordiamo di seguito solo alcune ritenute maggiormente meritevoli d'attenzione.
nel 1953 Clifford Brown ne incise una a Parigi accompagnato da musicisti locali in cui, al solito, evidenzia le sue doti di creatività improvvisativa.



Un'altra eccellente lettura, al flicorno, è quella di Art Farmer nell'abum del 1975 in cui è accompagnato dal Super Jazz Trio di Tommy Flanagan e anche in questo caso le capacità solistiche dei componenti del gruppo sono pienamente evidenziate.


Chiudiamo con il tenor-sassofonista Gene Ammons che nel 1958 incluse il brano nel suo album Groove Blues, accompagnato dal trio di Mal Waldron. Nelle note del video viene erroneamente indicata la presenza di John Coltrane, che pur avendo preso parte alla seduta d'incisione dell'album, in questo brano non suona, lasciando ad Ammons l'intera scena solistica. 


domenica 11 novembre 2012

I miei standards preferiti: I'll Remember April (1941)


Questa canzone venne composta nel 1941 da Gene De Paul, con la coppia di parolieri Don Raye e Patricia Johnston, per la colonna sonora di un film comico della coppia Abbott & Costello: Ride'em Cowboy (Gianni e Pinotto fra i Cowboys) in cui era interpretata, con una performance un pò sdolcinata, secondo i canoni dell'epoca, dal modesto cantante e attore western Dick Foran.


Questo filmetto, che molti della mia generazione avranno visto da ragazzini, nei primi anni del dopoguerra in qualche cinema parrocchiale, presentava un'altra particolarità, la presenza di una giovane Ella Fitzgerald, agli inizi della carriera, in una delle sue rare apparizioni cinematografiche, in cui interpreta una cameriera e canta il suo Hit del momento: A Tisket, a Tasket.


Ritornando a I'll Remember April la canzone riscosse comunque un discreto successo grazie alle interpretazioni dell'orchestra di Woody Herman, Bing Crosby e altri, ma esclusivamente nella versione vocale  "convenzionale".
Dobbiamo arrivare al 1947 per trovare la prima versione jazzistica strumentale di notevole interesse: quella del trio di Bud Powell con Curly Russell al basso e Max Roach alla batteria, in cui geniale pianismo di Powell scompone e ricompone la melodia in un caleidoscopio di emozioni, avviando questo motivo al ruolo di grande standard jazzistico. 


Una postilla personale riguardo a questo brano: è stato in assoluto il primo che ho ascoltato di Powell, tratto da un 45 giri acquistato in edicola più di 40 anni fa ed è stato l'ascolto di questo brano che mi ha fatto iniziare ad ammirare questo pianista, del quale oggi possiedo quasi tutti i dischi.



Un altro straordinario pianista: George Shearing nel dicembre del 1949 ne incise, con il suo quintetto, una versione elegante, gradevole, in cui il pianoforte dialoga con il vibrafono della bravissima Marjorie Hyams, accompagnato da una sessione ritmica di tutto rispetto con Chuck Wayne alla chitarra, John Levy al basso e Denzil Best alla batteria. Una perfetta alchimia stilistica che ne farà uno dei gruppi più originali ed apprezzati di quegli anni.




Nella primavera del 1950 Bud Powell venne scritturato, assieme a Curly Russell, da Charlie Parker per una serie di concerti di un nuovo quintetto al Birdland di New York. Gli altri membri erano Fats Navarro e Art Blakey. Durante quei concerti venne eseguita anche I'll Remeber April e ne esiste una registrazione da un nastro privato pubblicata molti anni dopo.


Tuttavia la prima versione su disco di Charlie Parker fu quella storica contenuta nel secondo album di Charlie Parker with Strings dell'estate 1950. La formazione comprendeva, fra gli altri, Bernie Leighton al piano, Ray Brown al basso e Buddy Rich alla batteria, con arrangiamenti di Joe Lippman.



Sempre in quel periodo fra il 1950 e il 1951 il vibrafonista Red Norvo, un musicista sulla breccia da molti anni, decise di rinnovarsi costituendo un trio "anomalo" con il chitarrista Tal Farrow e il giovane e all'epoca poco noto bassista Charles Mingus. Trio che, sia per la sua struttura atipica, sia per la notevole qualità dei componenti, ebbe subito un grande successo di critica e di vendite.



La loro versione del brano è decisamente originale con fluenti passaggi dal singolo assolo a improvvisazioni collettive in una suggestiva atmosfera "cameristica".


Negli anni successivi numerosi furono i musicisti e i cantanti che si cimentarono con questo standard, ma tre in particolare meritano di essere qui ricordati. Sono tre dei più grandi trombettisti di allora e non solo: Miles Davis, Clifford Brown e Chet Baker. Tre letture molto differenti e tutte di grande qualità.
Nel 1954 Davis era definitivamente uscito dal tunnel della droga ed iniziava una nuova stagione, un periodo intensamente creativo che gradualmente lo avrebbe riportato ai vertici. 



Il 3 aprile entrò in studio per la Prestige, e fra i vari brani incise anche I'll Remember April, accompagnato da una sessione ritmica di elevata qualità: Horace Silver al piano, Percy Heath al basso e Kenny Clarke alla batteria e come spalla il poco noto alto sax parkeriano David Schildkraut che in questo brano da il meglio di sé. Una curiosità sulla qualità della performance del sassofonista: durante un Blindford test Charlie Mingus, non uno qualsiasi, ascoltandolo in questo brano, lo confuse con Parker. 
Va inoltre  ricordato che questa session fu la prima in cui Davis cominciò anche a usare la sordina.


N.B. la cover presentata nel video è quella dell'LP 30 cm. del 1957 Blue Haze in cui il brano venne ripubblicato, mentre il brano comparve la prima volta in un LP 25 cm. e la cover è quella riportata sopra, dal titolo poco fantasioso di Miles Davis quintet

Nel febbraio del 1956 Clifford Brown e Max Roach con il loro quintetto comprendente anche Sonny Rollins al sax tenore, Richie Powell (fratello di Bud) al piano e George Morrow al basso registrarono due takes di I'll Remember April, dopo che il brano era stato testato in diversi concerti. Questo avveniva pochi mesi prima dell'incidente automobilistico che il 26 giugno provocò la morte del trombettista e del pianista.
Nel video seguente viene proposta l'alterate take pubblicata nell'album More Study in Brown, fatto uscire dopo l'incidente, mentre la original track era stata pubblicata nel doppio LP At Basin Street




Ciò che colpisce ascoltando questa interpretazione è la grande creatività improvvisativa di Brown. Un assolo strepitoso che ci lascia un grande rimpianto: se la sua carriera, stroncata a soli 25 anni fosse proseguita Davis avrebbe avuto un un concorrente agguerrito.



Nell'inverno 1955-56 Chet Baker era in tournée in Europa con il suo quintetto e durante alcuni suoi concerti in Germania veniva raggiunto dalla giovane cantante emergente Caterina Valente con la quale eseguiva in duo I'll Remember April




Una esecuzione alla tromba molto diversa dalle precedenti e da altre che lo stesso Chet Baker realizzerà negli anni, ma proprio per questo meritevole di essere ricordata.
Questo standard andò via via diffondendosi con una crescente serie di esecuzioni di numerosi musicisti e cantanti che non possiamo stare qui a ricordare.
Avvicinandosi ai nostri giorni tuttavia vorrei segnalarne alcune altre che hanno suscitato in me un notevole interesse.
La prima è quella di Keith Jarrett del 1996. Dopo quasi cinquant'anni dalla bellissima esecuzione di Bud Powell, citata all'inizio, un'altro grandissimo trio esegue lo stesso brano dal vivo con una performance di qualità assoluta. Dieci minuti di puro virtuosismo a partire dal batterista Jack De Johnette, mentre il basso di Gary Peacock centellina i suoi interventi con grande tempismo.


Chiudiamo questa carrellata di esecuzioni differenti con due eccellenti chitarristi il francese Bireli Lagrene e il belga Philip Catherine che affrontano il tema con un sound latineggiante. 

martedì 4 settembre 2012

I miei standards preferiti: What's New (1939)

Nell'ottobre 1938 Bob Haggart, bassista e compositore, all'epoca membro dell'orchestra di Bob Crosby, scrisse I'm Free, pensando alla tromba dell'amico Billy Butterfield, collega nella stessa orchestra. Un brano eccellente molto apprezzato da Crosby e che venne subito registrato con una pregevole esecuzione proprio di Butterfield. Il solista al sassofono è Eddie Miller.


Vista la notevole qualità della musica, l'anno successivo il paroliere Johnny Burke la corredò con un romantico testo sull'incontro fra due ex amanti che intitolò What's New. 



La canzone venne subito registrata dal cantante più in auge del momento: Bing Crosby, fratello di Bob, che ne fece un grande successo di vendite.




Il brano divenne presto famoso e venne ripreso da molte orchestre raggiungendo un'enorme popolarità.
Negli anni del dopoguerra si annoverano decine di versioni sia strumentali, sulle quali tornerò in seguito, sia vocali. Fra quest'ultime, veramente numerose, tre in particolare meritano, a mio avviso, di essere ricordate, dal punto di vista jazzistico. La prima è quella realizzata nel dicembre del 1954 dalla giovane Helen Merrill, nell'omonimo disco di esordio, accompagnata da un gruppo di musicisti di grande livello fra i quali spicca la tromba di Clifford Brown.


La seconda. dell'anno successivo, è quella di Billie Holiday, che solo verso la fine della carriera, affrontò questo brano, incluso nell'album Velvet Mood, un Lp di standards 


realizzato con la collaborazione di un notevole gruppo di jazzisti come Harry "Sweet" Edison alla tromba, Benny Carter al sax alto, Jimmy Rowles al piano, Barney Kessel alla chitarra, ecc.. La copertina  un pò ruffiana, venne scelta per attirare anche acquirenti non del tutto interessati al jazz.


La terza versione è quella realizzata dal grande Satchmo nel 1957 contenuta nell'album Louis Armstrong meets Oscar Peterson,


sicuramente la miglior versione vocale maschile mai realizzata.




Di notevole spessore jazzistico sono anche molte versioni strumentali, che vedono impegnati alcuni dei maggiori jazzisti di quegli anni. 
Iniziamo però con una curiosità: siamo nel 1952, anno fra i più difficili nella carriera di Miles Davis, come lui stesso affermò nella sua biografia: «Ero sprofondato in una sorta di nebbia, ero sempre fatto e sfruttavo le donne per la roba [...] avevo una scuderia di puttane che battevano per me» e qui lo troviamo a fare da spalla a Jimmy Forrest, un modesto sassofonista che quell'anno aveva raggiunto una certa popolarità grazie al brano Night Train, che aveva scalato tutte le classifiche. La registrazione venne effettuata dal vivo al Barrell, un night club di Delmar in Missouri nel marzo 1952.


Non si tratta certo di una esecuzione memorabile, gli assolo sono elementari, ma resta comunque un documento interessante.
L'esecuzione  che propongo di seguito, realizzata nel 1956, dal vivo, dal quintetto di Clifford Brown e Max Roach, sembra venire da un altro pianeta. L'assolo di Brownie è strepitoso per originalità e fantasia.



Un altra esecuzione interessante e particolare è quella del trombettista canadese Maynard Ferguson realizzata all'inizio degli anni '50 con l'orchestra di Stan Kenton


Oltre ai numerosi trombettisti che, sulle orme di Billy Butterfield, nel tempo si sono cimentati con questo standard, anche molti sassofonisti, affascinati dalla straordinaria dolcezza della melodia, che ne faceva una ballad perfetta, ne diedero una propria lettura.
Cominciamo con Serge Chaloff, sassofonista baritono, uno dei Four Brothers di Woody Herman, che nel 1955, un anno prima della sua prematura scomparsa, ne incise una suadente versione con un proprio sestetto 


L'anno seguente fu la volta dell'altosassofonista Art Pepper che ne realizzò una versione in quartetto, anche questa altrettanto originale  e intrigante


In questa selezione non poteva mancare colui che è considerato lo specialista assoluto delle ballads, il tenorsassofonista Ben Webster che nel 1965 la incluse nel suo splendido album There Is No Greater Love, una specie di compendio del meglio delle ballads. Il pianista è Kenny Drew, al basso N-H. Ø. Pedersen e alla batteria Alex Riel. La perfezione assoluta!


Molto diversa, ma altrettanto toccante, è la lettura che John Coltrane ne dà con il suo classico quartetto, contenuta nell'album Ballads del 1961.


Questo standard è stato spesso eseguito anche da molti jazzisti italiani fra i quali ricordo Enrico Rava (in Age Mur con Lee Konitz), Massimo Urbani che ne ha realizzato diverse versioni, Franco Ambrosetti, Francesco Cafiso e molti altri. Tuttavia la versione più interessante, dal punto di vista storico, è quella realizzata nel 1988 da Lino Patruno con un quintetto che comprendeva al basso proprio Bob Haggart, il compositore del brano. Una vera perla per concludere questa carrellata su uno degli standards più famosi e popolari.

giovedì 28 giugno 2012

I miei standards preferiti: I Can't Get Started (1936)

In questi giorni GEROVIJAZZ compie 6 anni, infatti nacque sulla piattaforma Splinder verso la fine di giugno del 2006, poi lo scorso novembre si è trasferito su Blogger spostandovi anche la maggior parte delle pagine realizzate negli anni, che con il post di oggi arrivano a 190. Per celebrare questo anniversario ho pensato di continuare con la serie degli standards, visto l'elevato gradimento riscosso dal post precedente. 


I Can't Get Started nacque nel 1936 dalla penna di Vernon Duke per la musica e di Ira Gershwin per il testo, destinato alla rivista musicale Ziegfeld Follies di quell'anno e nella quale era cantato da Bob Hope, ma il picco della popolarità lo raggiunse l'anno successivo grazie ad una strepitosa versione realizzata dal trombettista Bunny Berigan (1908-1942)


ancora oggi considerata una delle migliori versioni mai realizzate, tale da meritarsi circa quarant'anni dopo l'inserimento nella Grammy Hall of Fame.



Oltre alla qualità della musica la canzone piacque anche per il testo particolare; Ira Gershwin aveva presente che a cantarla sarebbe stato un comico, Bob Hope e cercò di realizzare una storia divertente e attuale per l'epoca con riferimenti ad eventi e personaggi del momento (la guerra civile in Spagna, il presidente Roosevelt, Greta Garbo).

Dattiloscritto originale di Ira Gershwin contenente la prima stesura del refrain della canzone.


Il successo ottenuto da Berigan indusse molti altri artisti a cimentarsi con il brano. L'anno seguente Billie Holiday e Lester Young ne realizzarono un'altra versione eccellente, la prima al femminile, (la protagonista il tè lo prende con Robert Taylor anziché con Greta Garbo).


All'epoca i due erano all'apice della forma e della popolarità ed il feeling fra loro era ottimo. Ne uscì un'interpretazione che non aveva nulla da invidiare a quella di Berigan, con un assolo di Lester da manuale.
Negli anni successivi il brano venne ripreso non solo il forma vocale e costituì la palestra per interpretazioni di grande livello come quella del trombettista Clifford Brown con il quintetto di Max Roach del 1954,




o quella del pianista Lennie Tristano, che ne realizzò nel 1946 una versione intimistica in trio con Billy Bauer alla chitarra e Clyde Lombardi al basso, che evidenziava la dolcezza della melodia.



Lester Young riprese spesso il brano dopo la versione presentata in precedenza, qui lo ritroviamo nel 1946 in un concerto della serie Jazz at the Philarmonic con altri eccellenti solisti, primo fra tutti Charlie Parker


Negli anni si ebbero anche molte versioni vocali sia maschili che femminili, nelle quali il testo originale veniva di volta in volta modificato o attualizzato. Nel 1959 Frank Sinatra ne incise una versione molto lenta e pensosa nel suo famoso LP della serie Capitol No One Cares, con un testo completamente diverso dall'originale.


Jazzisticamente parlando tuttavia le interpretazioni più interessanti sono quelle strumentali in cui i solisti si cimentano in assolo spesso interessanti come nel caso del quintetto di Charles Mingus qui proposto registrato dal vivo nel 1959 (dall'LP Mingus in Wonderland) in cui prima John Handy al sax alto e poi Mingus ci  offrono momenti di straordinaria emozione. 


Altrettanto interessante è la seguente interpretazione dei Jazz Messengers di Art Blakey con John Gilmore al sax tenore e Lee Morgan alla tromba realizzata nel 1966 per la BBC.


In anni più recenti un altro talentuoso artista Wynton Marsalis si è cimentato nel 2008 con questo brano accompagnato dalla soave voce di Shirley Horn. Un'altra stupenda interpretazione degna di essere ricordata.



Negli anni anche molti musicisti italiani si sono cimentati con questo celebre brano, da Nunzio Rotondo a Enrico Peranunzi, da Enrico Rava a Franco Cerri solo per citarne alcuni. Per concludere proponiamo l'interpretazione che nel 1959 ne dette il sestetto Basso-Valdambrini, uno dei gruppi che in Italia hanno fatto la storia del jazz.






martedì 27 dicembre 2011

I miei standards preferiti: I Remember Clifford (1957)

Questo brano è sicuramente il più famoso canto funebre del jazz. Venne scritto dal sassofonista Benny Golson, profondamente colpito per la prematura scomparsa nel 1956 a soli 25 anni, del quasi coetaneo collega Clifford Brown, astro emergente della tromba. Di seguito un raro video di Clifford Brown ripreso un anno prima dell'incidente.




Benny Golson all'epoca suonava con l'orchestra di Dizzy Gillespie e racconta che quando appresero la notizia dell'incidente automobilistico in cui persero la vita oltre a Brown anche il pianista Richie Powell, fratello di Bud, e la moglie, stavano suonando all'Apollo Theatre di New York.

benny golson



La notizia sconvolse tutti i musicisti, molti dei quali piangevano mentre suonavano. Da quell'emozione scaturì l'ispirazione a Golson per questo splendido brano che venne eseguito per la prima volta nel 1957 proprio dall'orchestra di Gillespie. Nel video seguente Dizzy Gillespie l'esegue al Festival di Newport nel luglio dello stesso anno.





L'anno seguente Golson venne chiamato da Art Blakey a far parte dei Jazz Messengers, ed il brano entrò stabilmente nel repertorio del gruppo. Di quel periodo è il video seguente con Lee Morgan alla tromba e lo stesso Golson al sax. Il pianista è Bobby Timmons.





Nel 1961 a Parigi Don Byas e Bud Powell, accompagnati da Pierre Michelot al basso e Kenny Clarke alla batteria, ne registrarono una struggente versione. L'esecuzione di questo brano per Powell aveva un significato speciale in quanto in quell'incidente perirono anche suo fratello e la cognata.



Il brano, negli ultimi 50 anni, è diventato una delle composizioni più eseguite e più amate al mondo e grazie ai versi scritti da Jon Hendricks è stata eseguita anche da molti cantanti. Fra le varie versioni vocali in circolazione, a mio parere, quella di Helen Merrill, che con Brown aveva realizzato uno splendido disco, è una delle più sentite. La tromba è quella di Roy Hargrove.





Nel 1986, nel 30° anniversario, Keith Jarrett riprende il brano e con il suo trio e ne da una lettura che ne evidenzia la straordinaria liricità e bellezza







Ancora oggi il brano è spesso eseguito dai musicisti contemporanei come dimostrano i due successivi video. Nel primo troviamo Fabrizio Bosso in un concerto con Italian Big Band di Marco Renzi al teatro Petruzzelli di Bari lo scorso anno.






Infine il giovane trombettista cubano Gendrickson Mena con il sestetto di Gianni Cazzola ripresi a Busto Arsizio lo scorso maggio.



giovedì 17 novembre 2011

Oggi parliamo di Max Roach


Pubblicato giovedì 8 marzo 2007

Dopo aver dedicato un paio di inserzioni a Abbey Lincoln vorrei rivolgere ora la mia attenzione a colui che ne è stato il Pigmalione: Max Roach, un artista straordinario, la cui carriera ha attraversato la storia del jazz dagli anni '40 ai primi anni del 2000, allorché all'età di 76 anni, il morbo di Alzheimer lo ha costretto a ridurre l'attività.
Le sue straordinarie qualità di batterista hanno fatto sì che intorno ai vent'anni fosse già richiesto da artisti del calibro di Charlie ParkerDizzy GillespieBud PowellCharlie MingusThelonious MonkMiles Davis ecc.. Con i primi quattro nel 1953 prese parte allo storico quintetto che realizzò uno dei dischi cult della storia del jazz: quel Jazz at the Massey Hall che resta uno dei momenti più significativi dell'era Bebop.

Sulla copertina dei primi LP, per esigenze contrattuali Charlie Parker compare con lo pseudonimo Charlie Chan.
L'anno dopo iniziò per lui una nuova esperienza, assieme all'astro emergente Clifford Brown, che contribuì alla nascita del nuovo stile Hard Bop. A questo stile si riferiscono i due album che voglio riportare all'attenzione.
Il primo è il famoso Study in Brown del 1955, inciso con lo storico quintetto che oltre a Roach e Brown comprendeva Harold Land al sax tenore, Richie Powell (fratello di Bud) al piano e George Morrow al basso.
Si tratta di uno dei dischi che maggiormente evidenziano gli straordinari frutti di quella collaborazione che, purtroppo, durò solo due anni, a causa dell'incidente automobilistico del 26 giugno 1956 in cui perirono il giovane trombettista ed il pianista, che era anche il principale arrangiatore del gruppo.

In questo album troviamo alcuni titoli molto frequenti nelle incisioni del trombettista fra cui un Cherokee preso a ritmi vertiginosi.
Una musica eccellente caratterizzata da uno «straordinario melange di impeto e meditazione, di lirismo e di fuoco, [...] un miracoloso equilibrio tra libera improvvisazione e rigoroso controllo formale, tutte cose addebitabili, in parti perfettemente uguali, ai due leaders» come scrisse Pino Candini, recensendo a suo tempo l'album per la rivista "Musica Jazz".
Il secondo album è altrettanto famoso, ossia Max Roach Plus Four.


Si tratta infatti del primo album del "dopo Clifford", inciso circa tre mesi dopo l'incidente con un quintetto per 3/5 nuovo rispetto al precedente. Clifford è sostituito da Kenny Dorham, al piano troviamo Ray Bryant e al sax Sonny Rollins. Quest'ultima sostituzione era però antecedente all'incidente ed aveva già apportato nuova linfa al quintetto.
In esso è evidente il tentativo di Roach di proseguire il discorso avviato con Brown, cosa ardua sia dal punto di vista musicale che umano. Kenny Dorham, per quanto bravo non è "Brownie" e si sente soprattutto nei tempi ultraveloci come Just One of Those Things, ed infatti verrà presto sostituito da un altro giovane fenomeno emergente, Booker Little, il quale purtroppo sarà accomunato a Clifford anche dalla morte prematura, a soli 23 anni, per leucemia.
L'album è comunque godibile e ci mostra il continuo tentativo di Roach di proseguire il suo percorso di ricerca, con brani particolari come Ezz-Thetic o sperimentali come Dr. Free-Zee (in cui la batteria ed i timpani sono suonati entrambi da Roach e sovrapposti in fase di incisione) che evidenziano le crescenti capacità di leader del batterista, la cui carriera si stà ormai avviando a crescenti successi.

Per chi fosse interessato ad approfondire la musica del quintetto Brown-Roach può cercare il cofanetto di 10 CD "Brownie: The Complete EmArcy Recordings of Clifford Brown", che contiene tutte le incisioni del gruppo.

Per tutte le incisioni del quintetto del "dopo Clifford" è invece disponibile il cofanetto di 7 CD "The Complete Mercury Max Roach Plus Four Sessions"