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giovedì 28 giugno 2012

I miei standards preferiti: I Can't Get Started (1936)

In questi giorni GEROVIJAZZ compie 6 anni, infatti nacque sulla piattaforma Splinder verso la fine di giugno del 2006, poi lo scorso novembre si è trasferito su Blogger spostandovi anche la maggior parte delle pagine realizzate negli anni, che con il post di oggi arrivano a 190. Per celebrare questo anniversario ho pensato di continuare con la serie degli standards, visto l'elevato gradimento riscosso dal post precedente. 


I Can't Get Started nacque nel 1936 dalla penna di Vernon Duke per la musica e di Ira Gershwin per il testo, destinato alla rivista musicale Ziegfeld Follies di quell'anno e nella quale era cantato da Bob Hope, ma il picco della popolarità lo raggiunse l'anno successivo grazie ad una strepitosa versione realizzata dal trombettista Bunny Berigan (1908-1942)


ancora oggi considerata una delle migliori versioni mai realizzate, tale da meritarsi circa quarant'anni dopo l'inserimento nella Grammy Hall of Fame.



Oltre alla qualità della musica la canzone piacque anche per il testo particolare; Ira Gershwin aveva presente che a cantarla sarebbe stato un comico, Bob Hope e cercò di realizzare una storia divertente e attuale per l'epoca con riferimenti ad eventi e personaggi del momento (la guerra civile in Spagna, il presidente Roosevelt, Greta Garbo).

Dattiloscritto originale di Ira Gershwin contenente la prima stesura del refrain della canzone.


Il successo ottenuto da Berigan indusse molti altri artisti a cimentarsi con il brano. L'anno seguente Billie Holiday e Lester Young ne realizzarono un'altra versione eccellente, la prima al femminile, (la protagonista il tè lo prende con Robert Taylor anziché con Greta Garbo).


All'epoca i due erano all'apice della forma e della popolarità ed il feeling fra loro era ottimo. Ne uscì un'interpretazione che non aveva nulla da invidiare a quella di Berigan, con un assolo di Lester da manuale.
Negli anni successivi il brano venne ripreso non solo il forma vocale e costituì la palestra per interpretazioni di grande livello come quella del trombettista Clifford Brown con il quintetto di Max Roach del 1954,




o quella del pianista Lennie Tristano, che ne realizzò nel 1946 una versione intimistica in trio con Billy Bauer alla chitarra e Clyde Lombardi al basso, che evidenziava la dolcezza della melodia.



Lester Young riprese spesso il brano dopo la versione presentata in precedenza, qui lo ritroviamo nel 1946 in un concerto della serie Jazz at the Philarmonic con altri eccellenti solisti, primo fra tutti Charlie Parker


Negli anni si ebbero anche molte versioni vocali sia maschili che femminili, nelle quali il testo originale veniva di volta in volta modificato o attualizzato. Nel 1959 Frank Sinatra ne incise una versione molto lenta e pensosa nel suo famoso LP della serie Capitol No One Cares, con un testo completamente diverso dall'originale.


Jazzisticamente parlando tuttavia le interpretazioni più interessanti sono quelle strumentali in cui i solisti si cimentano in assolo spesso interessanti come nel caso del quintetto di Charles Mingus qui proposto registrato dal vivo nel 1959 (dall'LP Mingus in Wonderland) in cui prima John Handy al sax alto e poi Mingus ci  offrono momenti di straordinaria emozione. 


Altrettanto interessante è la seguente interpretazione dei Jazz Messengers di Art Blakey con John Gilmore al sax tenore e Lee Morgan alla tromba realizzata nel 1966 per la BBC.


In anni più recenti un altro talentuoso artista Wynton Marsalis si è cimentato nel 2008 con questo brano accompagnato dalla soave voce di Shirley Horn. Un'altra stupenda interpretazione degna di essere ricordata.



Negli anni anche molti musicisti italiani si sono cimentati con questo celebre brano, da Nunzio Rotondo a Enrico Peranunzi, da Enrico Rava a Franco Cerri solo per citarne alcuni. Per concludere proponiamo l'interpretazione che nel 1959 ne dette il sestetto Basso-Valdambrini, uno dei gruppi che in Italia hanno fatto la storia del jazz.






lunedì 19 dicembre 2011

Il Jazz vocale al maschile (part II)

Repost from Splinder (3 jan. 2010)


proseguiamo nella segnalarzione di altre voci maschili che negli anni hanno fatto la storia del jazz vocale.

Fra i grandi vecchi non poteva mancare Bing Crosby (1903-1977) che raggiunta la grande popolarità come star del cinema e della TV, non dimenticò mai le proprie origini jazzistiche e la gavetta fatta al fianco di musicisti del calibro di Bix Beiderbecke, Eddie Condon, Frankie Trumbauer, ecc.


Qui possiamo ascoltarlo in un gustoso Blue Room, scritto nel 1926 dal duo Rogers & Hart, e registrato nel 1956, accompagnato dalla swingante orchestra di Buddy Bregman.



Nel tempo, molti storici brani di jazz vocale sono stati realizzati da estemporanee performances di musicisti che solo raramente si esibivano come cantanti. Di seguito vengono riproposti due classici: il primo è I Can't Get Started il noto brano composto per la rivista Ziegfeld Follies 1936 da Vernon Duke con i versi di Ira Gershwin, il fratello paroliere del grande George. L'anno seguente il giovane trombettista Bunny Berigan (1908-1942) ne dette un'interpretazione vocale e strumentale che ancora oggi è considerata la miglior versione mai realizzata, tale da meritarsi nel 1975 l'ingresso nella Grammy Hall of Fame.

Purtroppo si trattò di un unicum, in quanto il trombettista morì di lì a poco, devastato dall'alcol, senza lasciare altre incisioni vocali.


L'altro brano è Stars Fell on Alabama, un classico standard composto nel 1934 da Frank Perkins con i versi di Mitchell Parish e che nel tempo ha avuto centinaia di interpreti più o meno famosi. La versione di Jack Teagarden (1905-1964),


noto trombonista e spesso spalla di Louis Armstrong in divertenti duetti, è una di quelle jazzisticamente più valide.


Un altro nome che non può mancare è quello di una star di prima grandezza come Nat King Cole (1919-1965), cui è già stata dedicata in passato un'ampia pagina (qui).


Oggi lo riascoltiamo in un'incisione dei primi anni '40, quando era principalmente un pianista jazz, che ogni tanto cantava. Il brano è It's Only a Paper Moon, altro classico standard, composto nel 1933 da Harold Arlen con i versi di E. Y. Harburg e Billy Rose.


Che dire poi della straordinaria voce di Johnny Hartman (1923-1983), strepitoso balladeur, che nel 1963 incontrando il quartetto di John Coltrane


realizzò uno degli album vocali più belli della storia del jazz, come dimostra questa versione del celebre brano di Billy Strayhorn: Lush Life.


Fra le nuove generazioni una menzione particolare merita Al Jarreau (1940), funambolo della voce, che ha anche lui iniziato con il jazz, per poi cedere alle lusinghe del pop.


Qui possiamo ascoltarlo nel famoso brano di Dave Brubeck Blu Rondò a la Turk, in cui sfodera tutta la sua versatilità vocale.


Venendo a tempi più recenti diversi sono i cantanti jazz che si sono messi in luce. Fra i più interessanti ricordiamo i bianchi Kurt Elling (1967) e Curtis Stigers (1965) e il nero Kevin Mahogany (1958).

Il primo, dopo anni di gavetta nella sua nativa Chicago, venne scoperto dalla casa discografica Blue Note, che nel 1995 lo lanciò con l'album Close Your Eyes dal quale è tratto il brano omonimo qui proposto


Dotato di un'ampia estensione vocale e di una voce baritonale molto affascinante ottenne subito un largo successo che continua tuttora. In questi ultimi anni ha collaborato con molti noti musicisti anche come apprezzato paroliere.
Curtis Stigers invece viene dal rock ed è anche un discreto sassofonista. Negli anni '80 era una star acclamata e si esibiva con Eric Clapton, Elton John ed altri. Poi di colpo verso la fine degli anni '90, ha voltato le spalle allo show business e si è dedicato alla sua musica preferita, il jazz, attività che non gli offre certo i lauti guadagni di una volta, ma che artisticamente lo soddisfa di più.

Il brano che segue Secret Heart del 2002 è tratto da uno dei suoi primi album del nuovo corso.


Kevin Mahogany infine è stato il più apprezzato cantante di colore apparso negli anni '90, è tuttora uno dei migliori in circolazione e viene considerato l'indiscusso erede di grandi del passato come Johnny Hartman o Joe Williams.

Questo Teach Me To Night è tratto da uno dei suoi albums più belli: Portrait of Kevin Mahogany del 2002. Il sax è quello i Michael Brecker.