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martedì 17 novembre 2015

70 anni fa con il Bebop esplose la rivoluzione del Jazz

Prima il jazz era ballabile poi venne Bird 
(Arrigo Polillo)





La data che sancisce la nascita "discografica" del Bebop è il 26 novembre 1945. Infatti dagli archivi dei WOR Studios di Broadway risulta che il produttore Teddy Rig aveva prenotato per quel giorno una sessione di tre ore, per un gruppo guidato da Charlie Parker nel corso della quale il sassofonista avrebbe proposto alcune sue composizioni originali (would supply original compositions).
Charlie Parker, all'epoca già abbastanza famoso, era alla sua prima esperienza discografica come leader ed il quintetto che inizialmente avrebbe dovuto prendere parte alla seduta d'incisione, oltre a lui, comprendeva Miles Davis alla tromba, Bud Powell al piano, Curley Russell al basso e Max Roach alla batteria, musicisti già affiatati che spesso si esibivano insieme nei locali della 52th Street. La foto seguente, in cui sono riconoscibili Parker, Davis e Roach, è stata ripresa in uno di quei clubs più o meno in quel periodo .


Sugli eventi di quella giornata sono state scritte molte cose, non sempre corrette, causando un po' di confusione. Innanzi tutto, all'ultimo momento, Bud Powell partì per Philadelphia lasciando il gruppo senza pianista. Parker contattò subito il pianista Argonne Thornton (Sadik Hakim dopo la conversione all'Islam), mentre Dizzy Gillespie, amico e partner di Parker in molte occasioni, trovandosi in loco si offrì di suonare lui il piano.
Il primo equivoco venne causato, alcuni anni dopo, da John Mehegan, estensore delle note di copertina dell'LP  The Charlie Parker Story (Savoy MG 12079)



uscito nel 1956, poco dopo la morte del sassofonista, nel quale veniva pubblicato, per la prima volta, tutto ciò che era stato registrato quel 26 novembre 1945. Il critico sosteneva che Bud Powell era in realtà presente, nonostante le numerose testimonianze contrarie, e questo ingenerava una serie di dubbi su chi in realtà suonasse il piano nei vari brani. Stabilito con certezza che Powell non c'era, restava, e forse resta, il dubbio fra Gillespie e Thornton, su chi suonasse cosa.
Quello che, tuttavia ci interessa, in questa sede, è la genesi di un solo brano, quel Koko - un head arrangement sulla base di Cherokee - universalmente considerato il primo esempio su disco di Bebop, un vero e proprio manifesto del nuovo genere musicale.
Esso fu affrontato per ultimo, alla fine della seduta e contrariamente ai brani registrati in precedenza, per i quali erano servite più takes, venne completato al primo colpo, solo dopo una falsa partenza, come si può costatare di seguito.




La formazione dichiarata sull'etichetta della prima edizione a 78 giri (riportata in apertura) indica, Parker sax alto, Miles Davis tromba, Hen Gates piano (pseudonimo di Gillespie, che non  poteva usare il proprio nome per motivi contrattuali), Curley Russell basso e Max Roach batteria, ma in realtà Davis non suona. Egli stesso nella sua autobiografia scrive:
riuscire a finire quel disco fu un casino. Mi ricordo che Bird voleva che suonassi "Ko Ko", [...] Bird sapeva che avevo difficoltà a suonare "Cherokee" allora. Perciò quando mi disse che questo era il brano che dovevo suonare gli risposi di no, non lo facevo. ecco perché c'è Dizzy che suona la tromba in "Ko Ko",[...] perché io non avevo intenzione di andare a fare una figuraccia.
(Miles Davis, Miles l'autobiografia, Minimum Fax, Roma, 2001, p. 91)

Nonostante questa chiara affermazione di Miles, vi è ancora oggi chi sostiene, con cervellotiche analisi musicali, che  sia Davis e non Gillespie  a suonare la tromba. (1)





A parte queste questioni di dettaglio, anche un po' noiose per molti, resta il fatto che quella musica era "sconvolgente" (A. Polillo) e dette il via all'era moderna del jazz, ma, come spesso accade alle novità rivoluzionarie, non trovò, per molto tempo, il consenso del pubblico e dei critici e solo pochi lungimiranti ne percepirono la grande modernità e l'originalità innovativa.


Da sx Thelonious Monk, Howard McGhee e Roy  Eldridge davanti alla Minton Playhouse, uno dei locali frequentati dai boppers, assieme al bandleader Teddy Hill all'epoca manager del locale. (foto di William P. Gottlieb)

Se il merito di tale rinnovamento non va attribuito solo a Parker e a Gillespie, ma anche a un gruppo di giovani musicisti neri, stanchi di suonare solo per far divertire i bianchi e desiderosi di modificare quei canoni musicali, che per loro stavano diventando obsoleti, stantii, di routine, Parker resta comunque il simbolo e l'artefice principale del Bebop. 



Disegno di David Stone Martin per una cover

Egli appartiene a quello sparuto gruppo di geni che hanno lasciato tracce indelebili nella storia del jazz. Citando ancora Arrigo Polillo, Parker è stato per il jazz quello che Picasso è stato per la pittura.
Era nato a Kansas City (Kansas) il 29 agosto 1920, ma era cresciuto nell'altra Kansas City quella del Missouri, dall'altra parte dell'omonimo fiume, una città che in quegli anni era considerata una delle culle del jazz, la città di Count Basie, Bennie Moten, ecc. ed aveva avuto modo di ascoltare per anni le migliori orchestre e i migliori solisti. 



Ben presto aveva deciso di diventare anche lui un musicista, e con un sassofono di seconda mano che stava assieme con scotch e elastici si aggirava per i locali nella speranza che lo facessero suonare. A 16 anni era già sposato ed aveva ottenuto una tessera del sindacato dei musicisti. I suoi punti di riferimento erano i sassofonisti Lester Young e Buster Smith, che nella prima metà degli anni '30, prima di diventare famosi, suonavano nei locali che Parker bazzicava.


Lester Young (al centro) e Buster Smith (a destra)
negli anni in cui si esibivano a Kansas City 

Buster Smith (1904-1991), in particolare,  era considerato da Parker una specie di mentore, ed ebbe una significativa influenza nel suo processo di formazione. 
Dopo un breve soggiorno a New York dove cominciò a sviluppare le prime intuizioni stilistiche, tornato a Kansas City nel 1940, Parker entrò nella Big Band di Jay McShann, un'orchestra all'epoca molto apprezzata e dove cominciò a farsi notare per la originalità dei suoi assolo.


Nella foto Parker è il terzo da sinistra proprio sopra a Jay McShann al piano.

Un esempio è questo "Swingmatism" del 1941, in cui a Parker viene concesso uno spazio solistico significativo dopo l'assolo al piano del leader.






Con il passaggio successivo all'orchestra di Earl Hines e poi di Billy Eckstine, nelle quali suonava anche Dizzy Gillespie, inizierà fra i due una collaborazione che porterà alla graduale formazione del nuovo stile di cui sono considerati i fondatori.


L'orchestra di Earl Hines nel 1943; ultimo a dx, con gli occhiali scuri, Charlie Parker, ultimo a sx Dizzy Gillespie, al centro, seduta di fronte a Hines, Sarah Vaughan. 

La grande capacità improvvisativa e le straordinarie qualità tecniche di Charlie Parker lasciavano allibiti chi lo ascoltava. Alla richiesta di come avesse sviluppato queste qualità, egli lo attribuì soprattutto alla tenacia e alla applicazione nello studio dello strumento.
Suonavo dalle 12 alle 15 ore al giorno. I vicini di casa minacciavano mia madre di costringerla a trasferirsi altrove. Dicevano che li stavo facendo diventare pazzi.
Le sue performance erano caratterizzate da una creatività e una genialità straordinarie, che solo Louis Armstrong aveva avuto prima di lui. 




Del periodo precedente alla data che ci interessa di Parker abbiamo solo alcune registrazioni in studio, semi clandestine a causa del "recording ban" proclamato dai sindacati. Il resto sono registrazioni amatoriali dal vivo, con mezzi tecnici limitati, di concerti o jam sessions.
Per quanto concerne la genesi creativa di Ko Ko esistono solo un paio di registrazioni amatoriali di Cherokee antecedenti, dalle quali si può cercare di percepire l'elaborazione progressiva del progetto musicale che Parker aveva in testa. Una di queste registrata intorno al 1942 con la Clark Monroe's Band a New York, è contenuta nel seguente video. La qualità della registrazione non è delle migliori, ma ci dà un'idea dell'evoluzione creativa.



Dopo il 1945 il brano rimase nel repertorio di Parker per alcuni anni, ma non venne più registrato in studio.
Il 29 settembre 1947 la big band di Dizzy Gillespie si esibì alla Carnegie Hall di New York e nel corso della serata venne realizzato un set con Parker come ospite, assieme a Gillespie con la ritmica della big band, guidata da John Lewis. Vennero eseguiti 5 caratteristici brani bebop fra cui Ko Ko che chiuse il set. Anche in questo caso Parker sfoderò tutta la sua grinta e la sua inventiva e ne venne fuori un'altra strepitosa esecuzione.



La vigilia di Natale del 1949, sempre alla Carnegie Hall, ebbe luogo un concerto particolare, noto come "Stars of Modern Jazz Concert". Quella serata rappresentò l'apice del successo popolare per il Bebop, si esibirono, infatti, i più prestigiosi esponenti del genere: da Bud Powell a Max Roach, da Sonny Stitt a Serge Chaloff, ecc..
Charlie Parker presenziò con il suo quintetto del momento comprendente: Red Rodney alla tromba, Al Haig al piano, Tommy Potter al basso e Roy Haynes alla batteria. Fra i brani presentati vi fu anche Ko Ko, che possiamo ascoltare di seguito.




Questa è l'ultima testimonianza discografica disponibile del brano e la cosa segna anche virtualmente il declino del Bebop. 
Quel concerto infatti segnava anche l'affacciarsi sulla scena del nuovo genere che si sarebbe affermato negli anni successivi; il Cool. Questo grazie alla presenza di Lennie Tristano, Lee Konitz, Stan Getz e dello stesso Davis che ormai era già traghettato nel nuovo genere, come dimostra questo "Move" eseguito da lui quella sera.






Note  
(1) http://www.themusicofmiles.com/articles/the-ko-ko-session/session.php

mercoledì 5 dicembre 2012

I miei standards preferiti: It Might As Well Be Spring (1945)


Questa soave ballad venne scritta nel 1945 dal celebre duo Rodgers & Hammerstein II per il loro unico musical scritto direttamente per il cinema: State Fair (titolo italiano: Festa d'amore) in cui veniva cantata da Louanne Hogan, che prestava la voce alla protagonista Jeanne Crain. Nel video seguente posiamo vedere la sequenza interessata.


La canzone divenne subito popolarissima e venne premiata con l'Oscar come miglior canzone originale dell'anno. Questo riconoscimento ne aumentò il successo e indusse molti cantanti a registrarla.
Fra le numerose esecuzioni vocali, sia maschili sia femminili, di seguito ne ricordiamo alcune, cominciando con Sarah Vaughan, che dopo averne registrata, appena ventiduenne, una versione nel 1946  con l'orchestra di John Kirby, ne incise un'altra, jazzisticamente più interessante, nel 1950 accompagnata da un gruppo comprendente fra gli altri Miles Davis e che è possibile ascoltare qui di seguito


Molte altre famose voci femminili si sono cimentate negli anni con questa canzone, come ad esempio una giovane Nina Simone che nel 1959 la incluse in uno dei suoi primi LP The Amazing Nina Simone,


che rimase la sua unica interpretazione del brano, almeno su disco, e che possiamo ascoltare in questo video. Un'interpretazione intensa che la differenzia da quelle un pò "sdolcinate" di molte altre colleghe.



Nel tempo questa canzone non ha per nulla perso il suo appeal e nei suoi quasi settant'anni di vita è stata interpretata da decine e decine di cantanti. Ricorderò qui solo alcune versioni che in qualche modo si differenziano dalle interpretazioni più "classiche" come quella latineggiante di Astrud Gilberto del 1964 tratta dall'album Getz/Gilberto#2 (Live at Carnegie Hall) in cui troviamo anche Stan Getz, Joao Gilberto e Gary Burton.


Un'altra originale ed accattivante versione è quella realizzata nel 1997 da Cassandra Wilson per l'album Rendezvous con il pianista Jacky Terrasson.


Una lettura decisamente fuori dagli schemi consueti della canzone con eccellenti spunti jazzistici, grazie anche al contributo della  ritmica composta, oltre che dal pianista, dal basso di Lonnie Plaxico e dalle percussioni di Mino Cinelu.




In tempi più recenti alcune giovani cantanti emergenti si sono cimentate con il brano dandone, a volte, versioni jazzisticamente interessanti, come la giovane Sophie Milman (classe 1983), russo-israeliana che vive in Canada e che nel 2007 la incluse nel suo CD Make Someone Happy. Nel video seguente la versione live ripresa in concerto a Montreal.



Molto meno numerose sono le interpretazioni vocali maschili, nonostante la prima versione discografica in assoluto sia stata quella del cantante Dick Haymes, uno degli interpreti del film, all'epoca molto conosciuto grazie ad un popolarissimo programma radiofonico che conduceva insieme alla cantante Helen Forrest.
In particolare merita qui di essere ricordata l'interpretazione di Frank Sinatra del 1961 contenuta nell'album Sinatra & Strings.


Le innegabili qualità musicali della canzone sono all'origine anche di numerosissime interpretazioni strumentali jazzisticamente molto interessanti. La suadente melodia ha, in particolare, attirato l'attenzione di molti pianisti da Oscar Peterson a George Shearing, da Bill Evans a Kenny Drew, ecc. A mo' di esempio ne ho scelte due: una, più datata, di Erroll Garner risalente ai primi anni '60



e una più recente di Brad Mehldau tratta dall'album The Art of the Trio vol. V - Progression del 2001.


I circa quarant'anni che dividono le interpretazioni di questi due straordinari pianisti dimostrano come il brano costituisca sempre una eccellente fonte d'ispirazione. 
Fra le altre numerosissime interpretazioni non pianistiche ne ricordiamo di seguito solo alcune ritenute maggiormente meritevoli d'attenzione.
nel 1953 Clifford Brown ne incise una a Parigi accompagnato da musicisti locali in cui, al solito, evidenzia le sue doti di creatività improvvisativa.



Un'altra eccellente lettura, al flicorno, è quella di Art Farmer nell'abum del 1975 in cui è accompagnato dal Super Jazz Trio di Tommy Flanagan e anche in questo caso le capacità solistiche dei componenti del gruppo sono pienamente evidenziate.


Chiudiamo con il tenor-sassofonista Gene Ammons che nel 1958 incluse il brano nel suo album Groove Blues, accompagnato dal trio di Mal Waldron. Nelle note del video viene erroneamente indicata la presenza di John Coltrane, che pur avendo preso parte alla seduta d'incisione dell'album, in questo brano non suona, lasciando ad Ammons l'intera scena solistica. 


domenica 11 novembre 2012

I miei standards preferiti: I'll Remember April (1941)


Questa canzone venne composta nel 1941 da Gene De Paul, con la coppia di parolieri Don Raye e Patricia Johnston, per la colonna sonora di un film comico della coppia Abbott & Costello: Ride'em Cowboy (Gianni e Pinotto fra i Cowboys) in cui era interpretata, con una performance un pò sdolcinata, secondo i canoni dell'epoca, dal modesto cantante e attore western Dick Foran.


Questo filmetto, che molti della mia generazione avranno visto da ragazzini, nei primi anni del dopoguerra in qualche cinema parrocchiale, presentava un'altra particolarità, la presenza di una giovane Ella Fitzgerald, agli inizi della carriera, in una delle sue rare apparizioni cinematografiche, in cui interpreta una cameriera e canta il suo Hit del momento: A Tisket, a Tasket.


Ritornando a I'll Remember April la canzone riscosse comunque un discreto successo grazie alle interpretazioni dell'orchestra di Woody Herman, Bing Crosby e altri, ma esclusivamente nella versione vocale  "convenzionale".
Dobbiamo arrivare al 1947 per trovare la prima versione jazzistica strumentale di notevole interesse: quella del trio di Bud Powell con Curly Russell al basso e Max Roach alla batteria, in cui geniale pianismo di Powell scompone e ricompone la melodia in un caleidoscopio di emozioni, avviando questo motivo al ruolo di grande standard jazzistico. 


Una postilla personale riguardo a questo brano: è stato in assoluto il primo che ho ascoltato di Powell, tratto da un 45 giri acquistato in edicola più di 40 anni fa ed è stato l'ascolto di questo brano che mi ha fatto iniziare ad ammirare questo pianista, del quale oggi possiedo quasi tutti i dischi.



Un altro straordinario pianista: George Shearing nel dicembre del 1949 ne incise, con il suo quintetto, una versione elegante, gradevole, in cui il pianoforte dialoga con il vibrafono della bravissima Marjorie Hyams, accompagnato da una sessione ritmica di tutto rispetto con Chuck Wayne alla chitarra, John Levy al basso e Denzil Best alla batteria. Una perfetta alchimia stilistica che ne farà uno dei gruppi più originali ed apprezzati di quegli anni.




Nella primavera del 1950 Bud Powell venne scritturato, assieme a Curly Russell, da Charlie Parker per una serie di concerti di un nuovo quintetto al Birdland di New York. Gli altri membri erano Fats Navarro e Art Blakey. Durante quei concerti venne eseguita anche I'll Remeber April e ne esiste una registrazione da un nastro privato pubblicata molti anni dopo.


Tuttavia la prima versione su disco di Charlie Parker fu quella storica contenuta nel secondo album di Charlie Parker with Strings dell'estate 1950. La formazione comprendeva, fra gli altri, Bernie Leighton al piano, Ray Brown al basso e Buddy Rich alla batteria, con arrangiamenti di Joe Lippman.



Sempre in quel periodo fra il 1950 e il 1951 il vibrafonista Red Norvo, un musicista sulla breccia da molti anni, decise di rinnovarsi costituendo un trio "anomalo" con il chitarrista Tal Farrow e il giovane e all'epoca poco noto bassista Charles Mingus. Trio che, sia per la sua struttura atipica, sia per la notevole qualità dei componenti, ebbe subito un grande successo di critica e di vendite.



La loro versione del brano è decisamente originale con fluenti passaggi dal singolo assolo a improvvisazioni collettive in una suggestiva atmosfera "cameristica".


Negli anni successivi numerosi furono i musicisti e i cantanti che si cimentarono con questo standard, ma tre in particolare meritano di essere qui ricordati. Sono tre dei più grandi trombettisti di allora e non solo: Miles Davis, Clifford Brown e Chet Baker. Tre letture molto differenti e tutte di grande qualità.
Nel 1954 Davis era definitivamente uscito dal tunnel della droga ed iniziava una nuova stagione, un periodo intensamente creativo che gradualmente lo avrebbe riportato ai vertici. 



Il 3 aprile entrò in studio per la Prestige, e fra i vari brani incise anche I'll Remember April, accompagnato da una sessione ritmica di elevata qualità: Horace Silver al piano, Percy Heath al basso e Kenny Clarke alla batteria e come spalla il poco noto alto sax parkeriano David Schildkraut che in questo brano da il meglio di sé. Una curiosità sulla qualità della performance del sassofonista: durante un Blindford test Charlie Mingus, non uno qualsiasi, ascoltandolo in questo brano, lo confuse con Parker. 
Va inoltre  ricordato che questa session fu la prima in cui Davis cominciò anche a usare la sordina.


N.B. la cover presentata nel video è quella dell'LP 30 cm. del 1957 Blue Haze in cui il brano venne ripubblicato, mentre il brano comparve la prima volta in un LP 25 cm. e la cover è quella riportata sopra, dal titolo poco fantasioso di Miles Davis quintet

Nel febbraio del 1956 Clifford Brown e Max Roach con il loro quintetto comprendente anche Sonny Rollins al sax tenore, Richie Powell (fratello di Bud) al piano e George Morrow al basso registrarono due takes di I'll Remember April, dopo che il brano era stato testato in diversi concerti. Questo avveniva pochi mesi prima dell'incidente automobilistico che il 26 giugno provocò la morte del trombettista e del pianista.
Nel video seguente viene proposta l'alterate take pubblicata nell'album More Study in Brown, fatto uscire dopo l'incidente, mentre la original track era stata pubblicata nel doppio LP At Basin Street




Ciò che colpisce ascoltando questa interpretazione è la grande creatività improvvisativa di Brown. Un assolo strepitoso che ci lascia un grande rimpianto: se la sua carriera, stroncata a soli 25 anni fosse proseguita Davis avrebbe avuto un un concorrente agguerrito.



Nell'inverno 1955-56 Chet Baker era in tournée in Europa con il suo quintetto e durante alcuni suoi concerti in Germania veniva raggiunto dalla giovane cantante emergente Caterina Valente con la quale eseguiva in duo I'll Remember April




Una esecuzione alla tromba molto diversa dalle precedenti e da altre che lo stesso Chet Baker realizzerà negli anni, ma proprio per questo meritevole di essere ricordata.
Questo standard andò via via diffondendosi con una crescente serie di esecuzioni di numerosi musicisti e cantanti che non possiamo stare qui a ricordare.
Avvicinandosi ai nostri giorni tuttavia vorrei segnalarne alcune altre che hanno suscitato in me un notevole interesse.
La prima è quella di Keith Jarrett del 1996. Dopo quasi cinquant'anni dalla bellissima esecuzione di Bud Powell, citata all'inizio, un'altro grandissimo trio esegue lo stesso brano dal vivo con una performance di qualità assoluta. Dieci minuti di puro virtuosismo a partire dal batterista Jack De Johnette, mentre il basso di Gary Peacock centellina i suoi interventi con grande tempismo.


Chiudiamo questa carrellata di esecuzioni differenti con due eccellenti chitarristi il francese Bireli Lagrene e il belga Philip Catherine che affrontano il tema con un sound latineggiante. 

martedì 4 settembre 2012

I miei standards preferiti: What's New (1939)

Nell'ottobre 1938 Bob Haggart, bassista e compositore, all'epoca membro dell'orchestra di Bob Crosby, scrisse I'm Free, pensando alla tromba dell'amico Billy Butterfield, collega nella stessa orchestra. Un brano eccellente molto apprezzato da Crosby e che venne subito registrato con una pregevole esecuzione proprio di Butterfield. Il solista al sassofono è Eddie Miller.


Vista la notevole qualità della musica, l'anno successivo il paroliere Johnny Burke la corredò con un romantico testo sull'incontro fra due ex amanti che intitolò What's New. 



La canzone venne subito registrata dal cantante più in auge del momento: Bing Crosby, fratello di Bob, che ne fece un grande successo di vendite.




Il brano divenne presto famoso e venne ripreso da molte orchestre raggiungendo un'enorme popolarità.
Negli anni del dopoguerra si annoverano decine di versioni sia strumentali, sulle quali tornerò in seguito, sia vocali. Fra quest'ultime, veramente numerose, tre in particolare meritano, a mio avviso, di essere ricordate, dal punto di vista jazzistico. La prima è quella realizzata nel dicembre del 1954 dalla giovane Helen Merrill, nell'omonimo disco di esordio, accompagnata da un gruppo di musicisti di grande livello fra i quali spicca la tromba di Clifford Brown.


La seconda. dell'anno successivo, è quella di Billie Holiday, che solo verso la fine della carriera, affrontò questo brano, incluso nell'album Velvet Mood, un Lp di standards 


realizzato con la collaborazione di un notevole gruppo di jazzisti come Harry "Sweet" Edison alla tromba, Benny Carter al sax alto, Jimmy Rowles al piano, Barney Kessel alla chitarra, ecc.. La copertina  un pò ruffiana, venne scelta per attirare anche acquirenti non del tutto interessati al jazz.


La terza versione è quella realizzata dal grande Satchmo nel 1957 contenuta nell'album Louis Armstrong meets Oscar Peterson,


sicuramente la miglior versione vocale maschile mai realizzata.




Di notevole spessore jazzistico sono anche molte versioni strumentali, che vedono impegnati alcuni dei maggiori jazzisti di quegli anni. 
Iniziamo però con una curiosità: siamo nel 1952, anno fra i più difficili nella carriera di Miles Davis, come lui stesso affermò nella sua biografia: «Ero sprofondato in una sorta di nebbia, ero sempre fatto e sfruttavo le donne per la roba [...] avevo una scuderia di puttane che battevano per me» e qui lo troviamo a fare da spalla a Jimmy Forrest, un modesto sassofonista che quell'anno aveva raggiunto una certa popolarità grazie al brano Night Train, che aveva scalato tutte le classifiche. La registrazione venne effettuata dal vivo al Barrell, un night club di Delmar in Missouri nel marzo 1952.


Non si tratta certo di una esecuzione memorabile, gli assolo sono elementari, ma resta comunque un documento interessante.
L'esecuzione  che propongo di seguito, realizzata nel 1956, dal vivo, dal quintetto di Clifford Brown e Max Roach, sembra venire da un altro pianeta. L'assolo di Brownie è strepitoso per originalità e fantasia.



Un altra esecuzione interessante e particolare è quella del trombettista canadese Maynard Ferguson realizzata all'inizio degli anni '50 con l'orchestra di Stan Kenton


Oltre ai numerosi trombettisti che, sulle orme di Billy Butterfield, nel tempo si sono cimentati con questo standard, anche molti sassofonisti, affascinati dalla straordinaria dolcezza della melodia, che ne faceva una ballad perfetta, ne diedero una propria lettura.
Cominciamo con Serge Chaloff, sassofonista baritono, uno dei Four Brothers di Woody Herman, che nel 1955, un anno prima della sua prematura scomparsa, ne incise una suadente versione con un proprio sestetto 


L'anno seguente fu la volta dell'altosassofonista Art Pepper che ne realizzò una versione in quartetto, anche questa altrettanto originale  e intrigante


In questa selezione non poteva mancare colui che è considerato lo specialista assoluto delle ballads, il tenorsassofonista Ben Webster che nel 1965 la incluse nel suo splendido album There Is No Greater Love, una specie di compendio del meglio delle ballads. Il pianista è Kenny Drew, al basso N-H. Ø. Pedersen e alla batteria Alex Riel. La perfezione assoluta!


Molto diversa, ma altrettanto toccante, è la lettura che John Coltrane ne dà con il suo classico quartetto, contenuta nell'album Ballads del 1961.


Questo standard è stato spesso eseguito anche da molti jazzisti italiani fra i quali ricordo Enrico Rava (in Age Mur con Lee Konitz), Massimo Urbani che ne ha realizzato diverse versioni, Franco Ambrosetti, Francesco Cafiso e molti altri. Tuttavia la versione più interessante, dal punto di vista storico, è quella realizzata nel 1988 da Lino Patruno con un quintetto che comprendeva al basso proprio Bob Haggart, il compositore del brano. Una vera perla per concludere questa carrellata su uno degli standards più famosi e popolari.

venerdì 1 giugno 2012

I miei standards preferiti: Darn that Dream (1939)


Darn That Dream, ancora oggi uno degli standards più battuti dai jazzisti di tutto il mondo, venne composto nel 1939 dalla coppia Jimmy Van Hausen per la musica e Eddie DeLange per i testi, nell'ambito di un musical di Broadway, Swingin' the Dream, che prendeva spunto dalla commedia di Shakespeare Midsummer Night's Dream, ambientandola nella New Orleans del 1890, con un cast prevalentemente di colore.
Contrariamente ad altri musicals tratti da opere shakespeariane, come ad esempio Kiss Me Kate (tratta dalla Bisbetica Domata), questo fu un fiasco e venne sospeso dopo solo 13 repliche, nonostante la presenza nel cast di artisti all'apice del successo come Louis Armstrong, Maxine Sullivan, le Dundridge Sisters ecc., il contributo musicale per alcuni brani di Count Basie e la partecipazione del sestetto di Benny Goodman.


Il brano era cantato in scena da Armstrong, la Sullivan e le Dundridge Sisters ed è l'unico sopravvissuto di quello spettacolo, grazie a Benny Goodman che ne colse immediatamente il valore e ne incise subito una versione con la sua orchestra, cantata da Mildred Bailey,


che possiamo ascoltare nel seguente video


Il successo fu immediato e la canzone venne ripresa da altre  orchestre fra cui quella di Tommy Dorsey che ne registrò, sempre nel 1940, una versione con la voce di Anita Boyer, mentre la prima versione vocale maschile fu quella dell'orchestra di Blue Barron (alla quale si riferisce l'immagine posta all'inizio) con la voce di Russ Carlyle, uno dei più popolari cantanti del momento. 
Con gli anni il brano divenne sempre più diffuso, anche in versione solo strumentale.



Nel 1950, nell'ambito delle sedute d'incisione di Miles Davis divenute note come Birth of the Cool, venne realizzata una versione cantata da Kenny Hagood, un crooner alla Billy Eckstine presto dimenticato. I musicisti erano oltre a Miles, J.J. Johnson (tbn), Gunther Schuller (corno fr.), Bill Barber (tuba), Lee Konitz (sax a.), Gerry Mulligan (sax b. e arr.), John Lewis (pf), Al McKibbon (bs), Max Roach (btr).



Il brano tuttavia risultò abbastanza fuori contesto rispetto alle incisioni strumentali, in quanto, nonostante il buon arrangiamento di Mulligan, l'esecuzione del cantante era troppo "convenzionale".  Infatti dopo essere uscito come lato B del 78 giri con lo straordinario Venus de Milo, venne escluso per molti anni dagli LP che comprendevano gli altri brani di quelle sedute.



Il mio interesse per Darn that Dream iniziò nella seconda metà degli anni '50, quando per la prima volta ascoltai  la versione strumentale  che Gerry Mulligan registrò nel 1953 con il quartetto comprendente Chet Baker


Ne rimasi profondamente incantato e da allora quel brano è entrato in quella che chiamo la mia personale Hall of Fame, inducendomi a raccogliere nel mio archivio musicale alcune decine di diverse versioni del brano, sia vocali, sia strumentali. Non potendo qui enumerarle tutte mi limiterò a segnalarne alcune che, a mio avviso, si elevano qualitativamente sulle altre.
Fra le numerose versioni strumentali una delle mie preferite è quella che nel 1956 Thelonious Monk incise in trio con Oscar Pettiford e Art Blakey. 


Decisamente diversa, ma altrettanto piacevole, è la swingante versione, sempre in trio, che  Ahmad Jamal esegue in questo video del 1959





Particolarmente suggestiva è anche la delicata versione in duo che, nel 1963, ne danno Bill Evans al piano e Jim Hall alla chitarra nel loro splendido CD "Undercurrent".


Fra le numerose versioni vocali la "definitiva" al momento, a mio avviso, resta quella di Billie Holiday registrata nel 1957 con Harry "Sweet" Edison (tb), Ben Webster (sax t.), Jimmy Rowles (pf), Barney Kessel (cht), Red Mitchell (bs), Alvin Stoller (btr).


Presa in tempo lento, dopo un breve intro di Kessel, Billie entra sostenuta da Webster e Kessel. Il lungo "bridge" successivo è aperto da Edison, seguito da un assolo "stile chitarra" del basso di Mitchell con Webster che conclude  il "bridge" . Billie chiude sostenuta da Edison e ancora Kessel. Strepitoso!



Esistono anche numerose versioni sia vocali che strumentali di artisti italiani come Enrico Rava, Tiziana Ghiglioni, Stefano Bollani, Renato Sellani, Dado Moroni, ecc., ma quella che mi ha incuriosito di più è stata quella del gruppo di musica alternativa Quintorigo, che una decina d'anni fa nel loro album "In Cattività" (Universal 2003) ne hanno dato una lettura decisamente originale, partendo da un'ipotetica versione radiofonica d'epoca, con la voce particolare del cantante John Di Leo riescono a creare un'atmosfera suggestiva con spunti di modernità senza forzature, che rendono il tutto gradevolmente innovativo.


giovedì 12 aprile 2012

Omaggio a Herbie Hancock



Herbie Hancock, artista eclettico e fuori dagli schemi, oggi 12 aprile compie 72 annni e da 50 è sulla scena musicale. Il suo primo album Takin' Off è del 1962 e comprendeva Watermelon Man brano che scalerà le Hit Parade di mezzo mondo. Di seguito ne riproponiamo una recente esecuzione dell'autore.




Nella sua lunga carriera Hancock ha spaziato dal jazz alla musica d'intrattenimento ed alle colonne sonore di film di successo. nel 1966 Antonioni gli commissionò la colonna sonora per il suo "Blow Up" Palma d'Oro a Cannes. 20 anni dopo nel 1986 vinse l'Oscar per la colonna sonora di "Round Midnight".



Nel 1963 Hancock entra a far parte dello storico "secondo quintetto" di Miles Davis (quello con Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams) collaborazione che durerà circa 5 anni, testimoniata da ben 13 album ufficiali e da centinaia di concerti in giro per il mondo. Nel 1964 il gruppo suonò a Milano (vds. anche qui) come testimonia il seguente video.


Mentre faceva parte del quintetto di Davis, Hancock continuò a pubblicare album a proprio nome per la Blue Note, il più famoso dei quali resta "Empyrean Isles" del 1964, con un quartetto comprendente altri due membri del quintetto di Davis (Ron Carter e Tony Williams) e la tromba di Freddie Hubbard. Da quell'album ho tratto Cantaloupe Island, la sua composizione in assoluto più famosa, divenuta un vero standard jazzistico.


Lasciato Davis, dopo una serie di dischi a suo nome nel 1976 ricostituisce un quintetto che per 4/5 ricalca quello di Davis (che all'epoca si era ritirato dalle scene) con Freddie Hubbard alla tromba, ma lo stile sarà orientato più verso il funky-jazz in voga all'epoca. Il gruppo con il nome di V.S.O.P. avrà una enorme risonanza e si esibirà in numerosi concerti. Qui un brano tratto da una esibizione al Festival del Jazz di Newport nel 1976.


Un'altra pagina storica della carriera di Hancock è rappresentata dal suo incontro con Chick Corea nel 1979 da cui scaturì un disco doppio di grande successo dal quale è tratto il brano seguente


Nel 1986 con la colonna sonora del film culto di Bertrand Tavernier "Atour de Minuit ['Round Midnight]" Hancock ottiene l'Oscar come miglior colonna sonora. Di seguito un breve assaggio di un disco che non dovrebbe mancare a chi ama questa musica.


Concludiamo questo omaggio a Hancock in occasione del suo 72° compleanno, ricordando un altro eccellente album "River - The Joni letters" dedicato all'amica Joni Mitchell, del 2007 che vinse il Grammy Award come miglior album dell'anno e come miglior disco di jazz contemporaneo, primo disco di jazz a vincere il premio come miglior album dell'anno dopo 43 anni, dai tempi di Getz/Gilberto del 1965. Il brano scelto è quello in cui è presente la stessa Mitchell.