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mercoledì 24 giugno 2015

70 anni fa con i "V-Disc" il Jazz rientrava in Italia

Una pagina di storia

Sono trascorsi 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e nei ricordi di quelli che, come me, quell'epoca l'hanno vissuta, più o meno giovani, ci sono ancora le grandi novità che arrivavano insieme alle truppe americane; il chewing gum, la Coca Cola, i piselli in polvere, il minestrone in scatola Campbell's, le Lucky Stike, le Camel, le Chestefield e la musica dei V-Disc.


Questi ultimi erano dischi a 78 giri particolari, realizzati appositamente per le truppe al fronte e stampati nell'insolito formato da 30 cm, più grande dei dischi normali, per contenere più musica, inoltre erano infrangibili, per poter essere impacchettati e spediti intorno al mondo. La V stava per Victory. 
Prodotti su iniziativa del governo degli Stati Uniti per allietare i momenti di riposo dei militari nel turbine della guerra, contenevano un repertorio fra i più vari che andava da Bing Crosby a Toscanini, dalle canzoni popolari alla musica folk, ma la parte del leone la faceva il jazz, e in particolare, lo Swing, che all'epoca era popolarissimo fra i giovani statunitensi. 




Alcuni motivi come questo In the Mood di Glenn Miller o il Boogie Woogie di Tommy Dorsey rappresenteranno una specie di colonna sonora di quello straordinario periodo.







La maggior parte di quelle incisioni erano brani originali realizzati apposta per quell'esigenza, spesso introdotti da un breve saluto dell'artista ai militari, come in questo Pee Wee Speaks con Pee Wee Russell e La Muggsy Spanier V-Disc All Stars





oppure registrazioni di trasmissioni radiofoniche, sempre dedicate. Se si considera poi che a causa del recording ban - lo sciopero dei musicisti contro le case discografiche per problemi di royalties - dal 1942 al 1944 non venne registrato nessun brano nuovo, questi dischi hanno avuto anche un valore documentario.
In Italia, con il divieto di importazione dei dischi di jazz dal 1938, in pratica il jazz era bandito, e quel poco che circolava grazie ai musicisti italiani era mascherato con titoli assurdi tipo Tristezza di San Luigi (per S. Louis Blues) o Animo Sereno (per Mood Indigo) o ancora Anime Gemelle (per I Wish I Where Twins) e così via, ma vi erano anche orchestre italiane, come quella di Pippo Barzizza, che suonavano pezzi italiani con arrangiamenti stile Big Bands. Un esempio è questo brano del 1942, dello stesso Barzizza, in cui è possibile anche apprezzare la qualità dei solisti da Sergio Quercioli al clarinetto, a Gaetano Gimelli alla tromba e Francesco Bausi alla batteria.


Questo lungo digiuno ebbe fine con l'arrivo della 5a Armata americana che, con i suoi militari, oltre alla fine della guerra e la liberazione dal fascismo, portò nuova allegria.
Adriano Mazzoletti, di un paio d'anni più vecchio di me, ricorda:
Le feste da ballo erano all'ordine del giorno ed i militari della quinta armata giungevano con sotto braccio i pacchi appena giunti dagli Stati Uniti con dentro decine di V-Disc nuovi fiammanti e, alla fine della serata, molto spesso quei dischi infrangibili rimanevano lì, sul tavolo, accanto al grammofono a manovella e non mi vergogno di dire che con gli amici si faceva man bassa.
Fu così che molti scoprirono Pee Wee Russell, Jack Teagarden, Bobby Hachett, oltre ai grandi Duke Ellington, Louis Armstrong, Lionel Hampton, Benny Goodman, Glenn Miller ecc.
Poi verso il 1948 il Dipartimento della guerra, proprietario dei diritti sui V-Disc, decise di distruggere tutte le matrici e i pezzi rimasti in circolazione divennero rarità da collezione.
All'inizio degli anni '80 una casa discografica italiana decise di ripubblicare su Lp il meglio di quei dischi in una serie di 10 volumi con il titolo "Gli anni d'oro della musica americana", e la rivista "Musica Jazz", che proprio allora aveva iniziato ad allegare al giornale un Lp, offrì ai propri lettori un disco appositamente realizzato, con una selezione della suddetta raccolta. Dopo oltre 30 anni anche questo disco è divenuto una rarità e pertanto lo riproponiamo per dare la possibilità ai più giovani che non conoscono quella musica di farsi un'idea ed ai più vecchi di rinfrescarsi la memoria.



Gli anni d'oro della musica americana
(compilation)

Musica Jazz 12/1981
(su licenza Fonit Cetra)



A1. The Tattooed Bride (part one)
Duke Ellington and his orchestra

A2. Caldonia
Woody Herman and his orchestra

A3. Gee Baby Ain't Good to You
Count Basie and his orchestra
(vocal Jimmy Rushing)

A4. Souther Scandal
Stan Kenton and his orchestra

A5. Let's Fall in Love
Benny Goodman Quintet

A6. I'm Confessin' That I Love You
Louis Armstrong and his V-Disc All Stars




B1. Tin Roof Blues
Muggsy Spanier and his V-Disc Dixieland

B2. Where or When
Art Tatum

B3. The Man I Love
Coleman Hawkins

B4. Frim Fram Sauce
King Cole Trio 

B5. There'll Be A Jubilee
Mildred Bailey

B6. Washboard Blues
Yank Lawson and his Dixieland Blues

Buon ascolto!

giovedì 4 ottobre 2012

The King of Swing at The Carnegie Hall (16 jan.1938)

Fra poco più di due mesi saranno trascorsi 75 anni da quella storica serata del 16 gennaio 1938 in cui, per la prima volta, il jazz entrò alla Carnegie Hall, fino ad allora considerata il tempio della musica classica. Questo evento di rottura avvenne grazie a Benny Goodman, che, nel corso dell'anno appena trascorso, aveva raggiunto dei vertici di popolarità impensabili per l'epoca, al punto da essere proclamato Re dello Swing, e paragonabili, fatte le debite proporzioni, a quelli di una rockstar di oggi.


L'avvenimento fece grande scalpore e rappresentò un punto di svolta nei programmi della sala da concerto newyorkese, che costituirà l'avvio di manifestazioni analoghe negli anni successivi. Duke Ellington, Charlie Parker, Billie Holiday, Miles Davis e molti altri, negli anni, si sarebbero esibiti su quel palcoscenico. 
Il successo fu strepitoso, nonostante il pubblico non fosse costituito dai giovanissimi fans del clarinettista, ma, prevalentemente, da signori della classe benestante in abito da sera e smoking, come si può constatare dal seguente video realizzato con filmati d'epoca.


Il critico del New York Times il giorno dopo scrisse che Benny Goodman, che indossava un elegantissimo frack, venne accolto dalla sala con un caloroso applauso, come se fosse stato Toscanini.
Il concerto venne registrato con un solo microfono posto in alto sopra il palco, e quelle registrazioni rimasero in un cassetto per oltre vent'anni. Finalmente con l'avvento del Long Playing la CBS ebbe l'idea di pubblicare l'intero concerto contenuto in due dischi da 33 giri, consentendo agli appassionati di godere di questo storico evento.




Il concerto si aprì con le note di Don't Be That Way eseguita dall'orchestra con gli assolo nell'ordine di Benny Goodman, Babe Russin al sax tenore, Harry James alla tromba e Gene Krupa alla batteria, entrambi accolti da scroscianti applausi, e infine Vernon Brown al trombone.


L'orchestra continuò con Sometimes I'm Happy, non incluso nel disco perché la registrazione era difettosa.
Il brano successivo era One O'Clock Jump, un omaggio a Count Basie, - presente quella sera e che più avanti prenderà parte alla jam session - con un lungo solo iniziale del pianista Jess Stacy, gli altri solisti sono nell'ordine Russin, Brown, Goodman e James.



La fase successiva del concerto prevedeva una specie di rassegna storica intitolata "Venti anni di Jazz" e per l'occasione all'orchestra si unirono alcuni famosi solisti: Bobby Hackett alla cornetta, e gli ellingtoniani Johnny Hodges al sax soprano, Harry Carney al sax baritono e Cootie Williams alla tromba. 
Vennero eseguiti brani storici per ricordare l'evoluzione del jazz dalle origini, aprendo con un omaggio alla Original Dixieland Jazz Band. Il brano scelto era Sensation Rag eseguita quasi alla lettera da Goodman con Gordon Griffin al sax ten., Vernon Brown al trombone, Gene Krupa alla batteria e Jess Stacy al piano.


Il brano successivo era I'm Coming Virginia, un omaggio a Bix Beiderbecke, con Bobby Hackett alla cornetta e Allan Reuss alla chitarra che esegue la parte che era di Eddie Lang.


Il jazz di Chicago degli anni '20 e l'orchestra di Ted Lewis sono l'oggetto con When My Baby Smiles at Me del successivo omaggio


Non poteva mancare un breve omaggio a Louis Armstrong con Shine eseguito da Harry James.


L'omaggio successivo è all'altro grande maestro: Duke Ellington, in questo Blue Reverie in cui emergono gli ellingtoniani Hodges, Carney e Williams con al piano Jess Stacy.


Segue un'autocelebrazione dell'orchestra, con questa poderosa esecuzione di Life Goes to Party. Il brano scritto da Harry James e Benny Goodman, era dedicato al magazine illustrato Life, che aveva pubblicato un ampio servizio fotografico di una tournée dell'orchestra.



La fase della rievocazione storica si conclude con un'affollata e lunga jam session sulle note di Honeysuckle Rose, il noto brano di Fats Waller. Sul palco salgono Count Basie, con alcuni suoi orchestrali: Lester Young, Buck Clayton, Freddie Green, Walter Page, gli ellingtoniani Johnny Hodges e Harry Carney e infine Benny Goodman con i suoi Harry James, Vernon Brown e Gene Krupa. Quasi un quarto d'ora di puro jazz nel quale i protagonisti si alternano in brillanti performances solistiche. 


La fase successiva è dedicata ai piccoli complessi di Goodman: il trio con Teddy Wilson e Gene Krupa ed il quartetto con l'aggiunta del vibrafono di Lionel Hampton. Il trio esegue una particolare versione di Body and Soul


Il quartetto segue con tre brani del proprio classico repertorio: Avalon


seguito da The Man I Love


per concludere con I Got Rhythm



Dopo il quartetto rientrò l'orchestra per un'ulteriore sequenza di brani, cominciando con un famoso standard Blue Skies, nell'elegante arrangiamento di Fletcher Henderson, aperto dalla sezione delle trombe, con l'intervento di Vernon Brown e successivamente quello di Adrian Rollini al sax tenore, di Harry James alla tromba e di Goodman.


Il brano seguente era un motivo tradizionale scozzese Loch Lomond, arrangiato da Claude Thornill e affidato alla voce di Martha Tilton, voce solista dell'orchestra. La tromba è sempre quella di Harry James.


Un altro noto standard di Rogers & Hart, arrangiato ancora da Flether Henderson, Blue Room con in evidenza la tromba di Gordon Griffin.


Segue un tipico brano goodmaniano Swingtime in the Rockies, tromba solista Ziggy Elman


conclude questa seconda parte dell'orchestra un brano particolare tratta da un musical Bei Mit Bist Du Schon, reso celebre dalle Andrews Sisters, qui ripreso da Martha Tilton e da Ziggy Elman.


Nel brano successivo si torna al trio con un altro suo popolarissimo tema China Boy con un vivace confronto tra la batteria di Krupa e i vibrafono di Hampton 


il quartetto invece si cimenta qui in un brano di solito eseguito dall'orchestra il famoso Stomping at the Savoy


e conclude con un vivacissimo Dizzy Spells, composizione collettiva del gruppo, che consente di valutare a pieno le qualità virtuosistiche dei componenti 


Per il gran finale torna l'orchestra con quel Sing, Sing, Sing brano entrato nella leggenda grazie, soprattutto, alla vulcanica esibizione di Gene Krupa.


Il successo fu travolgente, gli applausi si conclusero con una standing ovation e i bis furono più di uno. Nel album venne tuttavia riportato solo Big John's Special, un vecchio successo di Fletcher Henderson ripreso da Goodman e divenuto presto uno dei brani più noti dell'orchestra.


In conclusione uno storico avvenimento che ancora oggi è pienamente godibile nonostante siano passati 75 anni, la mia intera vita!!!

P.S.: un particolare ringraziamento va al canale Irh1966 di Youtube che ha avuto la pazienza di postare l'intero album con tracce di qualità molto buona.

martedì 18 settembre 2012

I miei standards preferiti: Blue Skies (1927)


Per questo decimo capitolo della serie dedicata agli standards ho pescato nello sterminato Songbook di uno dei più prolifici e geniali compositori: Irving Berlin (1888 - 1989) che fu anche paroliere di se stesso.


Nato in Siberia da genitori ebrei - il suo nome era Israel Baline -  quando aveva 4 anni i genitori dovettero emigrare negli USA, per sfuggire ad uno dei tanti sanguinosi progroms zaristi, e si stabilirono a New York dove egli intorno ai 20 anni iniziò la sua lunga e fortunata carriera, avviata quasi subito al successo con Alexander Ragtime Band del 1911.
Blue Skies invece è del 1927 ed ebbe una genesi casuale, infatti venne richiesta all'autore, all'ultimo momento, per completare le musiche di una rivista di Broadway, scritta da Rogers e Hart: Betsy.
Mentre il musical in sé fu tutt'altro che un successo e venne sospeso dopo solo una trentina di repliche, la canzone fin dalla prima serata venne accolta con straordinario calore dal pubblico che, alla fine dello spettacolo, chiese ben 24 bis.
La prima registrazione discografica venne realizzata da Ben Selvin e raggiunse subito il primo posto nelle vendite discografiche di quello stesso anno. Quella versione è presentata qui di seguito


La popolarità del brano era tale che, quello stesso anno, venne incluso anche nel primo film sonoro della storia del cinema The Jazz Singer, eseguito da Al Jolson.




Il successo, grazie ai dischi e al film, si estese anche all'Europa, dove la canzone venne ripresa ed incisa da Josephine Baker,




Da allora il brano è divenuto gradualmente un successo planetario eseguito della orchestre più famose e dai cantanti più illustri, raggiungendo più volte nelle varie interpretazioni i vertici delle classifiche discografiche.
Benny Goodman lo incluse nel suo repertorio fin dagli inizi e lo esegui anche nel famoso concerto del 1938 che per la prima volta fece entrare il jazz alla Carnegie Hall, fino ad allora tempio della musica classica.




Anche Duke Ellington, nei vari concerti che negli anni '40 tenne alla Carnegie Hall, ne presentò un particolare arrangiamento di Mary Lou Williams, intitolato Trumpet No End, che metteva in evidenza la sezione di trombe dell'orchestra. Di seguito l'esecuzione che chiudeva il concerto del 27 dicembre 1947. le trombe sono: Francis Williams, Al Killian, Shorty Baker e Shelton Hemphill.


L'orchestra di Tommy Dorsey ne affidava invece l'interpretazione alla voce della stella emergente dell'epoca: Frank Sinatra, qui in una incisione del 1941.



Il brano ebbe all'epoca, una certa diffusione anche in Italia grazie all'interpretazione di Gorni Kramer



che all'inizio degli anni '40 ne incise una versione con il suo complesso e che, per le note leggi contro le parole straniere, dovette intitolare: Cieli Azzurri.

.

Nel dopoguerra la popolarità del brano rimase invariata per molti anni, grazie a numerose versioni, soprattutto vocali, che si susseguirono nel tempo.
Fra queste ne segnalo due, una femminile e una maschile, che a mio avviso, sono fra le più significative dal punto di vista jazzistico.




La prima è di Dinah Washington, dall'album  After Hours with Miss D del 1953 con, fra gli altri, Junior Mance al piano, Eddie"Lockjaw" Davis al sax tenore e Clark Terry alla tromba.



La versione maschile scelta è quella di Johnny Hartman dall'album All of Me del 1956


con l'orchestra di Ernie Wilkins comprendente, fra gli altri, Howard McGhee alla tromba, Lucky Thompson al sax tenore e Hank Jones al piano.




Nel 1978 la canzone ebbe una seconda giovinezza grazie al famoso folk-singer Willie Nelson, il quale, con una versione vagamente country, raggiunse i vertici delle vendite, rimanendovi per lungo tempo e l'album Stardust che comprendeva il brano vendette milioni di copie ed ancora oggi risulta fra i suoi più veduti.




In questi ultimi 30 e passa anni la canzone ha continuato ad essere riproposta, sia in versione strumentale, sia in versione vocale da numerosissimi artisti. Fra le diverse decine di esecuzioni più o meno brillanti ne ho scelto tre differenti per stile e qualità. La prima del 1994 vede Oscar Peterson, cimentarsi con il violinista classico Itzak Perlman. Due virtuosi dei rispettivi strumenti in una esecuzione che si differenzia da quelle più diffuse.


La cantante e band leader canadese Susie Arioli nel 2008 ne incluse una versione nel suo album "Night Light


che ebbe un discreto successo e venne spesso ripresa nei diversi concerti. Di seguito l'esecuzione al Festival del Jazz di Montreal del 2011. Una vivace versione Live che conferma la popolarità della canzone, nonostante i suoi 85 anni.


Concludiamo questa rassegna con una voce maschile, quella del crooner nostrano Mario Biondi con l'esecuzione tratta dal suo eccellente doppio CD dello scorso anno: Due.

venerdì 1 giugno 2012

I miei standards preferiti: Darn that Dream (1939)


Darn That Dream, ancora oggi uno degli standards più battuti dai jazzisti di tutto il mondo, venne composto nel 1939 dalla coppia Jimmy Van Hausen per la musica e Eddie DeLange per i testi, nell'ambito di un musical di Broadway, Swingin' the Dream, che prendeva spunto dalla commedia di Shakespeare Midsummer Night's Dream, ambientandola nella New Orleans del 1890, con un cast prevalentemente di colore.
Contrariamente ad altri musicals tratti da opere shakespeariane, come ad esempio Kiss Me Kate (tratta dalla Bisbetica Domata), questo fu un fiasco e venne sospeso dopo solo 13 repliche, nonostante la presenza nel cast di artisti all'apice del successo come Louis Armstrong, Maxine Sullivan, le Dundridge Sisters ecc., il contributo musicale per alcuni brani di Count Basie e la partecipazione del sestetto di Benny Goodman.


Il brano era cantato in scena da Armstrong, la Sullivan e le Dundridge Sisters ed è l'unico sopravvissuto di quello spettacolo, grazie a Benny Goodman che ne colse immediatamente il valore e ne incise subito una versione con la sua orchestra, cantata da Mildred Bailey,


che possiamo ascoltare nel seguente video


Il successo fu immediato e la canzone venne ripresa da altre  orchestre fra cui quella di Tommy Dorsey che ne registrò, sempre nel 1940, una versione con la voce di Anita Boyer, mentre la prima versione vocale maschile fu quella dell'orchestra di Blue Barron (alla quale si riferisce l'immagine posta all'inizio) con la voce di Russ Carlyle, uno dei più popolari cantanti del momento. 
Con gli anni il brano divenne sempre più diffuso, anche in versione solo strumentale.



Nel 1950, nell'ambito delle sedute d'incisione di Miles Davis divenute note come Birth of the Cool, venne realizzata una versione cantata da Kenny Hagood, un crooner alla Billy Eckstine presto dimenticato. I musicisti erano oltre a Miles, J.J. Johnson (tbn), Gunther Schuller (corno fr.), Bill Barber (tuba), Lee Konitz (sax a.), Gerry Mulligan (sax b. e arr.), John Lewis (pf), Al McKibbon (bs), Max Roach (btr).



Il brano tuttavia risultò abbastanza fuori contesto rispetto alle incisioni strumentali, in quanto, nonostante il buon arrangiamento di Mulligan, l'esecuzione del cantante era troppo "convenzionale".  Infatti dopo essere uscito come lato B del 78 giri con lo straordinario Venus de Milo, venne escluso per molti anni dagli LP che comprendevano gli altri brani di quelle sedute.



Il mio interesse per Darn that Dream iniziò nella seconda metà degli anni '50, quando per la prima volta ascoltai  la versione strumentale  che Gerry Mulligan registrò nel 1953 con il quartetto comprendente Chet Baker


Ne rimasi profondamente incantato e da allora quel brano è entrato in quella che chiamo la mia personale Hall of Fame, inducendomi a raccogliere nel mio archivio musicale alcune decine di diverse versioni del brano, sia vocali, sia strumentali. Non potendo qui enumerarle tutte mi limiterò a segnalarne alcune che, a mio avviso, si elevano qualitativamente sulle altre.
Fra le numerose versioni strumentali una delle mie preferite è quella che nel 1956 Thelonious Monk incise in trio con Oscar Pettiford e Art Blakey. 


Decisamente diversa, ma altrettanto piacevole, è la swingante versione, sempre in trio, che  Ahmad Jamal esegue in questo video del 1959





Particolarmente suggestiva è anche la delicata versione in duo che, nel 1963, ne danno Bill Evans al piano e Jim Hall alla chitarra nel loro splendido CD "Undercurrent".


Fra le numerose versioni vocali la "definitiva" al momento, a mio avviso, resta quella di Billie Holiday registrata nel 1957 con Harry "Sweet" Edison (tb), Ben Webster (sax t.), Jimmy Rowles (pf), Barney Kessel (cht), Red Mitchell (bs), Alvin Stoller (btr).


Presa in tempo lento, dopo un breve intro di Kessel, Billie entra sostenuta da Webster e Kessel. Il lungo "bridge" successivo è aperto da Edison, seguito da un assolo "stile chitarra" del basso di Mitchell con Webster che conclude  il "bridge" . Billie chiude sostenuta da Edison e ancora Kessel. Strepitoso!



Esistono anche numerose versioni sia vocali che strumentali di artisti italiani come Enrico Rava, Tiziana Ghiglioni, Stefano Bollani, Renato Sellani, Dado Moroni, ecc., ma quella che mi ha incuriosito di più è stata quella del gruppo di musica alternativa Quintorigo, che una decina d'anni fa nel loro album "In Cattività" (Universal 2003) ne hanno dato una lettura decisamente originale, partendo da un'ipotetica versione radiofonica d'epoca, con la voce particolare del cantante John Di Leo riescono a creare un'atmosfera suggestiva con spunti di modernità senza forzature, che rendono il tutto gradevolmente innovativo.


martedì 6 dicembre 2011

Peggy Lee: fascino e swing

Pubblicato giovedì 13 dicembre 2007

Nel 1958 quando ascoltai per la prima volta alla radio Fever avevo poco più di vent'anni e rimasi colpito, come molti altri della mia generazione, dalla straordinaria, per allora, modernità di quella musica e corsi a comperare il 45 giri che conservo tuttora.


Quella canzone col tempo divenne un successo planetario ed è stata una delle più famose della seconda metà del novecento, ripresa anche da altri artisti, ricordo ad esempio la versione un pò hard di Madonna del 1992.
Scritta nel 1956 da Eddie Cooley e John Davenport (pseudonimo di Otis Blackwell, noto songwriter che con alcuni suoi brani, ha contribuito al successo del rock and roll), inizialmente venne incisa da Little Willie John, cantante di R&B, ma solo con l'interpretazione di Peggy Lee questo brano entrerà nella storia del della musica "pop" e farà la fortuna della cantante, legandola però indissolubilmente alla canzone, che sarà costretta ad interpretare in ogni suo show.
Il video qui proposto (del 1984) ne è un esempio.




Il legame fra questa canzone e questo blog va ricercato nelle origini musicali della cantante.
Peggy Lee (1920-2002, per l'anagrafe Norma Delores Engstrom, di chiare origini svedesi) cominciò a cantare giovanissima. Nel 1941 fu notata da Benny Goodman, il quale la scritturò per sostituire Helen Forrest, che aveva appena lasciato l'orchestra.
La militanza con Goodman le dette una grande popolarità, grazie anche alla partecipazione con l'orchestra ad alcuni films, cosa allora abbastanza frequente.
Il video successivo è tratto da uno di quei films, Stage Door Canteen, filmetto musicale di nessun interesse. Il brano interpretato è Why Don't You Do Right all'epoca un grande successo. Notate come Goodman si coccola con gli occhi la cantante.


Gli appasionati di cartoons ricorderanno la conturbante versione di Jessica Rabbit in Chi ha incastrato Roger Rabbit?


Negli anni trascorsi con Goodman Peggy incise molte canzoni, tutte pubblicate in 78 giri e poi raccolte in vari albums come quello mostrato di seguito.


Durante la permanenza nell'orchestra, Peggy conobbe il chitarrista Dave Barbour che, di lì a poco, diventerà suo marito. Verso la fine del 1943 i due lasciarono l'orchestra e, per un certo periodo, lei si ritirò dalle scene per fare la moglie e la madre. L'assenza durerà alcuni anni poi, spinta dal marito, che nel frattempo aveva creato una propria orchestra, tornò a cantare con successo.
Il repertorio di quegli anni è stato raccolto in diversi albums come quello riprodotto qui di seguito.

Agli inizi degli anni '50 il diffondersi della TV indusse molti artisti a filmare, talvolta anche sceneggiandole, le loro canzoni, come si può vedere nei due video che seguono e che ci mostrano una Peggy Lee nel fulgore dei trent'anni in due interpretazioni piene di swing.
La prima, sceneggiata, è I Don't Know Enough About You con il solo Barbour alla chitarra.


La seguente è You Was Right, Baby con un quartetto comprendente sempre il marito alla chitarra.


La sua carriera continuò tranquilla, poi a 38 anni con Fever la svolta che la farà diventare una star della musica leggera internazionale, con un successo che durerà fino alla morte avvenuta 5 anni fà. Però, come ha scritto un suo biografo, «grazie a Fever, non morirà mai».

lunedì 5 dicembre 2011

Italian Swing Revival (1985)


Pubblicato venerdì 23 novembre 2007

La nascita dello Swing viene unanimemente fatta risalire ad una sera d'agosto del 1935 nella quale, alla fine di un concerto tenuto alla Palomar Ballroom di Los Angeles, a Benny Goodman e alla sua orchestra venne tributato un clamoroso successo da parte dei giovani presenti.


Un successo che tramite la radio, allora principale mezzo di diffusione della musica, divenne ben presto travolgente e si propagò in tutto il paese. Da quel momento, fino almeno al 1944, Benny Goodman, sia con l'orchestra, sia con le piccole formazioni: trio, quartetto e sestetto, rappresentò l'apice e la quintessenza dello swing.


I puristi storsero il naso e si rifiutarono di considerare questa musica allegra e spensierata come jazz, ma senza lo swing, che rappresentò la transizione, non ci sarebbe stato il jazz moderno.
I motivi di questo strepitoso successo vanno ricercati nella situazione socio-econimica del  paese che stava risalendo dal baratro in cui era precipitato con la crisi del 1929. La voglia di divertirsi e di ballare era molto diffusa in quanto tutti volevano dimenticare le difficoltà di quegli anni e questa nuova musica divenne la colonna sonora della ripresa economica, del "New Deal".
Nel 1985 in occasione del 50° anniversario della nascita ufficiale dello swing, un gruppo di musicisti romani, che da alcuni anni si dedicavano al revival di questa musica, incise un LP in cui proponevano una serie di loro composizioni "collettive" originali, sia per celebrare l'anniversario, sia per dimostrare la vitalità e l'attualità dello swing.
Il gruppo era il Sestetto Swing di Roma, che si ispirava all'analogo gruppo di Goodman e comprendeva alcuni dei più apprezzati strumentisti italiani quali Baldo Maestri (1923) al clarinetto, Franco Chiari (1927-1993) al vibrafono, Roberto Pregadio (1928) al piano, Carlo Pes (1927) alla chitarra, Alessio Urso (1948) al basso e Roberto Zappulla (1932) alla batteria. Un gruppo di straordinari professionisti, attivi non solo nel jazz, oggi purtroppo pressoché dimenticati.


L' LP, uscito nella serie Italian Jazz Club della Fonit Cetra, può essere ascoltato qui sotto.


lunedì 28 novembre 2011

Musica di 70 anni fà

Pubblicato lunedì 11 giugno 2007

Nei giorni scorsi mentre mi trovavo nella casa al mare alle prese con gli imbianchini, ho superato la soglia delle settanta primavere. Per sottolineare il raggiungimento di questo traguardo ho cercato qualcosa che vi si potesse collegare ed ho scelto un video risalente all'epoca dei miei natali.


Si tratta di un'esibizione dell'orchestra di Benny Goodman, dal film "Hollywood Hotel" girato proprio nell'estate del 1937, in piena Swing Craze.
In quegli anni la popolarità di Goodman (allora 28enne) era alle stelle, paragonabile, per l'epoca, a quella che oggi hanno Springsteen o Madonna negli Usa o Vasco Rossi in Italia.
Nel filmato è possibile vedere l'orchestra nella formazione tipica di quegli anni, oltre al leader si vedono Harry Goodman (fratello maggiore) al basso,  Jess Stacy al piano, l'indiavolato Gene Krupa alla batteria e Allan Reuss alla chitarra; le trombe sono: un giovanissimo (appena 21enne) Harry James che ha anche spazio per un "a solo", Ziggy Elman, Gordon Griffin e John Davis, i tromboni sono Vernon Brown e Red Ballard, i saxes Vido Musso, Hymie Schertzer, Arthur Rollini e George Koenig. Una formazione di tutto rispetto.
Il titolo assegnato al filmato è Sing, Sing, Sing, in realtà il riff è quello di Christopher Columbus, che costituirà la base per il futuro strepitoso successo del suddetto brano, grazie all'indimenticabile Gene Krupa.
Benny Goodman è stato uno dei miei idoli da ragazzo. Quando avevo 18-19 anni vidi il film "The Benny Goodman Story" e ricordo che rimasi entusiasta per quella musica. Quando poco dopo finalmente anche in casa mia entrò un giradischi, uno dei primi dischi che comprai fu un LP con i principali successi di Goodman, sia con l'orchestra, sia con il trio-quartetto (con Teddy Wilson, Lionel Hampton e Gene Krupa).
Con il passare degli anni le mie conoscenze jazzistiche si sono ampliate e sono passato ad ascoltare Armstrong, Basie, Ellington, poi Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane e tutti gli altri grandi, ma lo swing di quegli anni lo ascolto sempre volentieri e con un pò di nostalgia.