Roberto Del Piano è un bassista jazz di grande spessore (non solo fisico), con alle spalle una storia musicale variegata e un'attività discografica cospicua, soprattutto negli anni '70 e '80, mai a proprio nome, ma con gruppi ormai storici come l'Idea Trio di Gaetano Liguori, il Gruppo Contemporaneo di Guido Mazzon, il Jazz Quatter Quartet con il fratello Enrico, ottimo batterista e il trombettista Mario Fragiacomo, per citarne solo alcuni.
Dopo una lunga parentesi di eremitaggio musicale durata una decina d'anni e una graduale ripresa dell'attività, superata abbondantemente la sessantina ha finalmente pubblicato un disco a proprio nome, un doppio CD dal poetico titolo La Main Qui Cherche La Lumière.
I due CD sono stati registrati a tre anni di distanza l'uno dall'altro - con la coppia Roberto Del Piano e Massimo Falascone (vecchio compagno di tante avventure musicali) sempre presente, tranne alcuni brani del secondo CD - e sono abbastanza diversi fra loro. Il primo è più radicale, sperimentale, aggressivo mentre il secondo è più intimistico, più fluido.
Hanno contribuito alla realizzazione del primo disco anche Silvia Bolognesi al double bass, Pat Moonchy vocalist, Roberto Masotti e Robin Niko strumenti elettronici, tutti compagni d'avventura dei suddetti nel gruppo sperimentale TAI NO-ORCHESTRA.
I dieci brani ivi contenuti sono molto vari e spaziano fra assonanze e dissonanze, combinazioni di sonorità che sembrano uscire da una "scatola dei rumori", effetti elettronici, guizzanti sberleffi di tipo futurista, un insieme di sperimentazioni che richiamano, per diversi spunti voluti o meno, opere classiche di musicisti come Luigi Nono, Luciano Berio, Edgard Varese, ecc..
Nei vocalizzi della bravissima Pat Moonchy ho trovato una certa assonanza, fatte le debite proporzioni, con Cathy Berberian nei Circles di Luciano Berio.
Il secondo CD si avvale della collaborazione di Marco Colonna, romano classe 1978, talentuoso poli-strumentista con la predilezione per la famiglia dei clarini in versione free-jazz e avanguardia, secondo alcuni critici "uno dei migliori creatori di musica della sua generazione". In cinque brani è presente anche la batteria di Stefano Giust, altro membro della citata TAI NO-ORCHESTRA e creatore dell'etichetta molto "indipendente" Setola di maiale, che si dedica a "il suono delle minoranze rumorose".
Questo disco si differenzia dal primo per un diverso approccio all'improvvisazione: più introspettiva, meno caotica (nel senso di caos creativo), con spazi di atmosfere oniriche e con elaborati dialoghi ance-basso che denotano un affiatamento anche nell'estemporaneità dell'improvvisazione.
In sintesi un disco coraggioso, un po' ostico, adatto agli appassionati del genere. Una testimonianza preziosa degli sforzi di un artista di percorrere strade nuove o poco battute, in un panorama jazzistico italiano abbastanza asfittico.
Mi aspetto già i quesito: ma questo è ancora jazz?
In una situazione come quella odierna in cui "tutti voglion fare jazz" come i gatti di Walt Disney, in cui l'etichetta jazz viene spesso appiccicata a prodotti commerciali per cercare di nobilitarli, una domanda del genere non ha senso.
Il problema eventuale è quello della fruibilità, in quanto l'ascolto non può che essere riservato a un pubblico ristretto, scelto, attento, preparato in grado di apprezzare lo sforzo creativo e di percepire l'atmosfera che circonda i musicisti talvolta in preda ad una specie di trance collettiva.
Come ogni artista che cerca con la propria opera di lasciare una traccia del suo percorso di ricerca, Roberto Del Piano ha voluto imprimere su disco la sua concezione di essere musicista jazz oggi e gliene va reso merito.