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venerdì 5 giugno 2015

Frank Sinatra e Billie Holiday: il centenario


Questo blog si accinge a concludere il suo 9° anno di vita, prima su Splinder e poi dal dicembre 2011 su questa piattaforma, riscuotendo un discreto apprezzamento con quasi 100 mila contatti negli ultimi tre anni e mezzo. Risultato apprezzabile se si pensa che per gravi problemi di salute in famiglia, da circa un anno l'attività è stata pressoché sospesa.
Per celebrare il mio prossimo 78° compleanno e l'ingresso nel 10° anno del blog proviamo a riavviare l'attività, con la speranza di poter continuare ed arrivare a raggiungere il traguardo dei 10 anni.


Ripartiamo tornando indietro di un secolo.

Il 1915, anno particolarmente infausto per le vicende belliche che insanguinarono l'Europa, fu al contrario un anno straordinariamente felice per il mondo della canzone statunitense. Quell'anno infatti nacquero due dei più grandi cantanti del XX secolo: Billie Holiday e Frank Sinatra. 
I due erano buoni amici e non nascondevano la reciproca ammirazione.


Sinatra esternava spesso la sua stima nei confronti di Lady Day, una volta dichiarò:
Billie Holiday, che ascoltai la prima volta verso la fine degli anni '30 nei clubs della 52nd Street, era e rimane la mia principale fonte d'influenza musicale.
Ed ancora, dopo la sua morte, ebbe a dire:
Lady Day rimane, indiscutibilmente, quella che ha lasciato il maggior influsso sulla musica popolare americana negli ultimi 20 anni. Con poche eccezioni, i principali cantanti della sua generazione sono stati influenzati dal suo genio.


Anche Billie ammirava Sinatra, ma i due non cantarono mai insieme. Tuttavia lei volle incidere I'm a Fool to Want You , celebre brano composto da Sinatra e dedicato ad Ava Gardner.


Di Lady Day l'anniversario si è già celebrato il 7 aprile scorso ed ha prodotto, oltre alle solite riedizioni dei principali album della cantante, una serie di "omaggi" da diversi cantanti, non sempre felici, se non velleitari.
Degno di attenzione invece è, a mio avviso, il doppio CD Hunger and Love - Billie Holiday 1915 2015 della casa discografica leccese Dodici Lune.


In esso 24 jazz vocalists italiane affrontano e interpretano con la propria personalità il repertorio di Billie, capeggiate da Tiziana Ghiglioni, che si cimenta con l'inedito Eclipse, un brano scritto da Charles Mingus per Billie Holiday, ma che non è mai stato registrato. Una serie di piacevoli esecuzioni, tutte più o meno gradevoli, fra le quali spicca uno struggente Lover Man eseguito da Paola Arnesano, accompagnata alla fisarmonica da Vince Abbracciante. Un album molto interessante, utile anche per conoscere il vasto panorama delle numerose bravissime jazz vocalists italiane.

Per Frank Sinatra, invece, l'anniversario cade il 12 dicembre prossimo.


Tuttavia il mercato discografico si è già scatenato con una serie di pubblicazioni rievocative.
Fra queste ha attirato la mia attenzione Ultimate Sinatra (Capitol 2015) una raccolta di 4 CD che spazia con 100 titoli su tutta la carriera del cantante dal 1939 al 1994, unendo, contrariamente alle raccolte già esistenti, materiali delle diverse case discografiche che nel tempo hanno avuto sotto contratto Sinatra.


I quattro CD costituiscono una specie di super-compilation che raccoglie tutti i maggiori successi di 55 anni di carriera. 101 titoli (compreso un inedito) scelti fra i più famosi, realizzati con celebri orchestre come Harry James, Tommy Dorsey, Billy May, Nelson Riddle, Quicy Jones ecc..
Come giustamente dice il titolo una raccolta "Definitiva" in grado di soddisfare sia i vecchi appassionati, che possono avere a disposizione il meglio, senza dover andare a pescare fra i vecchi LP o CD i brani preferiti, il tutto con una trentina di euro, sia quei giovani più curiosi, che non conoscono questo genio della musica e possono documentarsi facilmente.

domenica 28 ottobre 2012

I miei standards preferiti: My Old Flame (1934)


Questa celebre ballad, scritta da da Arthur Johnston con testo di Sam Coslow, venne eseguita per la prima volta dalla popolarissima attrice e cantante Mae West nel film Belle of the Nineties del 1934. La bella e procace signora era accompagnata al piano da Duke Ellington, attorniato da alcuni suoi musicisti in una rilassata atmosfera da club.



Inizialmente la produzione aveva rifiutato la presenza di Duke Ellington, ritenendo inammissibile che una cantante bianca fosse accompagnata da musicisti neri, l'orchestra doveva essere bianca. Al limite Ellington e i suoi potevano registrare la colonna sonora, ma in scena avrebbero dovuto apparire musicisti bianchi. Solo grazie alla testardaggine della West, che voleva assolutamente il  Duca, la presenza dell'orchestra venne accolta.



 Nello stesso anno Duke Ellington ne realizzò anche una versione discografica con la parte vocale affidata ad Ivie Anderson, all'epoca cantante dell'orchestra.


Per diversi anni, questa sembra essere l'unica incisione discografica in circolazione. Solo nel 1941 Benny Goodman riprese il brano con la sua orchestra, affidandone la parte vocale alla giovane Peggy Lee, all'epoca poco più che ventenne. La tromba dovrebbe essere quella di Billy Butterfield.


Nello stesso periodo anche Count Basie ne registrò una versione con la voce di Lynne Sherman. Alle versioni vocali, all'inizio tutte abbastanza simili, cominciarono ad aggiungersi versioni strumentali di maggior interesse jazzistico, grazie anche ad assolo di eccellenti musicisti.
Cronologicamente la prima versione che ho trovato è quella realizzata nel 1944 dall'orchestra del trombettista Cootie Williams (uno dei musicisti che suonavano con Ellington nel video di Mae West). 



Il piano che introduce il brano è quello di un giovane Bud Powell appena ventenne; l'altro solista, oltre al leader ed a Powell, è il tenorsassofonista Eddie "Lockjaw" Davis. La linea melodica viene inizialmente affidata alla tromba e in seguito viene rielaborata dal sassofono. Un primo elementare tentativo di novità rispetto alle prcedenti versioni vocali.


L'anno successivo una All Stars, guidata dal trombonista Bennie Morton, ne registrò un'altra interessante versione strumentale, in cui l'elaborazione solistica della linea melodica si fa più concreta. I solisti,  nell'ordine, sono: il clarinettista Barney Bigard (lo stesso che seduto sul pianoforte suona nel video iniziale della West), seguito dal trombone del leader, dal sassofono di Ben Webster e dal piano di Sam Beskin, con una breve chiusura sempre di Morton.


Dobbiamo però aspettare il 1947 per avere finalmente una versione jazzisticamente significativa: quella del quintetto di Charlie Parker comprendente un ancora acerbo Miles Davis alla tromba, Duke Jordan al piano, Tommy Potter al basso e Max Roach alla batteria, un'esecuzione rimasta memorabile.


Nel 1950 uno Stan Getz ventitreenne, appena uscito dal "gregge" di Woody Herman, in cui si era distinto come uno dei famosi Four Brothers, ne realizza una versione per solo sax e rhythm session decisamente originale e apprezzabile per la qualità improvvisativa. Il basso in evidenza è quello di Percy Heath, al piano Tony Aless e alla batteria Don Lamond.


Un'altra incisione di grande interesse per la sua particolarità è quella realizzata nel 1953 dal "piano less" quartet di Gerry Mulligan con Chet Baker alla tromba. L'interplay fra tromba e sax baritono è di grande efficacia e rende questa esecuzione una delle migliori mai realizzate. Chet rimarrà molto legato a questo standard, che eseguirà spesso nei suoi concerti, anche dopo aver lasciato Mulligan, e ne esistono numerose versioni registrate negli anni. Il quartetto Mulligan-Baker ne incise anche una versione cantata con la voce di Annie Ross.


L'anno seguente, 1954, il brano viene registrato dal trio di Oscar Peterson con Ray Brown al basso ed Herb Ellis alla chitarra e successivamente incluso nell'LP Pastel Moods



Un'elegante e sofisticata lettura che evidenzia le grandi qualità interpretative dei tre eccellenti solisti.




Nei decenni successivi numerosi artisti si cimentarono con questo standard, ma nessuna di queste interpretazioni, a mio avviso, regge il confronto con le ultime quattro presentate qui sopra. 
Una curiosità riguardo a questo brano è rappresentata dal fatto che, a quel che mi risulta, non esistono versioni vocali maschili ad eccezione di quella realizzata nel 1957 da Matt Monro, crooner inglese molto popolare negli anni '60, versione che però restò inedita fino al 2010, anno in cui fu inclusa in una speciale raccolta contenente tutti i suoi 45 giri, 25 anni dopo la morte.


Si tratta di una versione molto convenzionale, di scarso interesse, ricordata solo per completezza d'informazione, trattandosi dell'unica versione vocale maschile che ho reperito.
Prima di chiudere un breve cenno anche al jazz italiano in quanto anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo standard. Di seguito ne segnalo tre che ritengo fra le più significative.



La cantante Tiziana Ghiglioni nel suo album del 1983 Sounds of Love in cui è accompagnata da un trio d'eccezione con Kenny Drew al piano, N-H. Ø. Pedersen al basso e Barry Altschul alla batteria, ne offre una lettura piena di colore e sensibilità all'altezza delle migliori interpretazioni vocali del passato.



Nel 2005 il giovane sassofonista siciliano Francesco Cafiso, all'epoca solo sedicenne, con il suo New York quartet ne realizza, per il CD New York Lullaby, una lunga versione nella quale vengono messe in evidenza le sue indiscutibili doti tecniche ed improvvisative.


Nello stesso anno il pianista Enrico Pieranunzi ne incide una particolarissima versione contenuta nell'eccellente album Special Encounter 


L'elegante pianismo di Pieranunzi sostenuto dal virtuosismo del bassista Charlie Haden e dalla batteria discreta di Paul Motian trasforma questa ballad in un raffinato esercizio stilistico di grande effetto emozionale.


sabato 17 dicembre 2011

Il canto jazz coniugato al femminile – parte II

Repost from Splinder (23 nov. 2009)

In questa seconda selezione di canto jazz al femminile ho ampliato il panorama, spaziando anche verso aree più esotiche, in un lasso di tempo che va dai primi anni '50 ad oggi.


YOUNG GIRLS & OLD LADIES part 2
    singing and playing
    JAZZ
    selected by Jazzfan37


    01. Caterina Valente – I'll Remember April (da “Chet Baker & Lars Gullin quint.  Live in Stuttgart” 1955)
    02. Shirley Horn – Lonely Town (da “ Charlie Haden [Quartet West] - The Art of Song ” 1999)
    03. Ruth Brown – You Won't Let Me Go (da “Fine Brown Frame” con Thad Jones & Mel Lewis orch. 1968)
    04. Ella Fitzgerald – Black Coffee (da “The Intimate Ella”  1960)
    05. Renee Olstead – Someone to Watch Over Me (da “Renee Olstead” con Chris Botti 2005)
    06. Cleo Laine – Skylark (da “Sometimes When We Touch” con James Galway 1991)
    07. Sophie Milman – Love for Sale (da “ Take Love Easy” 2009)
    08. Sue Matthews – I Love Beeing Here with You (da “When You're Around” 1993)
    09. Jacintha – Smile (da “Lush Life” 2001)
    10. Ruth Cameron – One for My Baby (da “Roadhouse” con Charlie Haden 2000)
    11. Cinzia Roncelli – Moon River ( da “My Shining Hour” con Francesco Cafiso 2009)
    12. Patrizia Conte – I'm Glad There's You  (da “Steppin' Out” con Gianni Basso & Andrea Pozza 2005)
    13. Lilian Terry – Body and Soul (da “JOo-Shoo-Be-Doo-Be... Oo, Oo” con Dizzy Gillespie 1985)
    14. Kathleen Battle – My Favorite Things (da “Tenderness” con Al Jarreau 1994)
    15. Grazyna Auguscik – Don't Explain (da “The Light” 2005)
    16. Jeanne Lee – Goodbye Pork-Pie Hat (da “After Hours” con Mal Waldron 1984)
    17. Shirley Bassey – The Look of Love (da “Love Songs” 1971)
    18. Tiziana Ghiglioni – Lonely Woman (da “Lonely Woman” con Larry Nocella 1981)
    19. Orna – The Very Thought of You (da “The Very Thought of You” 2003)
    20. Helen Merrill – Everythings Happen to Me (da “Jazz in Italy vol. 2” con Renato Sellani 1960)


    New Links
    part 1

    part 2
    La playlist può anche essere ascoltata di seguito



    Si inizia con una giovane ed ancora poco nota Caterina Valente, che si esibisce in una interessante versione scat di un noto standard, accompagnata da Chet Baker alla tromba e Lars Gullin al sax baritono. Vi sono poi alcune grandi stars, come Ella Fitzgerald in una sommessa e languida interpretazione di Black Coffee, standard lanciato nel 1949 da Sarah Vaughan, o come Ruth Brown (1928-2008), una delle grandi interpreti del R&B, qui in veste di jazz-singer  accompagnata da una Big Band di tutto rispetto come quella di Thad Jones e Mel Lewis, o ancora la britannica di colore, Cleo Laine (1928), una delle voci più significative del panorama jazzistico inglese, ancora oggi sulla breccia, qui in una toccante versione di un famoso standard di Hoagy Carmichael e Johnny Mercer. Possiamo ascoltare anche la prorompente Shirley Bassey in un classico di Burt Bacharach, la musa del free-jazz Jeanne Lee, accompagnata da Mal Waldron in un noto brano di Charlie Mingus, la meno nota Sue Matthews in una cover del successo di Peggy Lee I Love Beeing Here with You

    e la raffinata Helen Merrill colta in uno dei suoi soggiorni italiani, acompagnata al piano da Renato Sellani, con sullo sfondo, appena percettibile, il sax di Gianni Basso e ancora la nostra Tiziana Ghiglioni nel brano che dava il titolo al suo disco di esordio.

    Fra gli accompagnatori, di notevole interesse, troviamo per ben due volte Charlie Haden con il suo quartetto sia con Shirley Horn in un austero Lonely Town, sia con la consorte Ruth Brown in una pensosa lettura di un altro noto standard di Johnny Mercer e Harold Arlen: One for My Baby.


    Interessante anche la presenza di Dizzy Gillespie che accompagna Lilian Terry in una raffinata versione del classico Body and Soul. Troviamo anche quel fenomeno vocale di Al Jarreau con il grande soprano lirico Kathleen Battle in una funambolica esecuzione di My Favorite Things di coltraniana memoria (l'assolo al sax è di Michael Brecker).

    Interessanti anche le due brave jazz-singers italiane: Patrizia Conte accompagnata da Gianni Basso e Andrea Pozza e l'esordiente Cinzia Roncelli qui con Francesco Cafiso.

    Un cenno particolare merita una voce che ho scoperto solo di 

    recente: Jacintha Abisheganaden (in arte solo Jacintha), di Singapore, non più giovanissima, è del 1957, che pur  non essendo una cantante professionista, in quanto si occupa principalmente di teatro, ha realizzato diversi album di jazz, tutti molto ben accolti dalla critica, ma poco diffusi in occidente.

    Infine alcune artiste meno note da noi, ma molto interessanti: dalla polacca Grazyna Auguscik, alla texana Renee Olstead, già bambina prodigio 

    della TV e oggi gradevole jazz-vocalist, alla sudafricana Orna, trasferitasi negli USA ed infine alla russa di nascita Sophie Milman, cresciuta in Israele  e poi emigrata in Canada, dove, sia per le qualità canore sia per l'avvenenza, viene considerata l'erede di Diana Krall.
    Non mi resta che augurarvi buon ascolto, in attesa di proseguire con altre interessanti proposte.


    martedì 6 dicembre 2011

    Tiziana Ghiglioni: la "First Lady" del jazz italiano

    Pubblicato sabato 5 gennaio 2008


    Prima Parte (1981 - 1992)

    Seguo la cantante savonese dal suo esordio avvenuto circa ventisette anni fa e ne ho sempre ammirato, oltre le indubbie, eccellenti capacità vocali, lo stile, la signorilità, e la classe da vera signora del jazz. In anni lontani ebbi modo di incontrarla personalmente, sia pur di sfuggita, nell’intervallo di un suo concerto, e la trovai dotata anche di un discreto fascino.


    L’interesse nei suoi confronti nacque grazie ad Arrigo Polillo che all’epoca recensì con parole particolarmente lusinghiere sia la sua prima apparizione in pubblico, sia il suo primo LP.
    L’esordio in pubblico avvenne il 28 aprile 1981 al Centro Sociale Protestante di Milano, accompagnata da un gruppo di giovani musicisti che in quei giorni avevano partecipato all’incisione del suo primo LP in via di pubblicazione: Larry Nocella al sax tenore, Riccardo Zegna al piano, Piero Leveratto al basso e Luigi Bonafede (ottimo batterista oltre che valente pianista). Ospite Massimo Urbani che non era presente nel disco.
    In quell’occasione Polillo scrisse: «…la Ghiglioni è la prima cantante di jazz italiana di sicuro talento che io abbia avuto la ventura di ascoltare da circa un quarto di secolo a questa parte» e ancora «…canta jazz per davvero, con voce duttile, con profonda sensibilità “di strumentista”, con sofisticata musicalità e sentimento» (Musica Jazz, giugno 1981, p.17-18).
    Dopo l’uscita dell’album Lonely Woman (Dischi della Quercia – Q28014 - 1981) recensì questa prima esperienza discografica della cantante con analoghe parole di approvazione, lodando in maniera particolare brani come Lonely Woman, ‘Round Midnight e You’ve Changed (Musica Jazz-dicembre 1981).




    N.B. Nel mio blog in inglese ho dedicato una pagina particolare a questo album (qui) in cui è possibile scaricare l'intero album, mai ripubblicato, che io sappia, in CD.

      Da sempre, com’è possibile constatare anche dalle pagine di questo blog, ho nutrito un certo interesse per il jazz vocale e per l’uso della voce come “strumento”, pertanto mi affrettai ad acquistare l’album che ancora conservo con cura anche perché, che io sappia, non è mai stato ripubblicato in CD. Questo album, oltre a farci godere le qualità vocali della Ghiglioni, è uno dei pochi in cui si possa ascoltare Larry Nocella, sfortunato talento scomparso prematuramente. (il suo LP “Everything Happens to Me” - Red Record VPA 167 - 1980 e scaricabile qui).
    Il video che segue è di quel periodo ed è tratto da un concerto del 1981 al Teatro Ciak di Milano; la videocassetta che conteneva l’intero concerto con gli anni si è deteriorata e pertanto sono riuscito a riversare su DVD solo un breve stralcio iniziale di qualità scadente, contenente proprio l’esecuzione di Lonely Woman. I musicisti che accompagnano la cantante sono gli stessi del disco tranne il sassofonista, che anziché essere Nocella è Pietro Tònolo.


    Il suo secondo album Sounds of Love, uscito nel 1983, non deluse le aspettative suscitate dall’autorevole giudizio di Polillo. Accompagnata da una ritmica d’eccezione: Kenny Drew al piano, N-H. O. Pedersen al basso Barry Altschul alla batteria, affrontava una serie di standards famosi, oltre a cimentarsi in due brani di Thelonious Monk non molto frequentati dai cantanti.



    Il disco ebbe un notevole successo di critica e di pubblico, ma rischiava di incasellarla nel novero delle cantanti di ballads e di farla muovere in un campo esclusivamente sentimentale, mentre per le sue caratteristiche tecniche e vocali, secondo Giuseppe Piacentino, che recensì il disco per Musica Jazz,: “meriterebbe ora di tuffarsi un una mezza bottiglia di whisky ed in un sorso di sana maledizione”.

    Nel dicembre dello stesso anno incide un brano con Ishtar Quintet di Riccardo Fassi e Paolino Della Porta: Dreaming of You, testo suo e musica di Della Porta, che però uscirà solo nel 1985 nell'album Life Songs a nome Ishtar Quintet (Bull Records LP0007)





    Questo brano precedette e avviò la svolta che ci fu l’anno successivo e fu significativa.
    Nel nuovo album Streams (Splasc(h) H 104 1984) mise insieme un suo gruppo, composto da giovani musicisti non ancora affermati, con i quali affrontare non solo standards, ma anche nuove loro composizioni. Ciò fu possibile grazie alla lungimiranza di Beppo Spagnoli, che si lasciò convincere dalle insistenze della Ghiglioni a tentare questa nuova via di dare spazio ai giovani, che diventerà una caratteristica della casa discografica. Il gruppo comprendeva Luca Bovini al trombone, Maurizio Caldura Nunez ai saxes, Luca Flores al piano, Franco Nesti al basso e Alessandro Fabbri alla batteria.



    L’LP si articola in due parti: il lato A è dedicato interamente a Monk: quattro temi famosi ai quali per l’occasione sono stati aggiunti dei versi (il testo di Straight No Chaser è quello di Eddie Jefferson). Il risultato finale è più che soddisfacente, ma la vera sorpresa è rappresentata dai tre brani del lato B: tutti originali composti dai musicisti del gruppo, con il contributo della stessa Ghiglioni in Pau. Questo album può essere considerato il primo passo della cantante verso un percorso che negli anni successivi la porterà a cimentarsi in contesti sempre nuovi con i migliori strumentisti.
    Il video che segue è tratto da un concerto più o meno di quel periodo, ma non sono riuscito a stabilire la data esatta, dovrebbe essere di poco antecedente all'LP, come farebbe pensare la presenza di Flores e Fabbri, ed il fatto che nel concerto non vengano eseguiti brani contenuti nell'LP. Un aspetto interessante di questo video è dato dalla presenza di Luca Flores, il compianto pianista morto suicida nel 1995 e recentemente portato alla ribalta dal film Piano Solo.



    Nei successivi dieci anni la sua produzione discografica è caratterizzata da una serie di album di grande interesse, delle vere e proprie sfide, ognuno dei quali meriterebbe un proprio post.

    1986: Somebody Special (Soul Note SN 1156) con Steve Lacy al sax soprano, Franco D’Andrea al piano, Jean-Jacques Avernel al basso e Oliver Johnson alla batteria, in cui l’estrema sensibilità interpretativa della cantante è pienamente messa in luce dalla presenza dei grandi musicisti che l’accompagnano.




    1987: Well Actually (Splasc(h) H 117) in duo con Giancarlo Schiaffini (trombone, euphonium, tuba, nastri magnetici). Un album sperimentale che vide la luce dopo il successo riscosso dall’inusuale duo nel 1984 al Festival di Roccella Jonica, e dopo una serie di concerti che avevano collaudato la formula. Qui la cantante si cimenta in un uso sperimentale della voce che si avvicina all’esperienza della musica contemporanea (es. Kathy Berberian, musa di Luciano Berio) o agli sperimentalismi vocali di Laureen Newton.



    1987: Onde (Spasc(h) H 133) con l’Art Studio (Carlo Actis Dato: sax ten. e bar. cl. basso, Claudio Lodati: chitarra, Enrico Fazio: basso, Fiorenzo Sordini: batteria e perc.). Un nuovo album in cui la cantante sperimenta un altro tipo di ricerca sulle possibilità “strumentali” della voce umana, affiancando un gruppo che della ricerca sulle sonorità ha fatto una ragion d’essere.


    1988: Yet Time (Splasc(h) H 150) con Roberto Ottaviano al sax soprano, Stefano Battaglia al piano, Paolino Dalla Porta al basso e Tiziano Tononi alla batteria e perc.. Il gruppo è quello con cui si esibiva regolarmente nei concerti e con questo album la cantante riprende la formula di Streams, con una facciata dedicata alle composizioni dei suoi musicisti ed una dedicata a brani più famosi con risultati, in tutti i casi, di grande spessore, grazie anche alla classe dei giovani che l’accompagnano, tutti destinati a diventare negli anni degli affermati solisti.


    1989: I’ll Be Around (Soul Note 121 256) con Enrico Rava alla tromba e Mal Waldron al piano. Nuovo album, nuova formula: un trio atipico per il jazz e una Ghiglioni ancora diversa, con interpretazioni di classici del songbook americano intimistiche e dolci, assecondata dall’efficace sottofondo creato da due maestri come Rava e Waldron.



    Del 1989 è anche il prossimo video che vede lei e Rava, esibirsi assieme a un nutrito gruppo di musicisti al 9° Festival di Roccella Ionica. Il brano eseguito è il primo di una suite intitolata Via dalla Pazza Folla, musica del bassista Paolo Damiani, direttore artistico del festival e parole della stessa Ghiglioni, l'intera esibizione dura più di un'ora. Gli altri musicisti sono Stefano Battaglia al piano, Mark Harris alle tastiere e arrangiatore, Umberto Fiorentino alla chitarra, Tiziano Tononi alle percussioni e Aldo Romano alla batteria.



    1990: Goodbye, Chet (Philology W22) con Chet Baker e Mike Melillo al piano. L’album raccoglie tre diversi momenti “live”, dei quali solo due con la cantante. Uno la vede a Bari nel 1985, a fianco di Chet in due differenti versioni di Lament, unica occasione documentata d’incontro fra i due. L’altro, a Recanati nel maggio 1988, è un omaggio, in duo con Mike Melillo, al trombettista appena scomparso, nel quale vengono rievocate con commozione le sue magiche atmosfere .



    1991: Lyrics (Splasc(h) CD H 348) con Paul Bley al piano. Con questo album la cantante prosegue il suo camino di ricerca cimentandosi con il panismo di Bley. Un incontro che ha lasciato un segno tangibile nel modo di interpretare gli standards da parte della cantante che in un’intervista (Musica Jazz feb. 1993) confessava “d’ora in avanti voglio interpretarli con la mentalità di un Paul Bley”.



    Nel 1992 poco più di dieci anni dal suo esordio esce SONB (Splasc(h) CDH 370) con, in diversi contesti, Steve Lacy (sax sop.) Gianluigi Trovesi (cl. piccolo e cl. basso), Enrico Rava (tr.) Giancarlo Schiaffini (trne), Umberto Petrin (piano), Attilio Zanchi (basso) e Tiziano Tononi (batteria e perc.).


    Album straordinario in cui, affiancata da un nutrito gruppo di artisti di spicco, quasi tutti già suoi partners in dischi precedenti, la cantante raggiunge l’apice del suo percorso sperimentale fin qui esaminato. Certamente il disco più importante realizzato fino a questo punto della sua carriera. Esaltato dalla critica per il coraggio e la perseveranza nel ricercare strade sempre nuove, rifuggendo dalla routine, e che le fruttò, da parte del compianto Pino Candini direttore dela rivista “Musica Jazz” il titolo di “First Lady” del jazz nostrano, qui ripreso nel titolo di questa pagina.
    Il disco ottenne anche il secondo posto nella classifica TOP JAZZ 1992 della rivista Musica Jazz.

    In un’altra occasione esamineremo la seconda parte della carriera di questa artista straordinaria che ha fatto da battistrada a numerose giovani cantanti che dopo di lei hanno intrapreso la via del canto jazz.