A vent'anni dalla sua scomparsa penso che ormai si possa tranquillamente affermare che la seconda stagione di Miles, quella che va dal 1981 alla morte, sia stata decisamente inferiore alla prima e che, soprattutto, non abbia lasciato tracce indelebili paragonabili a quelle, numerose, della stagione anteriore alla malattia, che lo tenne lontano dalle scene dal 1975 al 1981.
Penso a Birth of the Cool, ai quintetti con John Coltrane prima e con Wayne Shorter poi, a Kind of Blue, alle incisioni con l'orchestra di Gil Evans, a Nefertiti e a Bitches Brew, anche se appartenenti già alla svolta più "rockettara". Decine di capolavori assoluti che non possono mancare in una qualsiasi storia del jazz.
Dell'immensa quantità di materiale pubblicato in quegli ultimi anni, invece, ben poco resterà nella storia del jazz, anche perché ormai Miles aveva rinnegato il termine "jazz" per la sua musica.
... Miles Davis nel 1991
Album di sucesso come You're Under Arrest, Decoy, Tutù, pur essendo di elevato livello, non meritano certo un posto nel Pantheon del jazz, e difficilmente saranno oggetto di culto come alcuni di quelli sopra citati. Kind of Blue del 1959, l'album di jazz più venduto in assoluto, per esempio, ha a tutt'oggi abbondantemente superato i 3 milioni di copie vendute e continua ad essere richiesto non solo dagli addetti ai lavori. Ciò detto l'assoluta grandezza del personaggio e la straordinaria eterogeneità della sua musica non possono essere compresi se non con una visone "panorimica", magari aiutandosi con un testo fondamentale come quello di Richard Cook
pubblicato nel 2005 e disponibile anche in italiano con il titolo "Miles Live e in Studio - Quattordici album fondamentali." (Il Saggiatore 2008)
La collaborazione fra Aldo Romano ed Enrico Rava va avanti, sia pur saltuariamente, dalla seconda metà degli anni '70, all'epoca del famoso quartetto di Rava con Roswell Rudd e J. F. Jenny-Clark, qui in ripresi all'epoca.
Ancora oggi se Aldo chiama Enrico risponde e viceversa. In questi giorni ho ascoltato il loro ultimo album, a nome di Aldo: Inner Smile (Dreyfuss Jazz 2011), registrato in studio a Udine nel marzo scorso, con il quartetto franco-italiano comprendente anche il brillante pianista Baptiste Trotignon ed il preciso bassista Thomas Bramerie. Il gruppo molto affiatato si esibisce in festivals e concerti dall'anno scorso e con questo album viene messo un punto fermo a questa felice collaborazione.
Gli undici brani, tutti di notevole qualità, comprendono 5 composizioni di Romano, alcune delle quali, come quella che dà il titolo al disco, già sentite in passato, una del pianista, 4 famosi standards e un brano collettivo Kind of Autumn.
Per avere un'idea del genere di musica di seguito un video del luglio 2010, ripreso durante un'esibizione in un night parigino
Dopo il bellissimo Roman Nights dello scorso anno, Tom Harrell, con questo The Time of the Sun (High Note 2011), uscito quest'estate, ci regala un altro album superbo, pieno di suggestioni e di emozioni.
Personale: Tom Harrell (trumpet, flugelhorn) Wayne Escoffery (tenor saxophone) Danny Grisett (piano, Fender Rhodes piano) Ugonna Okegwo (bass) Johnathan Blake (drums)
Tracklist tutti i brani sono di Tom Harrell
01. The Time of the Sun 5'57 02. Estuary 8'41 03. Ridin' 9'02 04. The Open Door 6'33 05. Dream Text 7'28 06. Modern Life 7'10 07. River Samba 5'04 08. Cactus 6'28 09. Otra 5'49
Nel mio Tom Harrell: come coniugare musica e disabilità dello scorso anno ho ripercorso il difficile e tormentato cammino artistico di questo personaggio sfortunato, affetto da una particolare forma di schizzofrenia, il quale da poco ha compiuto 65 anni, esprimendo tutta la mia ammirazione per le sue qualità di improvvisatore e di compositore.
Con questo quarto album, realizzato negli ultimi cinque anni con il solito quintetto, Harrell fornisce un'ulteriore prova delle sue ammirevoli doti di compositore, tutti e nove i brani sono sue composizioni, e di improvvisatore, offrendo all'ascoltatore una serie di raffinate ed originali esecuzioni, che spaziano dai ritmi latineggianti al bop più classico con qualche venatura funky, sostenuto dall'autorevole sax di Wayne Escoffery e da un'impeccabile ed affiatatissima sezione ritmica. Nel video seguente è possibile ascoltare il brano che da il titolo all'album. Il quintetto è stato ripreso in una tournée estiva il mese scorso.
Curiosando su Youtube mi sono imbattuto in un paio di video-frammenti che mi hanno portato indietro di oltre mezzo secolo, quando, per la prima volta, ebbi l'occasione di ascoltare dal vivo Dizzy Gillespie durante la sua tournée europea dell'autunno del 1959, con il quintetto comprendente Leo Wright al sax alto e flauto, Junior Mance al piano, Art Davis al basso e Teddy Steward alla batteria.
Questi due brevi frammenti hanno risvegliato in me lontane sensazioni di una felice serata in quel di Torino, nella quale, ancora giovane neofita, per la prima volta ascoltavo una vera Jazz Star. Un personaggio straordinario che esprimeva un'incontenibile simpatia con quella strana tromba e il suo buffo copricapo afro e che trascinava il pubblico con la sua musica coinvolgente.
Quando molti anni dopo mi imbattei in un album che conteneva un concerto registrato a Copenhagen nel corso di quella tournée, lo acquistai immediatamente. Dopo la visione dei video l'ho ritirato fuori e me lo sono nuovamente goduto e l'ho messo in condivisione.
All'epoca ero quasi digiuno di jazz e del programma della serata che probabilmente, almeno in parte, doveva coincidere con i brani dell'album, ricordo che riconobbi solo Night in Tunisia, accolta fra l'altro da un applauso scrosciante, che avevo già ascoltato nelle versione con Charlie Parker, anche se l'arrangiamento era molto diverso. Riascoltato a distanza di anni questo arrangiamento più ritmico non è poi male e il bravo Leo Wright, non potendo certo essere paragonato a Bird, tuttavia se la cava dignitosamente, com'è possibile ascoltare qui sotto.
Le musiche di Billy Strayhorn hanno ispirato decine di artisti e il risultato, grazie alla "materia prima" è stato sempre eccellente. Non fa eccezione questo album, uscito la scorsa primavera, realizzato dal quintetto del trombettista Terell Stafford come epilogo di un programma di concerti dal titolo "Celebrating Billy Strayhorn".
Terell Stafford (classe 1966) è un bravissimo trombettista molto versatile e preparato con alle spalle solidi studi universitari. Ha suonato con Bobby Watson, che in pratica lo ha lanciato con il suo gruppo Horizon, e con molti altri come McCoy Tyner, Steve Turre ecc..
Quest'anno era presente al Festival di Cala Gonone in Sardegna, dedicato al 20° della morte di Miles Davis, con un quintetto comprendente anche Dado Moroni al piano.
Prima di questo album, nel quale mi sono imbattuto per caso, conoscevo Stafford solo di nome, ma non lo avevo mai ascoltato e sono rimasto colpito dalla sua sonorità calda, piena rotonda che ricorda molto Clifford Brown, come si può constatare da questo breve scoppiettante assolo.
Il disco pur non essendo, a quanto ne so, ancora distribuito in Italia, può essere facilmente reperito in internet sui siti specializzati o scaricato da I Tunes o siti analoghi e non può mancare nelle discoteche di chi ama il jazz classico di Strayhorn.
Recentemente ho segnalato l'insolito felice connubio fra Wynton Marsalis e Willie Nelson che ha prodotto l'ottimo Two Men with the Blues(qui). Da alcune settimane è uscito un nuovo eccellente album che vede i due nuovamente riuniti per celebrare il ricordo di un altro grande della musica: il genio del bluesRay Charles.
Nell'occasione ai due si unisce la stupenda voce di Norah Jones. Come nella precedenta occasione il blues è il filo conduttore che unisce questi artisti fra loro e con Ray Charles, qui ricordato con una serie di brani famosi tratti dal suo repertorio abituale, nel corso di due serate celebrative tenutesi nel febbraio 2009 al Rose Theater di New York.
Lo straordinario successo riscosso dall'evento ha, anche stavolta, indotto la casa discografica Blue Note a trarne un album che merita l'attenzione di tutti gli appassionati, non solo di jazz.
Un'idea di quello che l'album offre si può avere da alcuni video proposti qui di seguito, cominciando dal video promozionale
seguito da Norah Jones in Come Rain or Come Shine
per concludere con Willie Nelson in Unchain My Heart (in due parti)
I bravissimi musicisti che accompagnano il tutto sono quelli del quintetto stabile di Wynton Marsalis, tra i quali spicca il sassofonista Walter Blanding jr., e Mickey Raphael all'armonica, fedele partner di Nelson.
La storia del jazz è punteggiata da insoliti incontri di personaggi tra loro molto diversi che, però, producono effetti unici ed irripetibili, come nel caso dell'anziano country-blues singer, texano, bianco, Willie Nelson (classe 1933) e del più giovane trombettista nero Wynton Marsalis (classe 1961), nato a New Orleans, culla del jazz.
Nonostante la differenza di età e di back-ground culturale [il primo è un curioso personaggio molto hip, estroso, decisamente anticonvenzionale, cresciuto in quel particolare mondo musicale country-western che trova le sua culla in Nashville, anche se poi si è distaccato da quel cliché per dedicarsi, con grande successo, ad un repertorio più eterogeneo,
mentre il secondo è la tipica "persona seria", giacca e cravatta, un erudito che divide i suoi interessi fra il jazz, di cui studia quasi con pignoleria le origini, e la musica classica nella quale si cimenta con passione ottenendo pregevoli risultati]
i due hanno trovato nel Blues un felice punto di contatto, un terreno comune.
Il 18 giugno 2008 si sono incontrati al Lincoln Center di New York per un'esibizione decisamente ispirata, nella quale la voce ruvida, nasale, fascinosa di Nelson, che suona anche la chitarra, supportata dall'armonica a bocca del fedele Mickey Raphael, si è confrontata con l'insuperabile abilità strumentistica di Marsalis, che giunto ormai alla soglia dei 50 anni, ha raggiunto anche quella maturità espressiva che, a detta di alcuni critici, gli sarebbe mancata in passato. Lodevole anche l'apporto del quintetto stabile del trombettista composto da elementi di prim'ordine fra i quali spicca il sassofonista Walter Blanding jr..
L'evento ha riscosso uno strepitoso successo, tanto da essere replicato alcune settimane dopo in California, e la casa discografica Blue Note ne ha tratto un bellissimo album tutto da ascoltare.
In alcuni post precedenti ho parlato a lungo di Chet Baker e dei suoi felici e infelici rapporti con l'Europa. Oggi vi propongo un episodio particolare legato alla mia città, un bellissimo concerto tenuto presso il prestigioso Conservatorio Cherubini il 24 gennaio 1956 e pubblicato solo molti anni dopo.
Chet Baker quintet: Live in Florence (1956) (Nel Jazz NLJ 0954-2)
1.This Is Always 2.Ray's Idea 3.You Don't Know What Love Is 4.Stella By Starlight 5.Cool Blues
Chet Baker Quintet Chet Baker (tp) Jean-Louis Chautemps (ts) Francy Boland (p) Eddie De Haas (b) Charles Saudrais (d)
Dopo una lunga pausa, dovuta a problemi vari, riprendo l'attività di recupero dei vecchi album meritevoli di essere segnalati per il loro interesse o per la loro particolare rarità e riparto da dove eravamo rimasti ossia da Chet Baker.
Come già ricordato nel post precedente Chet venne in Europa per la prima volta nel 1955-56 e vi si fermò per circa sei mesi esibendosi in Francia, Germania, Danimarca ed Italia. In Francia, in particolare, venne reclutato dalla casa discografica Barclay per una serie d'incisioni che vennero pubblicate, a singhiozzo, in svariati album ,che fanno impazzire i collezionisti.
Ultimamente ho ritrovato fra i miei vecchi dischi uno di quei preziosi “pezzi rari” acquistato tanti anni fa a Londra e, credo, mai pubblicato in Italia in questa veste.
Chet Baker with Bobby Jaspar: GET IT CHET (Felsted records PDL 85036)
Side A
How About You? (*)
Once in a While (**)
Chekeetah (*)
Alone Together (**)
Chet (#)
Side B
Dinah (#)
Tasty Pudding (##)
Anticipated Blues (##)
V-Line (+)
Exitus (*)
(#) Chet Baker Octet Chet Baker (tp) Benny Vasseur (tb) Jean Aldegon (as) Armand Migiani (ts) William Boucaya (bars) Rene Urtreger (p) Jimmy Bond (b) Nils-Bertil Dahlander (d) Parigi, 25 Ottobre, 1955 (**) Chet Baker Quartet Chet Baker (tp) Raymond Fol (p) Benoit Quersin (b) Jean-Louis Viale (d) Parigi, 28 Novembre, 1955 (*) Chet Baker Quintet Chet Baker (tp) Bobby Jaspar (ts) Rene Urtreger (p) Benoit Quersin (b) Jean-Louis Viale (d) Parigi, 26 Dicembre, 1955 (##) Chet Baker Quintet Chet Baker (tp) Jean-Louis Chautemps (ts) Francy Boland (p) Eddie De Haas (b) Charles Saudrais (d) Parigi, 10 Febbraio, 1956 (+) Chet Baker Octet (stessa formazione del 25 ottobre 1955) Parigi, 15 marzo, 1956
A parte la rarità in sé, questo disco presenta alcuni altri aspetti interessanti. Innanzitutto i brani incisi il 25 ottobre sono i primi che Chet realizza dopo la scomparsa del pianista Dick Twardzik, che era venuto in Europa con lui e che il 21 ottobre era morto per overdose.
Nella copertina viene evidenziata in particolare la presenza del sassofonista e polistrumentista belga Bobby Jaspar (1926 – 1963) all'epoca molto noto in Francia, anche come marito della cantante americana stabilitasi a Parigi, Blossom Dearie. In realtà la loro collaborazione in quell'anno si limitò a quei tre brani registrati il 26 dicembre. I due non si riincrociarono più fino al 1962, quando Chet poco dopo essere stato scarcerato, il 5 gennaio entrò in sala d'incisione per realizzare lo storico Chet Is Back. Jaspar, trovandosi in tournée in Italia, era uno dei componenti del quartetto che venne messo insieme dalla RCA per accompagnarlo. Di seguito il link
Sono ormai trascorsi più di ventun anni dal tragico e misterioso incidente che il 13 maggio 1988, ad Amsterdam, provocò la morte di Chet Baker, tuttavia il ricordo di questo straordinario artista resta indelebile nel cuore di coloro che hanno amato la sua musica, la sua voce morbida, diafana, la sua concezione poetica del jazz.
In questo blog negli anni scorsi gli ho già dedicato alcune pagine, ma oggi, continuando nel percorso estivo di recupero e segnalazione di miei vecchi vinile, voglio ricordare un paio di dischi riascoltati negli ultimi giorni, usciti giusto vent'anni fa, nel 1989, più o meno in occasione del primo anniversario della tragica scomparsa del trombettista.
Tra l'altro, casualmente, si tratta delle prime e delle ultime registrazioni effettuate in studio in Italia.
Partiamo dal più recente: Silence pubblicato postumo nel 1989 dall'italiana Soul Note (LP 121 172-2) e registrato a Roma l'11 e 12 novembre 1987, pochi mesi prima della sua scomparsa.
A1 Visa (C. Parker)
A2 Silence (C. Haden)
A3 Echi (E. Pieranunzi)
B1 My Funny Valentine (Rogers - Hart)
B2 'Round Midnight (T. Monk)
B3 Conception (G. Shearing)
This album is dedicated to Chet Baker. His perfect ear and beautiful sound will be missed by all us.
L'album, pur essendo uscito a nome di Charlie Haden, è dedicato a Chet ed in realtà egli ne è il principale protagonista, sia pure accompagnato da tre altrettanto importanti musicisti: Haden al basso, il nostro Enrico Pieranunzi al piano e il grande Billy Higgins alla batteria.
Questo disco è certamente uno dei migliori realizzati da Chet negli ultimi anni di vita, caratterizzati da una frenetica produzione, quasi tutta “live” e non sempre di elevata qualità, ma essenzialmente legata alle continue necessità economiche dell'artista, dovute all'uso della droga.
La straordinaria qualità dei suoi accompagnatori lo stimola e lo aiuta a dare il meglio di sé, nonostante le sue condizioni fisiche sempre più precarie ne riducano le qualità tecniche, compensate da ricchezza poetica e partecipazione emotiva.
Il lato A ci offre due eccellenti brani composti per l'occasione: lo struggente Silence, che da il titolo all'album, composto da Charlie Haden ed il brillante Echi di Enrico Pieranunzi, oltre al recupero di un poco noto brano di Charlie Parker: Visa, da lui inciso nel 1949 e mai più ripreso, almeno in disco.
Il lato B, invece, è dedicato agli standards, con l'immancabile My Funny Valentine, eseguita ad un ritmo insolito, con un lunghissimo 'Round Midnight che consente a tutti e quattro i membri del gruppo di esibirsi in pregevoli assolo ed in chiusura Conception, il brano di George Shearing, reso celebre dall'interpretazione di Miles Davis.
Un disco che non può mancare in una ideale discografia del trombettista.
Con il prossimo disco, invece, torniamo indietro di 50 anni, al 1959. Si tratta di Chet Baker in Milan (JAZZLAND JLP 18) una riedizione statunitense del 1989, di alcune incisioni realizzate allora per la casa discografica italiana Celson. Gli otto brani contenuti in questo LP vennero all'epoca pubblicati anche in due 45 gr. EXP, oggi introvabili.
A1 Lady Bird (C. Parker)
A2 Cheryl Blues (C. Parker)
A3 Tune Up (M. Davis)
A4 Line for Lyons (G. Mulligan)
B1 Pent Up House (S. Rollins)
B2 Looking for the Silver Lining (J. Kern)
B3 Indian Summer (H. Dubin)
B4 My Old Flame (Coslow, Johnston)
All'epoca Chet era popolarissimo, e tornava in Italia per la seconda volta. Il nostro paese era una delle sue mete preferite, in quanto vi si sentiva ammirato e accolto con affetto dal pubblico e dai colleghi. Gli echi dei suoi successi californiani con Gerry Mulligan erano ancora vivi.
La volta precedente, nel 1955-56, pur essendosi fermato in Italia per alcuni mesi, suonando in diverse città, dove i suoi concerti vennero spesso registrati dal vivo, non era mai entrato in uno studio di registrazione. Questa volta invece due intraprendenti discografici italiani, i fratelli Guntler, pensarono di proporgli alcune sedute affiancandogli alcuni dei migliori jazzisti italiani dell'epoca. Questa fu anche la sua prima seduta d'incisione europea.
L'intera serie è stata ripubblicata in CD: The Complete Chet Baker 1959 Milan Sessions (King Jazz 185)
Questo LP contiene solo una parte di quelle incisioni, quelle con Gianni Basso: sax tenore, Glauco Masetti: sax alto, Franco Cerri: basso, Renato Sellani: piano e Gene Vincent: batteria.
Quell'esperienza fu molto importante per i nostri musicisti. Gianni Basso ricorda così quei giorni:
«Tutti noi eravamo dei fan di Chet e fu un onore fare una session con lui, il problema è che era un tipo assolutamente imprevedibile: la sera preparava dei pezzi e il giorno dopo arrivava in studio con una scaletta da registrare completamente diversa, in cui magari c' erano brani di Charlie Parker, Miles Davis e del suo amico Gerry Mulligan. E noi dovevamo stargli dietro. Fu una bella palestra», (La Repubblica, 13 agosto 2008).
Il Chet Baker che si ascolta in questi brani è molto diverso. Qui aveva quasi 30 anni di meno e la brillantezza del suono non era ancora offuscata dalle future traversie fisiche e morali.
I primi 6 brani in sestetto sono pieni di verve e ci riportano ai fasti del bop e del jazz californiano e l'apporto dei colleghi italiani non fa rimpiangere i migliori specialisti d'oltreoceano.
Negli ultimi due brani, invece, Chet ci regala, accompagnato dalla sola ritmica, due splendide ballads, interpretate da par suo.
Per avere un'idea di cosa stò parlando ascoltate i due brani seguenti: nel primo il sestetto esegue il noto brano di Tadd Dameron e nel secondo possiamo goderci la splendida ballad Indian Summer.
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Concludo riportando il lusinghiero giudizio sui musicisti italiani in questo disco, espresso da un critico statunitense in una recensione dell'epoca:
«Se l'adagio che la musica è un linguaggio universale non fosse mai stato provato prima, qui, con certezza, diventa ovvio. I musicisti italiani mostrano piena familiarità con una forma d'arte decisamente americana come il jazz, al punto che gli assolo dei sassofonisti sono spesso più fluidi di quelli dello stesso Chet. Il fatto che i nomi di questi musicisti non siano noti non deve dissuadere gli amanti del jazz californiano dall'acquistare una copia di Chet Baker in Milan».
Oggi voglio segnalare un disco particolare, ritrovato fra i vecchi LP qui al mare, inciso quasi 50 anni fa da un giovane musicista: Booker Little, morto a soli 23 anni quando il suo talento stava prepotentemente emergendo.
Il disco si intitola Out Front (Candid CM 8027, 1961) e rappresenta il suo capolavoro ed anche il suo testamento artistico, infatti in quello stesso anno morirà per uremia, malattia all'epoca fatale e oggi curabilissima.
Nato a Memphis (TN) nel 1938, iniziò a suonare giovanissimo. Trasferitosi a Chicago venne notato da Sonny Rollins, che lo segnalò a Max Roach, il quale dopo la morte di Clifford Brown non aveva ancora trovato una tromba che lo soddisfacesse. Il connubio si rivelò subito felice e produsse numerose incisioni. La collaborazione e l'amicizia fra i due si mantennero solide fino alla prematura scomparsa del trombettista.
Il video che propongo di seguito, girato nel 1958, ai primordi della loro collaborazione, ci dà già un'idea delle qualità di questo giovane trombettista appena ventenne.
In quei pochi anni di attività Booker ebbe modo di mettersi subito in luce, di collaborare con molti altri artisti, fra i quali Eric Dolphy e John Coltrane, e di prender parte alla realizzazione di alcuni dischi che sono entrati a far parte della storia del jazz.
Max Roach We Insist! Freedom Now Suite (Candid 1960) con Coleman Hawkins e Abbey Lincoln
Abbey Lincon (all'epoca moglie di Roach) Straight Ahead (Candid 1961) sempre con Roach e Hawkins e con Eric Dolphy
Max Roach orchestra Percussion Bitter Sweet ( Impulse 1961) con Dolphy, Clifford Jordan, Mal Waldron ecc.
Eric Dolphy Far Cry (Prestige1960) con Jaki Byrd
Eric Dolphy At the Five Spot (Prestige 1961)
John Coltrane orchestra Africa /Brass (Impulse 1961) ancora con Dolphy
Solo per ricordarne alcuni.
Booker era consapevole della gravità della sua malattia e, forse, questa attività così intensa, quasi frenetica, era un tentativo di esorcizzare la fine incombente.
La produzione discografica come leader, invece, fu limitatissima, e Out Front pur essendo il quarto disco a suo nome è, in realtà, la sua prima e unica opera di grande spessore.
We Speak
Strenght and Sanity
Quiet Please
Moods in Free Time
Man of Words
Hazy Blues
A New Day
Sette brani tutti di sua composizione, eseguiti con un sestetto comprendente, fra gli altri, gli amici Max Roach e Eric Dolphy. Brani legati fra loro da un progetto unitario, una specie di suite originale, commovente, ben strutturata, anche se resta pur sempre un'opera prima. Opera che risente della giovane età dell'autore, ma che ci fa pensare a cosa, negli anni, con più esperienza, avrebbe potuto realizzare come compositore.
Il brano seguente Moods in Free Time, tratto da YouTube (problemi di connessione qui al mare non mi consentono di inserire altro), è abbastanza indicativo anche se, per apprezzare a pieno questo disco, bisognerebbe ascoltarlo tutto di seguito, partendo: «dalla tesa malinconia del primo brano, We Speak e inoltrarsi via via verso l'inevitabile, che giunge a metà dell'opera con […] Moods in Free Time e Man of Words. Dopo non siamo più a questo mondo: l'aerea dolcezza del flauto di Dolphy in A New Day non dipinge un nuovo giorno, ma un distacco ormai compiuto dalle cose terrene». ( Marcello Piras, Musica Jazz, mag. 1993, p. 53)
Con questo spero di aver sollecitato la curiosità di chi ancora non lo conoscesse. Curiosità che può essere facilmente soddisfatta scaricando, legalmente in mp3, i suddetti brani da alcuni siti specializzati come, ad esempio, Amazon.com, ad un prezzo abbordabilissimo.
Woody Shaw è stato un brillante e talentuoso trombettista della generazione post-davisiana, morto all'età di 44 anni, nel pieno della maturazione artistica, per i postumi di un misterioso incidente nella metropolitana di Brooklyn. Era inspiegabilmente caduto sulle rotaie ed era stato investito da un treno, cosa che aveva costretto i medici ad amputargli un braccio.
Era nato nella Carolina del Nord la vigilia di Natale del 1944 in una famiglia di appassionati di jazz. Il suo nome completo era Woody Herman Shaw, in onore del grande bandleader. Poco dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Newark, cittadina alla periferia di New York, una specie di ghetto nero, dove Woody crebbe in uno stato di emarginazione, ma dove poté anche ascoltare tanto jazz.
All'età di 12 anni cominciò a studiare la tromba e ben presto il suo innegabile talento lo portò a suonare con diverse orchestre locali. Nel 1963, finalmente, venne notato da Eric Dolphy che lo volle nel suo gruppo, per prendere il posto che era stato di Booker Little e poi di Freddie Hubbard e prese parte alle sedute d'incisione di due famosi album: Iron Man (Celluloid 1963)
e Music Matador (Affinity 1963)
Dopo l'improvvisa morte di Dolphy, avvenuta l'anno successivo, si trasferì a Parigi dove ebbe modo di suonare con diversi noti jazzisti che si erano stabiliti in loco.
Rientrato in patria collaborò con numerosi importanti musicisti fra i quali merita ricordare Horace Silver, con cui realizzò il bellissimo Cape Verdean Blues (Blue Note 1965)
e poi Chick Corea con cui registrò un altro famoso album: Inner Space (Atlantic 1966),
ma solo nel 1968 entrò a far parte stabilmente di un gruppo, quello di McCoy Tyner con il quale registrò anche Expansions (Blue Note 1968).
Le precedenti esperienze e la frequentazione di Tyner lo avevano notevolmente maturato, portandolo sempre più a trovare una propria cifra stilistica.
Nel 1970 incise il primo album a suo nome per la Contemporary: Blackstone Legacy.
Il disco venne accolto favorevolmente dalla critica e la rivista Down Beat, lo premiò come «talento degno di maggior riconoscimento» fra i trombettisti, grazie ad un referendum fra i critici di tutto il mondo.
Due anni dopo uscì il secondo album a suo nome Song of Songs (Contemporary 1972) con il quale cominciava ad allontanarsi dagli schemi dell'hard-bop.
Nello stesso anno entrò a far parte dei Jazz Messengers di Art Blakey dove sostituì Freddie Hubbard.
Con Blakey incise diversi album e la sua presenza dette nuova vitalità a quel gruppo che ormai cominciava e perdere smalto. Il critico Giuseppe Piacentino definisce il suo contributo al gruppo come «una vibrante presenza tale da fargli sfiorare la perfezione in ogni assolo».
Quando nel 1973 Woody lasciò il gruppo aveva quasi 29 anni e la sua fase formativa era ormai giunta a conclusione.
Nel 1975 un nuovo album a suo nome Moontrane per la Muse ottenne grandi consensi, e ancora oggi viene considerato uno dei più importanti della sua ampia discografia.
Le qualità stilistiche di Woody attirarono l'attenzione di Miles Davis, che in quegli anni si era ritirato dalle scene per motivi di salute e che dirà di lui: «oggi c'è un grande trombettista capace di suonare in modo differente da chiunque», e lo segnalerà alla casa discografica Columbia, che lo mise sotto contratto.
Anche Dizzy Gillespie espresse la propria ammirazione nei suoi confronti: «Woody Shaw è una delle voci del futuro, anzi del presente! Ha qualcosa di diverso, qualcosa di unico da offrire».
Il breve video che propongo è più o meno di quel periodo e da un'idea del modo di suonare di Woody. Girato durante una sua tournée in Italia nel 1979 è tratto dal sito www.woodyshaw.com dedicato al trombettista e nel quale è possibile trovare vari video e files musicali.
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Negli anni '80 è ormai pienamente affermato. Incide numerosi dischi a suo nome, almeno una decina, più altrettante collaborazioni con diversi artisti da Antony Braxton a Freddie Hubbard, da Mal Waldron a Kenny Garrett, ecc..
Il video seguente lo vede in concerto a Colonia nel 1986 con il sax di Johnny Griffin, in cui esegue Night in Tunisia (il video è tratto dalla vasta collezione dell'amico brasiliano Pedro Mendes).
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Infine concludo questa breve rassegna con un altro video del 1985 dalla Town Hall di New York, in cui suona con Jackie McLean al sax, McCoy Tyner al piano, Cecil McBee al basso e Jack DeJohnette alla batteria.
Fra pochi giorni Woody Shaw avrebbe compiuto 67 anni ed il rimpianto per la sua scomparsa è grande in quanto, avrebbe potuto darci ancora tanti capolavori, migliorando e perfezionando la sua straordinaria tecnica e la sua geniale creatività.