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venerdì 7 giugno 2013

I miei standards preferiti: A Ghost of a Chance (1932)


Questa celebre canzone, il cui titolo completo era I Don't Stand a Ghost of a Chance with You, venne scritta nel 1932 appositamente per Bing Crosby, che collaborò anche alla stesura del testo, dal paroliere Ned Washington (autore di celebri brani come: Stella by Starlight, The Nearness of You, I'm Getting Sentimental Over You, ecc.), su musica dell'altrettanto famoso compositore Victor Young (autore fra l'altro di My Foolish Heart, Johnny Guitar, ecc., e soprattutto di decine di celebri colonne sonore). All'epoca Crosby era la star più popolare di tutto il mondo dello spettacolo ed intorno a lui ruotava il meglio dello show business. La foto lo ritrae con l'attrice Carol Lombard.



Il disco ebbe un successo straordinario, raggiungendo i vertici delle classifiche, e ne venne realizzato anche un breve filmato, una sorta di odierno video clip.




L'arrangiamento e le atmosfere sono quelli in voga in quegli anni, ed hanno ben poco a vedere con il jazz, ma le splendida melodia venne ripresa, qualche anno dopo, da diversi jazzisti rendendola presto un celebre standard. 


Il primo fu il trombettista Bobby Hackett il quale, con la sua orchestra, nel 1938 ne realizzò una versione decisamente più moderna, che valorizzava al massimo le qualità musicali del brano.



Questa versione aprì la strada ad una serie di nuove interpretazioni da parte di altri musicisti, fra le quali, in particolare, spiccano quelle dei tre maggiori tenor-sassofonisti di quegli anni: Chu Berry, Coleman Hawkins e Lester Young.


Chu Berry (1908-1941)

Il primo, in quegli anni militava nell'orchestra di Cab Calloway e nel 1940, poco più di un anno prima della sua morte, ne incise una strepitosa versione ancora oggi insuperata. Una curiosità: in quell'occasione fra i membri dell'orchestra c'era anche Dizzy Gillespie.


Le altre versioni sopra ricordate furono realizzate entrambe nel 1944.


Coleman Hawkins (1904-1969)

Coleman Hawkins era accompagnato dall'orchestra di Cozy Cole e, contrariamente a Chu Berry che era l'unico solista, in questo caso l'assolo del sassofonista era integrato dagli interventi di altri membri dell'orchestra: Charlie Shavers alla tromba che introduce il brano, poi Tiny Grimes alla chitarra, Hank D'Amico al clarinetto e Slam Stewart che chiude con il suo caratteristico vibrato voce e contrabbasso.


L'assolo di Hawkins, pur eccellente, è più breve e molto meno fantasioso e originale di quello Berry. 

Lester Young (1909-1959)

Infine ascoltiamo la versione di Lester Young, accompagnato da Count Basie al piano con la ritmica della sua orchestra. Una versione più lenta e introspettiva delle precedenti, una lettura mesta, malinconica che sembra quasi presagire le tribolazioni e le umiliazioni che egli dovrà sopportare alcuni mesi dopo, a causa del richiamo nell'esercito, che segneranno il resto della sua vita.



Fra le versioni vocali, che vennero realizzate in quei primi anni, merita di essere ricordata quella del 1939 di Mildred Bailey, accompagnata da un gruppo di musicisti capeggiato dalla pianista Mary Lou Williams. 


Un mix interrazziale di swing e di melodia che modernizza il brano riportandolo all'attenzione di un pubblico più vasto.


Dopo queste memorabili esecuzioni il brano entrò nel repertorio di numerosi musicisti e cantanti e ancora oggi viene ripreso da diversi giovani artisti. Fra queste numerose interpretazioni alcune meritano di essere ricordate per la loro originalità.



Iniziamo con Thelonious Monk che nel suo album Thelonious Himself del 1957,  ne propone una versione di solo piano, una lettura in cui è possibile apprezzare tutte le sfumature della melodia.



Fra le esecuzioni imperdibili non poteva mancare quella di Billy Holiday, supportata dalla tromba di Harry "Sweet" Edison, dalla chitarra di Barney Kessel, e dal sax di Ben Webster; un'interpretazione, realizzata per la Verve nel 1955, piena di pathos che evidenzia anche le qualità poetiche del testo.



Molto particolare e delicata l'esecuzione del trio del pianista Elmo Hope, sempre del 1955 e contenuta nell'album Meditations. Questo artista dotato di grande talento, amico e coetaneo di Bud Powell,  purtroppo è caduto nell'oblio.


Vigorosa e piena di fantasia e di feeling è la versione che Clifford Brown registrò con lo storico quintetto che guidava assieme a Max Roach



Per venire a tempi più recenti, ho apprezzato molto, avendola ascoltata anche da vivo, l'interpretazione di Diana Krall, che nella seconda metà degli anni '90, la eseguiva spesso nei suoi concerti, accompagnata solo dalla chitarra di Russell Malone. Il video è stato realizzato durante un concerto tenutosi a Berna nel 1997.


Per chiudere questa, necessariamente incompleta, rassegna di interpretazioni di questo bellissimo standard, ho scelto la commovente versione di Chet Baker tratta dalla colonna sonora del film "Let's Get Lost", in cui è accompagnato fra gli altri da Frank Strazzeri al piano a da Nicola Stilo alla chitarra e al flauto.

domenica 5 maggio 2013

I miei standards preferiti: The Song is You (1932)

Visto il gradimento riscosso dalla serie dedicata agli Standards, continuiamo a proporne di nuovi. Per questo sedicesimo capitolo, oggi peschiamo nel Songbook di uno dei più famosi ed apprezzati compositori statunitensi del secolo scorso: Jerome Kern (1885-1945).


Scritto nel 1932 assieme al paroliere Oscar Hammerstein II per la commedia musicale Music in the Air, il brano venne interpretato inizialmente da un attore italiano, all'epoca molto popolare negli USA: Tullio Carminati (1895-1971).
La prima versione discografica venne realizzata sempre nel 1932 dall'orchestra di Jack Denny ed interpretata da un certo Paul Small, cantante in voga in quegli anni e di cui si sono perse le tracce.


Il disco ottenne un discreto successo di vendite, ma negli anni successivi la canzone venne dimenticata. Solo nei primi anni '40, grazie al recupero da parte di alcune orchestre molto in voga come quelle di Glenn Miller, Tommy Dorsey e Claude Thornhill e, soprattutto, grazie all'interpretazione del 1942 di Frank Sinatra con l'orchestra di Alex Stordahl, il brano ritornò ad godere di grande popolarità. Nel raro video seguente è possibile vedere il cantante che nel 1943, in piena guerra, esegue il brano di fronte a una platea di militari accompagnato da un'orchestra di marinai.


Frank Sinatra mantenne a lungo questa canzone nel suo repertorio e nel 1958 ne realizzò una nuova versione più "moderna" con l'orchestra di Billy May inserita nel famoso album "Come and Dance with Me".



Questa rinnovata popolarità del brano indusse molti musicisti a realizzarne diverse versioni soprattutto strumentali, consacrando il brano a standard.
Fra queste alcune meritano di essere ricordate in quanto particolarmente interessanti jazzisticamente.
Cominciamo con Charlie Parker che nel 1952 ne incide una travolgente versione accompagnato dalla sola sezione ritmica composta da Max Roach, Hank Jones e Teddy Kotick.


Nel 1954 Benny Carter ne realizza un'altra eccellente incisione con un sestetto di tutto rispetto: Bill Harris al trombone, Oscar Peterson al piano, Herb Ellis alla chitarra, Ray Brown al basso e Buddy Rich alla batteria. 



Anche fra le numerose versioni vocali di quegli anni se ne trovano alcune molto interessanti, come quella del 1959 di Bill Henderson contenuta nell'album The Complete Vee-Jay Recordings


in cui il cantante è accompagnato dalla tromba di Booker Little, dal sax tenore di Yusef Lateef, dall'euphonium di Bernard McKinney e dalla "rhythm session" per antonomasia, quella del primo quintetto di Miles Davis con Wynton Kelly, Paul Chambers e Jimmy Cobb. Una versione vocale decisamente diversa da quella di Sinatra ed altrettanto straordinaria.


Fra le diverse versioni femminili realizzate in quegli stessi anni ho scelto di proporre quella di Nancy Wilson che si distingue per la verve vocale e per l'eccellente swing. Il video è tratto da un episodio della serie TV I Spy.


Un altro artista che ha amato molto questo brano è stato Chet Baker che nel corso della sua carriera ne ha incise diverse versioni. Fra questo ne ho scelto una vocale e strumentale, registrata a Milano nel 1959 dall'album Chet Baker with Fifty Italian Strings


in cui è spalleggiato, oltre che dagli archi, da un gruppo orchestrale composto da eccellenti jazzisti italiani (Gianni Basso, Glauco Masetti, Franco Cerri, Giulio Libano, ecc.)


Nello stesso anno a New York un gruppo di rinomati jazzisti guidati da Lee Konitz e Jimmy Giuffre e comprendente Warne Marsh al tenore, Bill Evans al piano Buddy Clark al basso, ecc., ne realizzò un'altra eccellente versione contenuta nell'album Lee Konitz meets Jimmy Giuffre



Versione resa molto particolare dai singoli interventi dei solisti, uniti al tipico arrangiamento west coast di Jimmy Giuffre.
Venendo ad anni più recenti un altro artista che ha spesso interpretato The Song is You è Keith Jarrett con il suo trio nei vari concerti dedicati agli standards. Il video seguente lo coglie nel 1986 in un concerto ad Antibes con i suoi partners abituali: Gary Peacock al basso e Jack DeJohnette alla batteria.


Il brano, in versione molto più lunga, è compreso anche nel CD doppio Still Live registrato qualche settimana prima a Monaco di Baviera, durante la stessa tournée, ed è considerato da diversi critici uno dei momenti migliori dell'album.


Anche Wynton Marsalis nel suo Marsalis Standard Time Vol. 1 del 1987 affronta con il suo quartetto questo brano dimostrando le sue straordinarie doti di creatività improvvisativa. 


Prima di chiudere vorrei proporre anche due diverse esecuzioni di artisti italiani, una maschile e una femminile. La prima è quella di un cantante molto popolare Nicola Arigliano, scomparso a 87 anni nel 2010, 



uno dei pochi "crooner" italiani, che alla tenera età di 79 anni, nel 2002, la realizzò nell'album My Name is Pasquale accompagnato da da un gruppo di jazzisti italiani.


La seconda è quella della giovane cantante bolognese Chiara Pancaldi che dedica a questo brano il titolo del suo disco di esordio


in cui il brano viene presentato con grande swing accompagnata da quattro valenti musicisti: Nico Menci al piano, Davide Brillante alla chitarra, Stefano Senni al basso e Vttorio Sicbaldi alla batteria, i quali non si limitano all'accompagnamento ma impreziosiscono l'esecuzione con i loro interventi.


A questo punto non resta che augurarvi buon ascolto.

venerdì 22 febbraio 2013

I miei standards preferiti: Speak Low (1943)


Questo standard, considerato una delle più belle canzoni d'amore di tutti i tempi, venne musicato dal compositore tedesco Kurt Weill, su testo del poeta statunitense Ogdan Nash, noto soprattutto per i suoi versi anticonvenzionali e spiritosi.
Un testo decisamente originale e suggestivo

Speak low when you speak love 
Our summer day withers away too soon, too soon 
Speak low when you speak love 
Our moment is swift, like ships adrift, we're swept apart, too soon 
Speak low, darling, speak low 
Love is a spark, lost in the dark too soon, too soon. 

I feel wherever I go 
That tomorrow is near, 
Tomorrow is here and always too soon, 
Time is so old and love so brief 
Love is pure gold and time a thief. 

We're late, darling, we're late, 
The curtain descends, everything ends too soon, too soon. 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, speak love to me and soon... 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, 
Slow to me, oh please, 
Just don't say no to me 
Let it flow to me, slow to me 
Soon...Soon...Soon... 
Ooo...Soon...Darling, speak low to me 
Darling, speak slow to me... 
Oh, oh, oh!


Kurt Weill. celebre per le sue collaborazioni con Bertold Brecht negli anni '20 (Opera da tre soldi, Ascesa e caduta della città di Mahagonny, ...) con l'avvento del nazismo, essendo ebreo fu costretto a lasciare la Germania. Nel 1937 arrivò a New York dove cominciò a comporre musica per gli spettacoli di Broadway.


Speak Low venne scritta per un musical di grande successo One Touch of Venus dal quale venne tratto anche un film dallo stesso titolo (in italiano Il bacio di Venere) interpretato da Ava Gardner in cui canta il brano doppiata dalla cantante Eileen Wilson. 
La prima versione discografica di successo venne realizzata da Frank Sinatra nel 1945


Il successo fu immediato e duraturo grazie anche al film che consacrò Ava Gardner come star di prima grandezza. 


Da allora il brano venne ripreso sia in versione vocale, sia in versione strumentale da moltissimi artisti fino ai giorni nostri.
Tra le numerose versioni vocali, in prevalenza femminili, una delle più interessanti è quella latineggiante realizzata da Billie Holiday nel 1956 per la Verve, accompagnata dalla chitarra di Barney Kessel, dal sax di Ben Webster e dal piano di Jimmy Rowles.


Molto diversa per ritmo e atmosfera, ma altrettanto interessante, è la versione realizzata Live a Chicago nel 1958 da Sarah Vaughan accompagnata dalla sola sezione ritmica, comprendente Roy Haynes alla batteria, Richard Davis al basso e il poco noto, ma bravissimo, Ronell Bright al piano.



Dopo Billie e Sarah, per par condicio, non possiamo tralasciare la versione della terza regina: Ella Fitzgerald realizzata nel 1983 con il chitarrista Joe Pass



Molte altre cantanti famose da Anita O'Day a Carmen McRae, da Dianne Schurr a Barbra Streisand, da Dee Dee Bridgwater a Dianne Reeves, solo per citarne alcune, si sono cimentate nel tempo con questo motivo. Fra le versioni più recenti, a mio avviso, merita di essere ricordata quella elegante del grande vecchio Tony Bennett in compagnia della giovane talentuosa Norah Jones.


Una citazione particolare merita il video seguente nel quale il contrabbassista Charlie Haden si esibisce in assolo su un nastro in cui Kurt Weill esegue al piano e canta la sua canzone. Un'esecuzione veramente suggestiva.




Numerose sono state negli anni anche le versioni strumentali ed alcune fra le più interessanti vengono qui riproposte. La prima è quella del quartetto di Gerry Mulligan con Chet Baker del 1953 nella quale tromba e sax baritono si fondono con grande maestria.


Diversa ma altrettanto pregevole è la versione realizzata nel 1958 dal quintetto del sassofonista Hank Mobley con Lee Morgan alla tromba, Wynton Kelly al piano, Paul Chambers al basso e Carl Pership alla batteria. Interresante confrontare il lirismo di Baker con il calore di Morgan. Molto intenso anche l'assolo di Mobley.



Più o meno nello stesso periodo John Coltrane ne incise un'altra originale versione con il sestetto del pianista Sonny Clark comprendente anche Donald Byrd alla tromba, Curtis Fuller al trombone, Paul Chambers al basso e Art Taylor alla batteria.



Un'altra eccellente interpretazione è quella tratta dall'album Crosscurrents del 1977 del trio di Bill Evans assieme a Lee Konitz al sax alto e Warne Marsh al sax tenore. Il bassista è  Eddie Gomez ed alla batteria c'è Elliot Zigmund.



Anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo brano. In particolare ricordiamo la strepitosa versione di Massimo Urbani nel suo doppio LP Dedication to A. A. & J. C. - Max Mood del 1980 in cui, alla sua maniera, si ispira a quella di Coltrane. Lo accompagnano Luigi Bonafede al piano, Furio Di Castri al basso e Paolo Pelegatti alla batteria.


In tempi più recenti il quintetto del batterista Roberto Gatto, nel suo secondo CD dedicato a Shelly Manne, ne propone una bellissima versione con in evidenza il sax di Max Ionata e la tromba di Marco Tamburini.


Concludiamo infine questo breve excursus con la voce della compianta Mia Martini, che incluse questo brano nella sua unica esperienza jazzistica Live, in cui era accompagnata da Maurizio Giammarco. Da quell'esperienza venne realizzato nel 1991 l'album Mia Martini in Concerto.

domenica 28 ottobre 2012

I miei standards preferiti: My Old Flame (1934)


Questa celebre ballad, scritta da da Arthur Johnston con testo di Sam Coslow, venne eseguita per la prima volta dalla popolarissima attrice e cantante Mae West nel film Belle of the Nineties del 1934. La bella e procace signora era accompagnata al piano da Duke Ellington, attorniato da alcuni suoi musicisti in una rilassata atmosfera da club.



Inizialmente la produzione aveva rifiutato la presenza di Duke Ellington, ritenendo inammissibile che una cantante bianca fosse accompagnata da musicisti neri, l'orchestra doveva essere bianca. Al limite Ellington e i suoi potevano registrare la colonna sonora, ma in scena avrebbero dovuto apparire musicisti bianchi. Solo grazie alla testardaggine della West, che voleva assolutamente il  Duca, la presenza dell'orchestra venne accolta.



 Nello stesso anno Duke Ellington ne realizzò anche una versione discografica con la parte vocale affidata ad Ivie Anderson, all'epoca cantante dell'orchestra.


Per diversi anni, questa sembra essere l'unica incisione discografica in circolazione. Solo nel 1941 Benny Goodman riprese il brano con la sua orchestra, affidandone la parte vocale alla giovane Peggy Lee, all'epoca poco più che ventenne. La tromba dovrebbe essere quella di Billy Butterfield.


Nello stesso periodo anche Count Basie ne registrò una versione con la voce di Lynne Sherman. Alle versioni vocali, all'inizio tutte abbastanza simili, cominciarono ad aggiungersi versioni strumentali di maggior interesse jazzistico, grazie anche ad assolo di eccellenti musicisti.
Cronologicamente la prima versione che ho trovato è quella realizzata nel 1944 dall'orchestra del trombettista Cootie Williams (uno dei musicisti che suonavano con Ellington nel video di Mae West). 



Il piano che introduce il brano è quello di un giovane Bud Powell appena ventenne; l'altro solista, oltre al leader ed a Powell, è il tenorsassofonista Eddie "Lockjaw" Davis. La linea melodica viene inizialmente affidata alla tromba e in seguito viene rielaborata dal sassofono. Un primo elementare tentativo di novità rispetto alle prcedenti versioni vocali.


L'anno successivo una All Stars, guidata dal trombonista Bennie Morton, ne registrò un'altra interessante versione strumentale, in cui l'elaborazione solistica della linea melodica si fa più concreta. I solisti,  nell'ordine, sono: il clarinettista Barney Bigard (lo stesso che seduto sul pianoforte suona nel video iniziale della West), seguito dal trombone del leader, dal sassofono di Ben Webster e dal piano di Sam Beskin, con una breve chiusura sempre di Morton.


Dobbiamo però aspettare il 1947 per avere finalmente una versione jazzisticamente significativa: quella del quintetto di Charlie Parker comprendente un ancora acerbo Miles Davis alla tromba, Duke Jordan al piano, Tommy Potter al basso e Max Roach alla batteria, un'esecuzione rimasta memorabile.


Nel 1950 uno Stan Getz ventitreenne, appena uscito dal "gregge" di Woody Herman, in cui si era distinto come uno dei famosi Four Brothers, ne realizza una versione per solo sax e rhythm session decisamente originale e apprezzabile per la qualità improvvisativa. Il basso in evidenza è quello di Percy Heath, al piano Tony Aless e alla batteria Don Lamond.


Un'altra incisione di grande interesse per la sua particolarità è quella realizzata nel 1953 dal "piano less" quartet di Gerry Mulligan con Chet Baker alla tromba. L'interplay fra tromba e sax baritono è di grande efficacia e rende questa esecuzione una delle migliori mai realizzate. Chet rimarrà molto legato a questo standard, che eseguirà spesso nei suoi concerti, anche dopo aver lasciato Mulligan, e ne esistono numerose versioni registrate negli anni. Il quartetto Mulligan-Baker ne incise anche una versione cantata con la voce di Annie Ross.


L'anno seguente, 1954, il brano viene registrato dal trio di Oscar Peterson con Ray Brown al basso ed Herb Ellis alla chitarra e successivamente incluso nell'LP Pastel Moods



Un'elegante e sofisticata lettura che evidenzia le grandi qualità interpretative dei tre eccellenti solisti.




Nei decenni successivi numerosi artisti si cimentarono con questo standard, ma nessuna di queste interpretazioni, a mio avviso, regge il confronto con le ultime quattro presentate qui sopra. 
Una curiosità riguardo a questo brano è rappresentata dal fatto che, a quel che mi risulta, non esistono versioni vocali maschili ad eccezione di quella realizzata nel 1957 da Matt Monro, crooner inglese molto popolare negli anni '60, versione che però restò inedita fino al 2010, anno in cui fu inclusa in una speciale raccolta contenente tutti i suoi 45 giri, 25 anni dopo la morte.


Si tratta di una versione molto convenzionale, di scarso interesse, ricordata solo per completezza d'informazione, trattandosi dell'unica versione vocale maschile che ho reperito.
Prima di chiudere un breve cenno anche al jazz italiano in quanto anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo standard. Di seguito ne segnalo tre che ritengo fra le più significative.



La cantante Tiziana Ghiglioni nel suo album del 1983 Sounds of Love in cui è accompagnata da un trio d'eccezione con Kenny Drew al piano, N-H. Ø. Pedersen al basso e Barry Altschul alla batteria, ne offre una lettura piena di colore e sensibilità all'altezza delle migliori interpretazioni vocali del passato.



Nel 2005 il giovane sassofonista siciliano Francesco Cafiso, all'epoca solo sedicenne, con il suo New York quartet ne realizza, per il CD New York Lullaby, una lunga versione nella quale vengono messe in evidenza le sue indiscutibili doti tecniche ed improvvisative.


Nello stesso anno il pianista Enrico Pieranunzi ne incide una particolarissima versione contenuta nell'eccellente album Special Encounter 


L'elegante pianismo di Pieranunzi sostenuto dal virtuosismo del bassista Charlie Haden e dalla batteria discreta di Paul Motian trasforma questa ballad in un raffinato esercizio stilistico di grande effetto emozionale.


domenica 2 settembre 2012

Ricordo di Art Pepper (1 sett. 1925 - 15 giu. 1982)


Ieri era l'anniversario della nascita di Art Pepper, ma avendo il computer inagibile ho deciso di ricordarlo comunque oggi. Per l'occasione ho rielaborato e arricchito di video un mio vecchio post pubblicato diversi anni fa, nella speranza di rinverdirne il ricordo.

venerdì 1 giugno 2012

I miei standards preferiti: Darn that Dream (1939)


Darn That Dream, ancora oggi uno degli standards più battuti dai jazzisti di tutto il mondo, venne composto nel 1939 dalla coppia Jimmy Van Hausen per la musica e Eddie DeLange per i testi, nell'ambito di un musical di Broadway, Swingin' the Dream, che prendeva spunto dalla commedia di Shakespeare Midsummer Night's Dream, ambientandola nella New Orleans del 1890, con un cast prevalentemente di colore.
Contrariamente ad altri musicals tratti da opere shakespeariane, come ad esempio Kiss Me Kate (tratta dalla Bisbetica Domata), questo fu un fiasco e venne sospeso dopo solo 13 repliche, nonostante la presenza nel cast di artisti all'apice del successo come Louis Armstrong, Maxine Sullivan, le Dundridge Sisters ecc., il contributo musicale per alcuni brani di Count Basie e la partecipazione del sestetto di Benny Goodman.


Il brano era cantato in scena da Armstrong, la Sullivan e le Dundridge Sisters ed è l'unico sopravvissuto di quello spettacolo, grazie a Benny Goodman che ne colse immediatamente il valore e ne incise subito una versione con la sua orchestra, cantata da Mildred Bailey,


che possiamo ascoltare nel seguente video


Il successo fu immediato e la canzone venne ripresa da altre  orchestre fra cui quella di Tommy Dorsey che ne registrò, sempre nel 1940, una versione con la voce di Anita Boyer, mentre la prima versione vocale maschile fu quella dell'orchestra di Blue Barron (alla quale si riferisce l'immagine posta all'inizio) con la voce di Russ Carlyle, uno dei più popolari cantanti del momento. 
Con gli anni il brano divenne sempre più diffuso, anche in versione solo strumentale.



Nel 1950, nell'ambito delle sedute d'incisione di Miles Davis divenute note come Birth of the Cool, venne realizzata una versione cantata da Kenny Hagood, un crooner alla Billy Eckstine presto dimenticato. I musicisti erano oltre a Miles, J.J. Johnson (tbn), Gunther Schuller (corno fr.), Bill Barber (tuba), Lee Konitz (sax a.), Gerry Mulligan (sax b. e arr.), John Lewis (pf), Al McKibbon (bs), Max Roach (btr).



Il brano tuttavia risultò abbastanza fuori contesto rispetto alle incisioni strumentali, in quanto, nonostante il buon arrangiamento di Mulligan, l'esecuzione del cantante era troppo "convenzionale".  Infatti dopo essere uscito come lato B del 78 giri con lo straordinario Venus de Milo, venne escluso per molti anni dagli LP che comprendevano gli altri brani di quelle sedute.



Il mio interesse per Darn that Dream iniziò nella seconda metà degli anni '50, quando per la prima volta ascoltai  la versione strumentale  che Gerry Mulligan registrò nel 1953 con il quartetto comprendente Chet Baker


Ne rimasi profondamente incantato e da allora quel brano è entrato in quella che chiamo la mia personale Hall of Fame, inducendomi a raccogliere nel mio archivio musicale alcune decine di diverse versioni del brano, sia vocali, sia strumentali. Non potendo qui enumerarle tutte mi limiterò a segnalarne alcune che, a mio avviso, si elevano qualitativamente sulle altre.
Fra le numerose versioni strumentali una delle mie preferite è quella che nel 1956 Thelonious Monk incise in trio con Oscar Pettiford e Art Blakey. 


Decisamente diversa, ma altrettanto piacevole, è la swingante versione, sempre in trio, che  Ahmad Jamal esegue in questo video del 1959





Particolarmente suggestiva è anche la delicata versione in duo che, nel 1963, ne danno Bill Evans al piano e Jim Hall alla chitarra nel loro splendido CD "Undercurrent".


Fra le numerose versioni vocali la "definitiva" al momento, a mio avviso, resta quella di Billie Holiday registrata nel 1957 con Harry "Sweet" Edison (tb), Ben Webster (sax t.), Jimmy Rowles (pf), Barney Kessel (cht), Red Mitchell (bs), Alvin Stoller (btr).


Presa in tempo lento, dopo un breve intro di Kessel, Billie entra sostenuta da Webster e Kessel. Il lungo "bridge" successivo è aperto da Edison, seguito da un assolo "stile chitarra" del basso di Mitchell con Webster che conclude  il "bridge" . Billie chiude sostenuta da Edison e ancora Kessel. Strepitoso!



Esistono anche numerose versioni sia vocali che strumentali di artisti italiani come Enrico Rava, Tiziana Ghiglioni, Stefano Bollani, Renato Sellani, Dado Moroni, ecc., ma quella che mi ha incuriosito di più è stata quella del gruppo di musica alternativa Quintorigo, che una decina d'anni fa nel loro album "In Cattività" (Universal 2003) ne hanno dato una lettura decisamente originale, partendo da un'ipotetica versione radiofonica d'epoca, con la voce particolare del cantante John Di Leo riescono a creare un'atmosfera suggestiva con spunti di modernità senza forzature, che rendono il tutto gradevolmente innovativo.


mercoledì 18 aprile 2012

Glauco Masetti: eminente maestro del jazz moderno italiano

foto di Renzo Storti (1960)

Glauco Masetti (1922-2001) è stato uno dei protagonisti della rinascita post-bellica del jazz italiano e punto di riferimento per molti musicisti delle generazioni successive. Per quelli della mia generazione, che si sono avvicinati al jazz nella seconda metà degli anni '50 era, con Gil Cuppini, Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Franco Cerri, uno fra i più ammirati. Nella foto seguente è l'unico con gli occhiali. Alle sue spalle da sx a dx si riconoscono Cerri, Valdambrini e Basso.


Nato a Milano il 19 aprile di novanta anni fa, iniziò a studiare musica fin da giovanissimo, dedicandosi allo studio prima del violino poi del clarinetto e del sassofono contralto, diventandone uno dei più apprezzati maestri e alternando il suo impegno fra jazz e musica leggera. Nei primi anni del dopoguerra cominciò a suonare con i principali protagonisti del jazz di quel periodo, mettendo in evidenza una straordinaria capacità tecnica ed una grande sensibilità artistica, passando dallo swing col clarinetto al bop con il sax, sempre con grande maestria. Nel brano seguente è possibile apprezzare le sue doti di clarinettista nell'esecuzione di un brano di Benny Goodman Seven Come Eleven con Giulio Libano nella veste di Lionel Hampton.


Fra il 1955 e il 1962 lo troviamo impegnato in una serie innumerevole di attività: concerti, festivals, incisioni discografiche in formazioni sempre diverse. Per un breve periodo capeggia anche un gruppo a suo nome con Romano Mussolini al piano, Franco Cerri al basso e Gil Cuppini alla batteria. Gruppo che è possibile ascoltare nel classico standard There Will Never Be Another You


Nella foto seguente lo vediamo invece con il Modern Jazz Quintet di Pupo De Luca con Eraldo Volonté al sax tenore a Fausto Papetti a sax baritono.

da sx a dx: Ernesto Villa, Glauco Masetti, Pupo de Luca, Eraldo Volonté, Fausto Papetti

Nel 1959 suona con Chet Baker a Torino assieme a Lars Gullin, Romano Mussolini, e Franco Cerri. Di seguito un video di quella serata: All the Things You Are, con un suo pregevole assolo subito dopo Chet



I due, sempre con Cerri, si esibiscono anche a Milano con Renato Sellani, Gianni Basso e da quella serata verrà tratto l'album Chet Baker in Milan che ho già presentato in un precedente post (qui).  



Dal 1962 l'attività jazzistica si dirada limitandosi a prevalenti collaborazioni con le Big Band di Gil Cuppini e di Giorgio Gaslini. Nel 1964 compare nel film La Vita Agra di Carlo Lizzani assieme a Gil Cuppini ed Enrico Intra


Nel 1970 viene scritturato come primo sassofono contralto e  clarino nell'Orchestra ritmica della Rai di Milano, dove rimarrà per oltre vent'anni fino allo scioglimento della stessa, continuando solo saltuariamente con un proprio sestetto l'impegno jazzistico. Nella foto è il terzo da dx fra Gianluigi Trovesi e Gianni Basso.


Nel video l'orchestra della Rai è diretta da Gerry Mulligan e nella sequenza degli assoli Masetti è il primo sassofono ad intervenire.


Il video seguente lo vede esibirsi al clarino con Lino Patruno in un concerto a San Marino nel 1996 quando ormai aveva quasi 75 anni.


Negli ultimi anni di vita aveva quasi interrotto l'attività a causa di problemi alla vista. Il 27 maggio 2001 è morto improvvisamente a Milano.
Concludiamo questo ricordo con l'ascolto di una struggente versione del classico standard Laura del 1977 con la Big Band di Gil Cuppini dall'LP "A New Day" (Red Record 154)