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giovedì 10 maggio 2012

Il piano jazz trio: Enrico Pieranunzi e Brad Mehldau, due maestri a confronto


Ultimamente sono stati pubblicati, a breve distanza di tempo, gli eccellenti album in trio di due fra i migliori pianisti oggi in circolazione, l'italiano Enrico Pieranunzi e lo statunitense Brad Mehldau, due indiscussi maestri di quella particolare forma di espressione jazzistica che è, appunto, il piano jazz trio.
Entrambi i dischi inoltre contengono, esclusivamente, loro composizioni originali mai ascoltate prima.
Il primo è Permutation (Cam Jazz 2012) di Enrico Pieranunziuno dei più noti ed apprezzati jazzisti italiani in campo internazionale.


1.Strangest consequences/ 2.Critical path/ 3.Permutation/ 4.Distance from departure/ 5.Horizontes finales/ 6.Every smile of yours/ 7.Whitin the house of night/ 8.The point at issue/ 9.A different breath

Egli, fin dagli esordi discografici, si è esibito spesso, sia in disco sia in concerto, nel classico trio con contrabbasso e batteria. Infatti nella sua vasta discografia troviamo moltissimi album di questo genere, alcuni dei quali memorabili come First Song (Soul Note 1990) con gli statunitensi Charlie Haden e Billy Higgins o come Seaward (Soul Note 1996) e il doppio Live in Paris (Challenge Jazz 2005) con il bassista olandese Hern van de Gein e il batterista francese André Ceccarelli.  
A conferma della sua predilezione per il genere per molti anni si è diviso fra due diversi trii “stabili”: uno italiano lo Space Jazz Trio con Enzo Pietropaoli al basso e Fabrizio Sferra alla batteria 


e uno cosiddetto “americano” con Marc Johnson al basso e Joey Baron alla batteria e con entrambi questi gruppi ha realizzato numerosi dischi eccellenti.

Joey Baron, Enrico Pieranunzi, Marc Johnson

In quest'ultima fatica del pianista la prima novità consiste nella formazione, con due nuovi partner il contrabbassista statunitense Scott Colley e il batterista messicano, newyorkese d'adozione, Antonio Sanchez, entrambi strumentisti di talento, già affermati a livello internazionale, con i quali l'affiatamento è stato subito completo.

Scott Colley, Enrico Pieranunzi, Antonio Sanchez

Anche il titolo è indicativo della continua volontà e capacità del pianista di trasformarsi ed evolvere verso sempre nuove forme compositive ed improvvisative, cercando nuovi partners che ne stimolino diversamente la creatività. Ascoltando i nove brani del disco non si può non apprezzare la perfetta sinergia fra il pianismo fantasioso e introspettivo di Pieranunzi, con il drumming intenso, pervasivo, dinamico di Sanchez, da molti considerato oggi il miglior batterista in circolazione, e le varianti ritmiche e coloristiche del double-bass di Scott Colley.
Nel video seguente è possibile apprezzare uno dei momenti più lirici del disco con il brano Within the House of Night


Nel prossimo video troviamo il trio, in un recente concerto, nel quale viene eseguito Permutation il brano che da il titolo all'album


L'altro album è Ode (Nonesuch 2012) dello storico trio di Brad Mehldau con Larry Grenadier al basso e Jeff Ballard alla batteria, realizzato in studio e da lungo tempo atteso. L'ultima esperienza del genere risaliva a Day Is Done (Nonesuch 2005).




Tutti i brani sono originali, scritti appositamente per questo trio. "Musica che ho scritto per suonarla appositamente con loro due", come ha dichiarato il pianista. Del resto si tratta di un sodalizio che va avanti, con qualche pausa, da molti anni.


L'album contiene 11 composizioni originali, una specie di raccolta di poesie (Odi, appunto) in musica, dedicate a familiari, parenti ed anche a personaggi mitici, come il George Hanson di Easy Rider interpretato da Jack Nicholson.
Questo CD ci conferma la grande sensibilità compositiva ed il talento improvvisativo di Mehldau che ha ormai raggiunto una straordinaria maturità artistica.
Di seguito un brano tratto dall'album


Il decano dei critici di jazz Franco Fayenz nella recensione di un loro recente concerto, tenutosi a Bergamo, si è sbilanciato definendoli il miglior trio di jazz in attività dopo quello di Bill Evans. 
Concludiamo questa carrellata con un video che riprende il trio dal vivo, alcuni anni fa, durante un concerto in Germania. 

sabato 17 dicembre 2011

Chet Baker: due dischi “italiani”

Repost from Splinder (30 aug. 2009)


Sono ormai trascorsi più di ventun anni dal tragico e misterioso incidente che il 13 maggio 1988, ad Amsterdam, provocò la morte di Chet Baker, tuttavia il ricordo di questo straordinario artista resta indelebile nel cuore di coloro che hanno amato la sua musica, la sua voce morbida, diafana, la sua concezione poetica del jazz.
In questo blog negli anni scorsi gli ho già dedicato alcune pagine, ma oggi, continuando nel percorso estivo di recupero e segnalazione di miei vecchi vinile, voglio ricordare un paio di dischi riascoltati negli ultimi giorni, usciti giusto vent'anni fa, nel 1989, più o meno in occasione del primo anniversario della tragica scomparsa del trombettista.
Tra l'altro, casualmente, si tratta delle prime e delle ultime registrazioni effettuate in studio in Italia.
Partiamo dal più recente: Silence pubblicato postumo nel 1989 dall'italiana Soul Note (LP 121 172-2) e registrato  a Roma l'11 e 12 novembre 1987, pochi mesi prima della sua scomparsa.



 A1 Visa (C. Parker)
 A2 Silence (C. Haden)
 A3 Echi (E. Pieranunzi)

 B1 My Funny Valentine (Rogers - Hart)
B2 'Round Midnight (T. Monk)
 B3 Conception (G. Shearing)

This album is dedicated to Chet Baker. His perfect ear and beautiful sound will be missed by all us.


L'album, pur essendo uscito a nome di Charlie Haden, è dedicato a Chet ed in realtà egli ne è il principale protagonista, sia pure accompagnato da tre altrettanto importanti musicisti: Haden al basso, il nostro Enrico Pieranunzi al piano e il grande Billy Higgins alla batteria.

Questo disco è certamente uno dei migliori realizzati da Chet negli ultimi anni di vita, caratterizzati da una frenetica produzione, quasi tutta “live” e non sempre di elevata qualità, ma essenzialmente legata alle continue necessità economiche dell'artista, dovute all'uso della droga.
La straordinaria qualità dei suoi accompagnatori lo stimola e lo aiuta a dare il meglio di sé, nonostante le sue condizioni fisiche sempre più precarie ne riducano le qualità tecniche, compensate da ricchezza poetica e partecipazione emotiva.
Il lato A ci offre due eccellenti brani composti per l'occasione: lo struggente Silence, che da il titolo all'album, composto da Charlie Haden ed il brillante Echi di Enrico Pieranunzi, oltre al recupero di un poco noto brano di Charlie Parker: Visa, da lui inciso nel 1949 e mai più ripreso, almeno in disco.
Il lato B, invece, è dedicato agli standards, con l'immancabile My Funny Valentine, eseguita ad un ritmo insolito, con un lunghissimo 'Round Midnight che consente a tutti e quattro i membri del gruppo di esibirsi in pregevoli assolo ed in chiusura Conception, il brano di George Shearing, reso celebre dall'interpretazione di Miles Davis.
Un disco che non può mancare in una ideale discografia del trombettista.
Con il prossimo disco, invece, torniamo indietro di 50 anni, al 1959. Si tratta di Chet Baker in Milan (JAZZLAND JLP 18) una riedizione statunitense del 1989, di alcune incisioni realizzate allora per la casa discografica italiana Celson. Gli otto brani contenuti in questo LP vennero all'epoca pubblicati anche in due 45 gr. EXP, oggi introvabili.


 A1 Lady Bird (C. Parker)
A2 Cheryl Blues (C. Parker)
 A3 Tune Up (M. Davis)
A4 Line for Lyons (G. Mulligan)

B1 Pent Up House (S. Rollins)
 B2 Looking for the Silver Lining (J. Kern)
 B3 Indian Summer (H. Dubin)
B4 My Old Flame (Coslow, Johnston)

All'epoca Chet era popolarissimo, e tornava in Italia per la seconda volta. Il nostro paese era una delle sue mete preferite, in quanto vi si sentiva ammirato e accolto con affetto dal pubblico e dai colleghi. Gli echi dei suoi successi californiani con Gerry Mulligan erano ancora vivi.
La volta precedente, nel 1955-56, pur essendosi fermato in Italia per alcuni mesi, suonando in diverse città, dove i suoi concerti vennero spesso registrati dal vivo, non era mai entrato in uno studio di registrazione. Questa volta invece due intraprendenti discografici italiani, i fratelli Guntler, pensarono di proporgli alcune sedute affiancandogli alcuni dei migliori jazzisti italiani dell'epoca. Questa fu anche la sua prima seduta d'incisione europea.
L'intera serie è stata ripubblicata in CD: The Complete Chet Baker 1959 Milan Sessions (King Jazz 185)
Questo LP contiene solo una parte di quelle incisioni, quelle con Gianni Basso: sax tenore, Glauco Masetti: sax alto, Franco Cerri: basso, Renato Sellani: piano e Gene Vincent: batteria.
Quell'esperienza fu molto importante per i nostri musicisti. Gianni Basso ricorda così quei giorni:
«Tutti noi eravamo dei fan di Chet e fu un onore fare una session con lui, il problema è che era un tipo assolutamente imprevedibile: la sera preparava dei pezzi e il giorno dopo arrivava in studio con una scaletta da registrare completamente diversa, in cui magari c' erano brani di Charlie Parker, Miles Davis e del suo amico Gerry Mulligan. E noi dovevamo stargli dietro. Fu una bella palestra», (La Repubblica, 13 agosto 2008).
Il Chet Baker che si ascolta in questi brani è molto diverso. Qui aveva quasi 30 anni di meno e la brillantezza del suono non era ancora offuscata dalle future traversie fisiche e morali.
I primi 6 brani in sestetto sono pieni di verve e ci riportano ai fasti del bop e del jazz californiano e l'apporto dei colleghi italiani non fa rimpiangere i migliori specialisti d'oltreoceano.
Negli ultimi due brani, invece, Chet ci regala, accompagnato dalla sola ritmica, due splendide ballads, interpretate da par suo.
Per avere un'idea di cosa stò parlando ascoltate i due brani seguenti: nel primo il sestetto esegue il noto brano di Tadd Dameron e nel secondo possiamo goderci la splendida ballad Indian Summer.

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Concludo riportando il lusinghiero giudizio sui musicisti italiani in questo disco, espresso da un critico statunitense in una recensione dell'epoca:
«Se l'adagio che la musica è un linguaggio universale non fosse mai stato provato prima, qui, con certezza, diventa ovvio. I musicisti italiani mostrano piena familiarità con una forma d'arte decisamente americana come il jazz, al punto che gli assolo dei sassofonisti sono spesso più fluidi di quelli dello stesso Chet. Il fatto che i nomi di questi musicisti non siano noti non deve dissuadere gli amanti del jazz californiano dall'acquistare una copia di Chet Baker in Milan».
Che dire di più!!