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mercoledì 24 giugno 2015

70 anni fa con i "V-Disc" il Jazz rientrava in Italia

Una pagina di storia

Sono trascorsi 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e nei ricordi di quelli che, come me, quell'epoca l'hanno vissuta, più o meno giovani, ci sono ancora le grandi novità che arrivavano insieme alle truppe americane; il chewing gum, la Coca Cola, i piselli in polvere, il minestrone in scatola Campbell's, le Lucky Stike, le Camel, le Chestefield e la musica dei V-Disc.


Questi ultimi erano dischi a 78 giri particolari, realizzati appositamente per le truppe al fronte e stampati nell'insolito formato da 30 cm, più grande dei dischi normali, per contenere più musica, inoltre erano infrangibili, per poter essere impacchettati e spediti intorno al mondo. La V stava per Victory. 
Prodotti su iniziativa del governo degli Stati Uniti per allietare i momenti di riposo dei militari nel turbine della guerra, contenevano un repertorio fra i più vari che andava da Bing Crosby a Toscanini, dalle canzoni popolari alla musica folk, ma la parte del leone la faceva il jazz, e in particolare, lo Swing, che all'epoca era popolarissimo fra i giovani statunitensi. 




Alcuni motivi come questo In the Mood di Glenn Miller o il Boogie Woogie di Tommy Dorsey rappresenteranno una specie di colonna sonora di quello straordinario periodo.







La maggior parte di quelle incisioni erano brani originali realizzati apposta per quell'esigenza, spesso introdotti da un breve saluto dell'artista ai militari, come in questo Pee Wee Speaks con Pee Wee Russell e La Muggsy Spanier V-Disc All Stars





oppure registrazioni di trasmissioni radiofoniche, sempre dedicate. Se si considera poi che a causa del recording ban - lo sciopero dei musicisti contro le case discografiche per problemi di royalties - dal 1942 al 1944 non venne registrato nessun brano nuovo, questi dischi hanno avuto anche un valore documentario.
In Italia, con il divieto di importazione dei dischi di jazz dal 1938, in pratica il jazz era bandito, e quel poco che circolava grazie ai musicisti italiani era mascherato con titoli assurdi tipo Tristezza di San Luigi (per S. Louis Blues) o Animo Sereno (per Mood Indigo) o ancora Anime Gemelle (per I Wish I Where Twins) e così via, ma vi erano anche orchestre italiane, come quella di Pippo Barzizza, che suonavano pezzi italiani con arrangiamenti stile Big Bands. Un esempio è questo brano del 1942, dello stesso Barzizza, in cui è possibile anche apprezzare la qualità dei solisti da Sergio Quercioli al clarinetto, a Gaetano Gimelli alla tromba e Francesco Bausi alla batteria.


Questo lungo digiuno ebbe fine con l'arrivo della 5a Armata americana che, con i suoi militari, oltre alla fine della guerra e la liberazione dal fascismo, portò nuova allegria.
Adriano Mazzoletti, di un paio d'anni più vecchio di me, ricorda:
Le feste da ballo erano all'ordine del giorno ed i militari della quinta armata giungevano con sotto braccio i pacchi appena giunti dagli Stati Uniti con dentro decine di V-Disc nuovi fiammanti e, alla fine della serata, molto spesso quei dischi infrangibili rimanevano lì, sul tavolo, accanto al grammofono a manovella e non mi vergogno di dire che con gli amici si faceva man bassa.
Fu così che molti scoprirono Pee Wee Russell, Jack Teagarden, Bobby Hachett, oltre ai grandi Duke Ellington, Louis Armstrong, Lionel Hampton, Benny Goodman, Glenn Miller ecc.
Poi verso il 1948 il Dipartimento della guerra, proprietario dei diritti sui V-Disc, decise di distruggere tutte le matrici e i pezzi rimasti in circolazione divennero rarità da collezione.
All'inizio degli anni '80 una casa discografica italiana decise di ripubblicare su Lp il meglio di quei dischi in una serie di 10 volumi con il titolo "Gli anni d'oro della musica americana", e la rivista "Musica Jazz", che proprio allora aveva iniziato ad allegare al giornale un Lp, offrì ai propri lettori un disco appositamente realizzato, con una selezione della suddetta raccolta. Dopo oltre 30 anni anche questo disco è divenuto una rarità e pertanto lo riproponiamo per dare la possibilità ai più giovani che non conoscono quella musica di farsi un'idea ed ai più vecchi di rinfrescarsi la memoria.



Gli anni d'oro della musica americana
(compilation)

Musica Jazz 12/1981
(su licenza Fonit Cetra)



A1. The Tattooed Bride (part one)
Duke Ellington and his orchestra

A2. Caldonia
Woody Herman and his orchestra

A3. Gee Baby Ain't Good to You
Count Basie and his orchestra
(vocal Jimmy Rushing)

A4. Souther Scandal
Stan Kenton and his orchestra

A5. Let's Fall in Love
Benny Goodman Quintet

A6. I'm Confessin' That I Love You
Louis Armstrong and his V-Disc All Stars




B1. Tin Roof Blues
Muggsy Spanier and his V-Disc Dixieland

B2. Where or When
Art Tatum

B3. The Man I Love
Coleman Hawkins

B4. Frim Fram Sauce
King Cole Trio 

B5. There'll Be A Jubilee
Mildred Bailey

B6. Washboard Blues
Yank Lawson and his Dixieland Blues

Buon ascolto!

venerdì 7 giugno 2013

I miei standards preferiti: A Ghost of a Chance (1932)


Questa celebre canzone, il cui titolo completo era I Don't Stand a Ghost of a Chance with You, venne scritta nel 1932 appositamente per Bing Crosby, che collaborò anche alla stesura del testo, dal paroliere Ned Washington (autore di celebri brani come: Stella by Starlight, The Nearness of You, I'm Getting Sentimental Over You, ecc.), su musica dell'altrettanto famoso compositore Victor Young (autore fra l'altro di My Foolish Heart, Johnny Guitar, ecc., e soprattutto di decine di celebri colonne sonore). All'epoca Crosby era la star più popolare di tutto il mondo dello spettacolo ed intorno a lui ruotava il meglio dello show business. La foto lo ritrae con l'attrice Carol Lombard.



Il disco ebbe un successo straordinario, raggiungendo i vertici delle classifiche, e ne venne realizzato anche un breve filmato, una sorta di odierno video clip.




L'arrangiamento e le atmosfere sono quelli in voga in quegli anni, ed hanno ben poco a vedere con il jazz, ma le splendida melodia venne ripresa, qualche anno dopo, da diversi jazzisti rendendola presto un celebre standard. 


Il primo fu il trombettista Bobby Hackett il quale, con la sua orchestra, nel 1938 ne realizzò una versione decisamente più moderna, che valorizzava al massimo le qualità musicali del brano.



Questa versione aprì la strada ad una serie di nuove interpretazioni da parte di altri musicisti, fra le quali, in particolare, spiccano quelle dei tre maggiori tenor-sassofonisti di quegli anni: Chu Berry, Coleman Hawkins e Lester Young.


Chu Berry (1908-1941)

Il primo, in quegli anni militava nell'orchestra di Cab Calloway e nel 1940, poco più di un anno prima della sua morte, ne incise una strepitosa versione ancora oggi insuperata. Una curiosità: in quell'occasione fra i membri dell'orchestra c'era anche Dizzy Gillespie.


Le altre versioni sopra ricordate furono realizzate entrambe nel 1944.


Coleman Hawkins (1904-1969)

Coleman Hawkins era accompagnato dall'orchestra di Cozy Cole e, contrariamente a Chu Berry che era l'unico solista, in questo caso l'assolo del sassofonista era integrato dagli interventi di altri membri dell'orchestra: Charlie Shavers alla tromba che introduce il brano, poi Tiny Grimes alla chitarra, Hank D'Amico al clarinetto e Slam Stewart che chiude con il suo caratteristico vibrato voce e contrabbasso.


L'assolo di Hawkins, pur eccellente, è più breve e molto meno fantasioso e originale di quello Berry. 

Lester Young (1909-1959)

Infine ascoltiamo la versione di Lester Young, accompagnato da Count Basie al piano con la ritmica della sua orchestra. Una versione più lenta e introspettiva delle precedenti, una lettura mesta, malinconica che sembra quasi presagire le tribolazioni e le umiliazioni che egli dovrà sopportare alcuni mesi dopo, a causa del richiamo nell'esercito, che segneranno il resto della sua vita.



Fra le versioni vocali, che vennero realizzate in quei primi anni, merita di essere ricordata quella del 1939 di Mildred Bailey, accompagnata da un gruppo di musicisti capeggiato dalla pianista Mary Lou Williams. 


Un mix interrazziale di swing e di melodia che modernizza il brano riportandolo all'attenzione di un pubblico più vasto.


Dopo queste memorabili esecuzioni il brano entrò nel repertorio di numerosi musicisti e cantanti e ancora oggi viene ripreso da diversi giovani artisti. Fra queste numerose interpretazioni alcune meritano di essere ricordate per la loro originalità.



Iniziamo con Thelonious Monk che nel suo album Thelonious Himself del 1957,  ne propone una versione di solo piano, una lettura in cui è possibile apprezzare tutte le sfumature della melodia.



Fra le esecuzioni imperdibili non poteva mancare quella di Billy Holiday, supportata dalla tromba di Harry "Sweet" Edison, dalla chitarra di Barney Kessel, e dal sax di Ben Webster; un'interpretazione, realizzata per la Verve nel 1955, piena di pathos che evidenzia anche le qualità poetiche del testo.



Molto particolare e delicata l'esecuzione del trio del pianista Elmo Hope, sempre del 1955 e contenuta nell'album Meditations. Questo artista dotato di grande talento, amico e coetaneo di Bud Powell,  purtroppo è caduto nell'oblio.


Vigorosa e piena di fantasia e di feeling è la versione che Clifford Brown registrò con lo storico quintetto che guidava assieme a Max Roach



Per venire a tempi più recenti, ho apprezzato molto, avendola ascoltata anche da vivo, l'interpretazione di Diana Krall, che nella seconda metà degli anni '90, la eseguiva spesso nei suoi concerti, accompagnata solo dalla chitarra di Russell Malone. Il video è stato realizzato durante un concerto tenutosi a Berna nel 1997.


Per chiudere questa, necessariamente incompleta, rassegna di interpretazioni di questo bellissimo standard, ho scelto la commovente versione di Chet Baker tratta dalla colonna sonora del film "Let's Get Lost", in cui è accompagnato fra gli altri da Frank Strazzeri al piano a da Nicola Stilo alla chitarra e al flauto.

domenica 4 marzo 2012

I miei standards preferiti: Body and Soul (1930)


Body and Soul, da più di 80 anni ormai, è uno dei motivi più battuti dai musicisti e cantanti di tutto il mondo, una melodia senza tempo, un evergreen, sempre in auge, come dimostra il successo riscosso dalla versione realizzata lo scorso anno dal grande vecchio Tony Bennett con la compianta rockstar Amy Winehouse. 


Il brano venne scritto, nell'autunno del 1930, dal compositore statunitense Johnny Green, mentre si trovava a Londra ed era destinato ad una diva molto famosa all'epoca, la cantante ed attrice britannica Gertrude Lawrence, musa ispiratrice di grandi scrittori e compositori come il commediografo Noël Coward, che scrisse per lei “Spirito allegro” o George Gershwin, che la volle protagonista di una sua commedia musicale a Broadway. 



La canzone, con le parole scritte da Heyman, Sour e Eyton, ebbe subito un larga diffusione ed il primo a coglierne le potenzialità jazzistiche fu Louis Armstrong, che, sempre nel 1930, ne incise una versione vocale e strumentale, la quale sostanzialmente, però, restava legata alla linea melodica tipica di una canzone sentimentale, in gergo torch song.


Nel 1939 Coleman Hawkins ne registrò, per la Bluebird (etichetta economica della RCA), una versione strumentale, rimasta negli annali, che consacrò definitivamente questo brano come Jazz ballad.


La particolarità di questa esecuzione stava nel fatto che, contrariamente alla consuetudine degli esecutori dell'epoca di elaborarne l'interpretazione agendo sulla melodia, Hawkins costruì il suo assolo su variazioni basate sulla struttura armonica, aprendo la strada ad altri musicisti, che nel tempo, in particolare fra i sassofonisti, ne realizzarono un'infinità di versioni (nel mio piccolo, fra versioni vocali e strumentali, ne dispongo di alcune centinaia).
Particolarmente interessante quella del 1960 del complesso di Charles Mingus. Oltre 10 minuti in cui i principali solisti: Roy Eldridge alla tromba ed Eric Dolphy al sax alto, combinano variazioni melodiche e accentuazioni ritmiche con forti connotazioni blues.


Il sassofonista Dexter Gordon fu uno dei più prolifici, lasciandocene numerose versioni, prevalentemente live, spesso molto diverse fra loro. Fra queste ne ho scelta una della maturità registrata dal vivo fra il 1978 e il 1979 al Keystone Korner di San Francisco con George Cables al piano, Rufus Reid al basso e Edde Gladden alla batteria. Una lunga versione, con influenze coltraniane.


Lo stesso Coltrane si è cimentato con il brano fin dal 1960. Infatti nel corso della prima seduta di registrazione Atlantic, quella dell'album My Favorite Things, ne realizzò ben due diverse tracce, che però non vennero pubblicate, per volontà dell'artista, insoddisfatto del risultato. Solo nel 1964, quando Coltrane non era più sotto contratto, la casa discografica ne pubblicò una delle due, senza l'approvazione dell'artista, nell'album Coltrane's Sound.
Nel 1965 durante un concerto a Seattle ne registrò dal vivo un'altra lunghissima versione, più di 21 minuti, con un sestetto comprendente, oltre ai soliti Tyner, Garrison e Jones, un altro bassista: Dave Garrett e un altro sax tenore: quello di Pharoah Sanders. La versione, forse proprio per la sua lunghezza, non venne inclusa nel doppio LP del concerto e venne pubblicata postuma solo nel 1994. Coltrane, Tyner e Sanders si alternano in una serie di assolo che smontano e rimontano la melodia come in una specie di percorso ad ostacoli. Si tratta della interpretazione più radicale e ardita mai realizzata e, fino ad ora, considerata la più originale e rivoluzionaria dopo quella di Hawkins.
Di seguito la versione integrale in due audio-video. Nel primo è possibile ascoltare Coltrane seguito da Tyner, nel secondo ancora Tyner e poi Sanders che conclude.



Naturalmente, oltre ad ispirare versioni strumentali da parte di grandi interpreti, la canzone ha continuato ad avere una vita propria, con significative interpretazioni vocali da parte dei più famosi cantanti jazz e pop, da Billie Holiday a Frank Sinatra, da Ella Fitzgerald a Mel Tormé, da Betty Carter a Cassandra Wilson, per citarne solo alcuni.  
Fra le tante disponibili ho scelto di proporne una, a mio avviso fra le più originali ed espressive, quella di Sarah Vaughan, incisa nel 1954 in cui è accompagnata da John Malachi al piano, Joe Benjamin al basso e Roy Hayes alla batteria. La sua straordinaria estensione vocale che spazia attraverso quattro ottave, dal baritono al soprano, ci offre una lettura impeccabile non solo per la bellezza della voce, ma anche per l'incomparabile sensibilità del suo fraseggio.


Concludiamo questa carrellata con una versione decisamente atipica. Nei primi anni '50 cominciò a diffondersi una nuova forma di canto jazz, che il critico Leonard Feather battezzò "vocalese", che consisteva nella adattare delle parole ad un brano, sulla base del suono e del  ritmo. Uno dei pionieri di questo genere Eddie Jefferson nel 1952 riprese l'esecuzione di Coleman Hawkins del 1939, scrivendovi sopra un testo dedicato al sassofonista che riprendeva la musica nota per nota. 

Don't you know he is the king of Saxophone
Yes ideed he is,
Talking 'bout the guy that made it sound so good,
Some people know him by "the Bean",
But Hawkins is his name, 
He sure can swing and play pretty too,
Sounds good to me,
Should sound good to you, 
I love to hear him playing Body and Soul,
......


Nel 1979 questo brano, all'epoca passato quasi inosservato, venne ripreso dai Mahnattan Transfer per ricordarne l'autore morto quell'anno, e venne incluso nel loro LP Extensions riportandolo all'attenzione degli appassionati.

lunedì 12 dicembre 2011

Ricordo di Roy “Little Jazz” Eldridge a vent'anni dalla scomparsa.

Repost from Splinder (24 feb. 2009)


Fra un paio di giorni (il 26 febbraio) saranno trascorsi vent'anni dalla morte di Roy Eldridge (1911-1989), «un gigante della tromba», come lo definì il critico statunitense Leonard Feather nel suo necrologio, e che oggi è stato pressoché dimenticato. Per ricordarlo ho scelto di presentare una serie di video che spaziano in quasi 50 anni della sua carriera.
Eldridge è stato un artista di straordinario talento, eccellente strumentista, divertente showman e ottimo cantante, che ha esercitato una profonda influenza su tutti i solisti delle generazioni successive, ma anche un artista di “transizione” che ha vissuto a cavallo fra il jazz classico e il Bebop, senza immedesimarsi in nessuna delle due categorie, e che, nonostante il successo, restò comunque succube dell'incombente presenza prima di Louis Armstrong, di dieci anni più anziano, e poi di Dizzy Gillespie e di Miles Davis.
Le sue eccellenti doti si evidenziarono fin da giovanissimo e all'età di 19 anni si trasferì a New York dalla natia Pittisburgh, dove trovò un ingaggio nell'orchestra di Cecil Scott e dove incontrò Chu Berry, una delle stelle del gruppo, che diventò per lui una specie di guida. Dovettero però passare ancora un paio d'anni prima che la sua dirompente personalità emergesse, grazie anche ad un certo influsso che ebbe su di lui l'incontro con la musica Armstrong. Nel 1932 entrò a far parte dell'orchestra di Elmer Snowden, che comprendeva anche Otto Hardwick, Dick Wells ed altri ex ellingtoniani.
Il primo video che propongo è del 1933 e si riferisce proprio a quell'esperienza. Si tratta di una curiosità storica che ci permette di vedere il giovane Roy, che qui è riconoscibilissimo, (è il più basso del gruppo), alle prime armi in un vivace set di show-music, e fu proprio durante la militanza in questo gruppo che il sassofonista Hardwick (il primo sulla destra) coniò per lui in soprannome di “Little Jazz” che gli rimarrà per tutta la vita.


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Questo filmato è anche interessante come documento di costume. Girato nello storico anno che aprì la strada al New Deal dopo la tragica crisi del 1929, sembra quasi un invito a lasciarsi dietro i disastri passati e a guardare al futuro con allegria, rivolto in particolare alla gente di colore, alla quale il filmato era, quasi certamente, indirizzato.
Negli anno successivi Eldridge continuò a crescere come strumentista e a farsi le ossa in orchestre e complessi sempre più importanti, come i McKinney's Cotton Pickers, l'orchestra di Teddy Hill e quella di Fletcher Henderson. Nel 1937, ormai affermato, mise insieme un proprio gruppo che per un paio d'anni si esibì prevalentemente al “Three Duces” di Chicago.
Ma la grande popolarità gli arrivò grazie all'ingaggio da parte di Gene Krupa che ne fece una vera e propria vedette dell'orchestra. I suoi assolo di tromba, i suoi siparietti canori ed i suoi duetti con Anita O'Day riscossero un successo grandissimo. Di seguito due video dell'epoca che documentano alcuni di quei momenti..



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In realtà per Roy quelli furono anni difficili; far parte come unico artista di colore di un'orchestra di bianchi era molto complicato. Fraternizzare con i colleghi in pubblico era impensabile, alla fine di ogni concerto doveva uscire dalla porta di servizio e non poteva alloggiare nello stesso albergo degli altri. Un vero e proprio calvario che lo amareggiò moltissimo e lo indusse alla prima tournée in Europa a fermarsi a Parigi, dove venne accolto trionfalmente e dove sentì che non esistevano pregiudizi razziali.
Il prossimo video del 1951 lo vede suonare con un gruppo di musicisti francesi. Il pianista potrebbe essere Claude Bolling, ma non ne sono sicuro.

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Dopo circa un anno rientrò negli USA chiamato da Norman Granz che ne fece una stella del suo Jazz at the Philarmonic, ma negli anni tornerà spesso in Europa, dove venne sempre accolto con grande entusiasmo.
La sua militanza nella “scuderia” di Norman Granz, patron anche della casa discografica Verve e poi della Pablo, fece sì che nei successivi anni Roy incontrasse in concerti o su disco quasi tutti i grandi dell'epoca, da Billie Holiday, a Ella Fitzgerald, da Oscar Peterson a Coleman Hawkins, ma quasi sempre come spalla.
Fra i numerosi video disponibili su Youtube ho scelto questa gustosa versione di Sunday del 1961 eseguita con un gruppo di famosi colleghi: Coleman Hawkins al tenore, Johnny Guarnieri al piano, Cozy Cole alla batteria ecc.. Un classico esempio della vitalità e della vivacità di Roy, meritevole di attenzione anche se di scarsa qualità video.


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Per concludere ho scelto un video di quasi 20 anni dopo che ce lo mostra, già gravemente malato, in  una delle sue ultime esibizioni, prima di ritirarsi definitivamente. Il brano è Booty Blues ed è esguito con un gruppo capeggiato da Count Basie  con Zoot Sims ed altri musicisti meno noti. 



Nella speranza che questo fugace ricordo sia servito a stimolare la curiosità verso i suoi dischi chiudo con un'affermazione che anni fa lessi da qualche parte: Little Jazz era Grande Jazz.

lunedì 5 dicembre 2011

Classic Saxes Summit (1957)


Il sassofono è uno strumento tipicamente jazzistico, o almeno nel jazz ha trovato terreno fertile, soprattutto nelle due fondamentali tonalità: tenore e contralto. Alcuni dei nomi simbolo del jazz: Charlie Parker, Lester Young, John Coltrane, Coleman Hawkins, Gerry Mulligan, Stan Getz, Ornette Coleman, Sonny Rollins, Ben Webster, Cannonball Adderley, David Murray, ecc. sono sassofonisti.
Perché questa scontata considerazione? Per evidenziare una mia lacuna, infatti delle oltre 90 pagine di queso blog nessuna è specificamente dedicata a uno di questi musicisti o comunque ad un sassofonista, se si esclude una recensione dell'ultimo CD del World Saxophone Quartet.
Non si è trattato di una scelta, ma di una pura casualità, allora per cominciare a sopperire a questa lacuna ho scelto un video che mette insieme i tre maggiori tenoristi del periodo "classico": Ben WebsterLester Young e Coleman Hawkins (in ordine di apparizione) affiancati da Gerry Mulligan al sax baritono.
Il filmato è un "cult" per gli appassionati e presenta Billie Holiday circondata da un parterre d'eccezione che comprende, oltre ai 4 già citati, Roy Eldridge e Doc Cheatham alle trombe, Vick Dickinson al trombone, Mal Waldron al piano, Danny Baker alla chitarra, Milt Hinton al basso e Osie Johnson alla batteria.
Realizzato il 6 dicembre 1957 negli studi televisivi della CBS per una celebre tramissione: The Sound of Jazz, è considerato l'antesignano di tutti i programmi televisivi dedicati al jazz.
Questo Fine and Mellow è uno stupendo blues, scritto da Billie Holiday nel 1939 e divenuto uno dei suoi più noti successi, eseguito da allora in quasi tutti i concerti, viene qui interpretato da tutti splendidamente con una serie di "assolo" intercalati dal canto di una Billie Holiday particolarmente in forma sia vocale che fisica, prima del tracollo del 1958, che la porterà alla morte il 19 luglio 1959 a soli 44 anni.
Ed ora circa otto minuti di grande jazz!!



Billie Holiday - Fine And Mellow di alternativa

Coleman Hawkins: Daddy of Tenor Sax

Pubblicato venerdì 30 novembre 2007

A Coleman Hawkins va innanzi tutto riconosciuto il merito di aver per primo utlizzato con successo nel jazz il sassofono, strumento fino ad allora usato prevalentemente nel vaudville, per trarne suoni con effetto comico, ma non è solo questo il motivo per considerarlo il padre del sassofono jazz. La definzione è soprattutto dovuta al gran numero di tenorsassofonisti che per generazioni hanno derivato il proprio stile dal suo.
Secondo J. H. Berendt, il noto critico e storico del jazz, in tutta la storia del jazz esistono solo altri due musicisti che possono annoverare un analogo numero di strumentisti che si siano ispirati, sia pure con ampio margine di libertà, al loro stile: Louis Armstrong e Charlie Parker.
Questa pagina vuol essere solo un sintetico ricordo, arricchito da qualche video e qualche traccia musicale, senza pretendere di rievocarne la straordinaria carriera e la sterminata discografia.
Coleman Hawkins (1904-1969) esordì a 18 anni con il gruppo Jazz Hounds che accompagnava la allora celebre cantante di blues "Mammie" Smith. (nella foto a sn. della cantante, nella tipica posa plastica di quegli anni).
L'anno dopo entrò a far parte dell'orchestra più popolare dell'epoca, quella di Fletcher Henderson, nella quale, per diversi anni, fu uno dei solisti più apprezzati.
Nel 1934, incuriosito dall'Europa e dalla sua cultura, avendo avuto indicazioni favorevoli da colleghi che lo avevano preceduto, decise di lasciare gli Stati Uniti per tentare la fortuna nel vecchio continente.
L'esperienza fu sicuramente felice e produttiva, la permanenza si protrasse per cinque anni e contribuì a dare anche un significativo impulso all'emergente jazz europeo.
A quel periodo (1935) risale il primo video proposto, una vera rarità, la prima testimonianza filmata di Hawkins, una specie di videoclip, che veniva proiettata al cinema, come pubblicità del relativo 78 giri. Il brano è I Wish I Were Twins


Nel 1939, anche per i venti di guerra che ormai aleggiavano, tornò negli Stati Uniti. Nonostante i cinque anni di assenza e di isolamento - i suoi dischi europei non giungevano oltreoceano - in quello stesso anno la sua popolarità esplose improvvisamente con un'incisione che entrerà nella storia del jazz. Quel Body and Soul, che diventerà il suo maggior successo discografico di sempre, e che viene indicato come «una specie di canone definitivo per interpretare una ballata nel jazz, uno stile esecutivo senza tempo, che non è mai invecchiato» (J. H. Berendt).
Anziché mettere qui la versione classica del 1939, abbastanza nota, ho preferito inserire un'esecuzione video degli ultimi anni di vita dell'artista (1967), con accompagnatori di prim'ordine: Teddy Wilson al piano, Louie Bellson alla batteria e (forse) Jimmy Woode al basso.


Quasi trent'anni dalla prima incisione e il fascino resta lo stesso, anche se l'esecuzione risente dell'età e delle non felici condizioni di salute di Hawkins.
Nei primi anni quaranta, dopo essere tornato prepotentemente sulle scene newyorkesi, si avvicinò al bebop ed ai suoi giovani interpreti. Nel 1947 incise quattro tracce alla testa di un gruppo di giovani boppers comprendente Miles Davis alla tromba reduce dalle prime incisioni con Charlie Parker, Kay Winding, altro giovane emergente, al trombone, Hank Jones al piano, e (forse) Curley Russell al basso e Max Roach alla batteria.
Fra queste ho scelto Bean A Re-Bop, brano tipicamente bebop, nel quale dopo l'assolo robusto del leader è possibile sentire la tromba ancora acerba di Miles Davis.


Di quel periodo è anche questo breve filmato tipicamente bebop Rifftune tratto da un modesto thriller "Crimson Canary" ambientato nel mondo del jazz. Il gruppo diretto da Hawkins comprende alcuni dei migliori musicisti bebop del momento: Howard McGhee alla tromba, Sir Charles Thompson al piano, Oscar Pettiford al basso e Denzil Best alla batteria.


Nel filmato seguente del 1950 lo vediamo invece suonare per la prima volta con Charlie Parker, che qui gli fà da spalla in questo tipico esempio di ballata improvvisata dai due. Il titolo del brano infatti è Ballade e la sezione ritmica che li accompagna è altrettanto elitaria: Hank Jones al piano, Ray Brown al basso e Buddy Rich alla batteria. È  interessante osservare all'inizio l'ammicante gesto di ammirazione di Parker nei confronti del più anziano collega.


Nel quadro della ricerca e sperimentazione di quegli anni egli uscì dagli schemi sia del balladeur, sia del bebop con un esperimento decisamente diverso dagli altri e che produsse una delle opere più significative del jazz moderno: Picasso, un'improvvisazione per sax tenore solo.



Dietro quest'opera, secondo il critico Marcello Piras: «... si spalanca un abisso di angoscia ineffabile, un senso di solitudune cosmica e di incomunicabilità, che trascende il banale dato tecnico del "solo sax" e anzi lo giustifica sul piano poetico», ma l'esperimento non venne accolto favorevolmente dal pubblico.
Hawkins tornò a suonare come piaceva al pubblico, sia pure con disagio.
In questo video si cimenta con Nat King Cole e il trio di Oscar Peterson in una bella versione di Sweet Lorraine.


In quegli anni comunque non trascurò i rapporti con quei musicisti come Thelonius Monk, John Coltrane, Max Roach, Shelly Manne Sonny Rollins e altri, che si dedicavano  a sperimentare nuove forme espressive, realizzando con alcuni di loro album memorabili dei quali dovremo riparlare in un'altra occasione.