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domenica 4 marzo 2012

I miei standards preferiti: Body and Soul (1930)


Body and Soul, da più di 80 anni ormai, è uno dei motivi più battuti dai musicisti e cantanti di tutto il mondo, una melodia senza tempo, un evergreen, sempre in auge, come dimostra il successo riscosso dalla versione realizzata lo scorso anno dal grande vecchio Tony Bennett con la compianta rockstar Amy Winehouse. 


Il brano venne scritto, nell'autunno del 1930, dal compositore statunitense Johnny Green, mentre si trovava a Londra ed era destinato ad una diva molto famosa all'epoca, la cantante ed attrice britannica Gertrude Lawrence, musa ispiratrice di grandi scrittori e compositori come il commediografo Noël Coward, che scrisse per lei “Spirito allegro” o George Gershwin, che la volle protagonista di una sua commedia musicale a Broadway. 



La canzone, con le parole scritte da Heyman, Sour e Eyton, ebbe subito un larga diffusione ed il primo a coglierne le potenzialità jazzistiche fu Louis Armstrong, che, sempre nel 1930, ne incise una versione vocale e strumentale, la quale sostanzialmente, però, restava legata alla linea melodica tipica di una canzone sentimentale, in gergo torch song.


Nel 1939 Coleman Hawkins ne registrò, per la Bluebird (etichetta economica della RCA), una versione strumentale, rimasta negli annali, che consacrò definitivamente questo brano come Jazz ballad.


La particolarità di questa esecuzione stava nel fatto che, contrariamente alla consuetudine degli esecutori dell'epoca di elaborarne l'interpretazione agendo sulla melodia, Hawkins costruì il suo assolo su variazioni basate sulla struttura armonica, aprendo la strada ad altri musicisti, che nel tempo, in particolare fra i sassofonisti, ne realizzarono un'infinità di versioni (nel mio piccolo, fra versioni vocali e strumentali, ne dispongo di alcune centinaia).
Particolarmente interessante quella del 1960 del complesso di Charles Mingus. Oltre 10 minuti in cui i principali solisti: Roy Eldridge alla tromba ed Eric Dolphy al sax alto, combinano variazioni melodiche e accentuazioni ritmiche con forti connotazioni blues.


Il sassofonista Dexter Gordon fu uno dei più prolifici, lasciandocene numerose versioni, prevalentemente live, spesso molto diverse fra loro. Fra queste ne ho scelta una della maturità registrata dal vivo fra il 1978 e il 1979 al Keystone Korner di San Francisco con George Cables al piano, Rufus Reid al basso e Edde Gladden alla batteria. Una lunga versione, con influenze coltraniane.


Lo stesso Coltrane si è cimentato con il brano fin dal 1960. Infatti nel corso della prima seduta di registrazione Atlantic, quella dell'album My Favorite Things, ne realizzò ben due diverse tracce, che però non vennero pubblicate, per volontà dell'artista, insoddisfatto del risultato. Solo nel 1964, quando Coltrane non era più sotto contratto, la casa discografica ne pubblicò una delle due, senza l'approvazione dell'artista, nell'album Coltrane's Sound.
Nel 1965 durante un concerto a Seattle ne registrò dal vivo un'altra lunghissima versione, più di 21 minuti, con un sestetto comprendente, oltre ai soliti Tyner, Garrison e Jones, un altro bassista: Dave Garrett e un altro sax tenore: quello di Pharoah Sanders. La versione, forse proprio per la sua lunghezza, non venne inclusa nel doppio LP del concerto e venne pubblicata postuma solo nel 1994. Coltrane, Tyner e Sanders si alternano in una serie di assolo che smontano e rimontano la melodia come in una specie di percorso ad ostacoli. Si tratta della interpretazione più radicale e ardita mai realizzata e, fino ad ora, considerata la più originale e rivoluzionaria dopo quella di Hawkins.
Di seguito la versione integrale in due audio-video. Nel primo è possibile ascoltare Coltrane seguito da Tyner, nel secondo ancora Tyner e poi Sanders che conclude.



Naturalmente, oltre ad ispirare versioni strumentali da parte di grandi interpreti, la canzone ha continuato ad avere una vita propria, con significative interpretazioni vocali da parte dei più famosi cantanti jazz e pop, da Billie Holiday a Frank Sinatra, da Ella Fitzgerald a Mel Tormé, da Betty Carter a Cassandra Wilson, per citarne solo alcuni.  
Fra le tante disponibili ho scelto di proporne una, a mio avviso fra le più originali ed espressive, quella di Sarah Vaughan, incisa nel 1954 in cui è accompagnata da John Malachi al piano, Joe Benjamin al basso e Roy Hayes alla batteria. La sua straordinaria estensione vocale che spazia attraverso quattro ottave, dal baritono al soprano, ci offre una lettura impeccabile non solo per la bellezza della voce, ma anche per l'incomparabile sensibilità del suo fraseggio.


Concludiamo questa carrellata con una versione decisamente atipica. Nei primi anni '50 cominciò a diffondersi una nuova forma di canto jazz, che il critico Leonard Feather battezzò "vocalese", che consisteva nella adattare delle parole ad un brano, sulla base del suono e del  ritmo. Uno dei pionieri di questo genere Eddie Jefferson nel 1952 riprese l'esecuzione di Coleman Hawkins del 1939, scrivendovi sopra un testo dedicato al sassofonista che riprendeva la musica nota per nota. 

Don't you know he is the king of Saxophone
Yes ideed he is,
Talking 'bout the guy that made it sound so good,
Some people know him by "the Bean",
But Hawkins is his name, 
He sure can swing and play pretty too,
Sounds good to me,
Should sound good to you, 
I love to hear him playing Body and Soul,
......


Nel 1979 questo brano, all'epoca passato quasi inosservato, venne ripreso dai Mahnattan Transfer per ricordarne l'autore morto quell'anno, e venne incluso nel loro LP Extensions riportandolo all'attenzione degli appassionati.

martedì 27 dicembre 2011

I miei standards preferiti: My Favorite Things (1959)

Repost from Splinder (15 jun. 2011)


Questa canzone ha fornito lo spunto per una delle più belle performances jazzistiche del secolo scorso, grazie all'interpretazione di John Coltrane del 1961, qui di seguito in una versione in quintetto con Eric Dolphy al flauto, McCoy Tyner al piano, Reggie Workman al basso ed Elvin Jones alla batteria.


Il brano era nato come tema musicale conduttore di un acclamato musical di Broadway The Sound of Music, musica di Richard Rogers e testi di Oscar Hammerstein II, andato in scena per la prima volta nel novembre del 1959. La canzone era interpretata dalla protagonista: Mary Martin, molto popolare all'epoca come interprete di musical famosi.


The_Sound_of_Music_OBC_Album_Cover

Lo spettacolo ebbe un successo straordinario e venne replicato per anni. Nel 1965 il regista Robert Wise ne trasse un famoso film con protagonista Julie Andrews, reduce dal successo di Mary Poppins. Il lungometraggio vinse ben 5 Oscar compreso quello come miglior film. In Italia apparve con il titolo Tutti insieme appassionatamente con la bravissima Tina Centi che doppiava la Andrews. Di seguito possiamo ascoltare la versione in italiano del brano intitolata Le cose che piacciono a me.



Negli anni sono state realizzate decine e decine di diverse versioni di questo brano sia strumentali, sia vocali. Per quanto concerne le prime, a mio avviso, l'unica versione che, ad oggi, possa competere per intensità e freschezza alle varie versioni di Coltrane, è quella di Brad Mehldau nel Solo Live a Marciac del 2006, che ho già proposto in un precedente post e che per comodità riporto qui di seguito.


Per quanto riguarda quelle vocali, invece, fra le versioni maschili o femminili, ne esiste più di una che merita di essere ricordata. In particolare mi ha sempre stimolato, quella registrata dal vivo nel 1994 da Al Jarreau con il soprano lirico Kathleen Battle,

al jarreau - tenderness

in cui l'eclettico cantante di Milwaukee si cimenta con la cristallina voce della Battle, il tutto arricchito da un graffiante assolo al sax di Michael Brecker.




Grazie alla sua struttura musicale il brano si presta particolarmente anche ai virtuosismi vocali, come quelli del funambolo della voce Bobby McFerrin, come possiamo constatare nella prossima versione "a cappella". La qualità del video non è delle migliori, ma consente comunque una visione sufficiente per apprezzare le capacità vocali dell'interprete


Fra  le numerose versioni vocali femminili in mio possesso, più o meno convenzionali, una in particolare, a mio parere, merita di essere segnalata per la sua diversità. Quella realizzata dal vivo a Stoccarda, intorno al 1990, dalla cantante portoghese Maria João con la pianista giapponese di scuola "free" Aki Takase, nella quale la melodia viene scomposta e frantumata per poi essere riportata all'origine.


Cocludo proponendo l'unica versione di un artista italiano in mio possesso.

cover


Nel 1985 il compianto cantautore genovese Bruno Lauzi con l'album Back to Jazz volle rendere omaggio alle sue origini jazzistiche e fra i vari standards interpretati troviamo anche una eccellente versione di My Favorite Things, in cui spicca l'assolo al sax di Luigi Tognoli.


sabato 17 dicembre 2011

“Out Front” testamento artistico di Booker Little (1938-1961)

Repost from Splinder (13 aug. 2009)


Oggi voglio segnalare un disco particolare, ritrovato fra i vecchi LP qui al mare, inciso quasi 50 anni fa da un giovane musicista: Booker Little, morto a soli 23 anni quando il suo talento stava prepotentemente emergendo.
Il disco si intitola Out Front (Candid CM 8027, 1961) e rappresenta il suo capolavoro ed anche il suo testamento artistico, infatti in quello stesso anno morirà per uremia, malattia all'epoca fatale e oggi curabilissima.
Nato a Memphis (TN) nel 1938, iniziò a suonare giovanissimo. Trasferitosi a Chicago venne notato da Sonny Rollins, che lo segnalò a Max Roach, il quale dopo la morte di Clifford Brown non aveva ancora trovato una tromba che lo soddisfacesse. Il connubio si rivelò subito felice e produsse numerose incisioni. La collaborazione e l'amicizia fra i due si mantennero solide fino alla prematura scomparsa del trombettista.
Il video che propongo di seguito, girato nel 1958, ai primordi della loro collaborazione, ci dà già un'idea delle qualità di questo giovane trombettista appena ventenne.


In quei pochi anni di attività Booker ebbe modo di mettersi subito in luce, di collaborare con molti altri artisti, fra i quali Eric Dolphy e John Coltrane, e di prender parte alla realizzazione di alcuni dischi che sono entrati a far parte della storia del jazz.

Max Roach We Insist! Freedom Now Suite (Candid 1960) con Coleman Hawkins e Abbey Lincoln

Abbey Lincon (all'epoca moglie di Roach) Straight Ahead (Candid 1961) sempre con Roach e Hawkins e con Eric Dolphy




Max Roach orchestra Percussion Bitter Sweet ( Impulse 1961) con Dolphy, Clifford Jordan, Mal Waldron ecc.



Eric Dolphy Far Cry (Prestige1960) con Jaki Byrd


Eric Dolphy At the Five Spot (Prestige 1961)

John Coltrane orchestra Africa /Brass (Impulse 1961) ancora con Dolphy

Solo per ricordarne alcuni.
Booker era consapevole della gravità della sua malattia e, forse, questa attività così intensa, quasi frenetica, era un tentativo di esorcizzare la fine incombente.
La produzione discografica come leader, invece, fu limitatissima, e Out Front pur essendo il quarto disco a suo nome è, in realtà, la sua prima e unica opera di grande spessore.

We Speak

Strenght and Sanity

Quiet Please

Moods in Free Time

Man of Words

Hazy Blues

A New Day

Sette brani tutti di sua composizione, eseguiti con un sestetto comprendente, fra gli altri, gli amici Max Roach e Eric Dolphy. Brani legati fra loro da un progetto unitario, una specie di suite originale, commovente, ben strutturata, anche se resta pur sempre un'opera prima. Opera che risente della giovane età dell'autore, ma che ci fa pensare a cosa, negli anni, con più esperienza, avrebbe potuto realizzare come compositore.
Il brano seguente Moods in Free Time, tratto da YouTube (problemi di connessione qui al mare non mi consentono di inserire altro), è abbastanza indicativo anche se, per apprezzare a pieno questo disco, bisognerebbe ascoltarlo tutto di seguito, partendo: «dalla tesa malinconia del primo brano, We Speak e inoltrarsi via via verso l'inevitabile, che giunge a metà dell'opera con […] Moods in Free Time e Man of Words. Dopo non siamo più a questo mondo: l'aerea dolcezza del flauto di Dolphy in A New Day non dipinge un nuovo giorno, ma un distacco ormai compiuto dalle cose terrene». ( Marcello Piras, Musica Jazz, mag. 1993, p. 53)


Con questo spero di aver sollecitato la curiosità di chi ancora non lo conoscesse. Curiosità che può essere facilmente soddisfatta scaricando, legalmente in mp3, i suddetti brani da alcuni siti specializzati come, ad esempio, Amazon.com, ad un prezzo abbordabilissimo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Ricordo di Woody Shaw (1944-1989)


Woody Shaw è stato un brillante e talentuoso trombettista della generazione post-davisiana, morto all'età di 44 anni, nel pieno della maturazione artistica, per i postumi di un misterioso incidente nella metropolitana di Brooklyn. Era inspiegabilmente caduto sulle rotaie ed era stato investito da un treno, cosa che aveva costretto i medici ad amputargli un braccio.


Era nato nella Carolina del Nord la vigilia di Natale del 1944 in una famiglia di appassionati di jazz. Il suo nome completo era Woody Herman Shaw, in onore del grande bandleader. Poco dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Newark, cittadina alla periferia di New York, una specie di ghetto nero, dove Woody crebbe in uno stato di emarginazione, ma dove poté anche ascoltare tanto jazz.
All'età di 12 anni cominciò a studiare la tromba e ben presto il suo innegabile talento lo portò a suonare con diverse orchestre locali. Nel 1963, finalmente, venne notato da Eric Dolphy che lo volle nel suo gruppo, per prendere il posto che era stato di Booker Little e poi di Freddie Hubbard e prese parte alle sedute d'incisione di due famosi album: Iron Man (Celluloid 1963)


Music Matador (Affinity 1963)


 

Dopo l'improvvisa morte di Dolphy, avvenuta l'anno successivo, si trasferì a Parigi dove ebbe modo di suonare con diversi noti jazzisti che si erano stabiliti in loco.
Rientrato in patria collaborò con numerosi importanti musicisti fra i quali merita ricordare Horace Silver, con cui realizzò il bellissimo Cape Verdean Blues (Blue Note 1965)



e poi Chick Corea con cui registrò un altro famoso album: Inner Space  (Atlantic 1966),


ma solo nel 1968 entrò a far parte stabilmente di un gruppo, quello di McCoy Tyner con il quale registrò anche Expansions (Blue Note 1968).


Le precedenti esperienze e la frequentazione di Tyner lo avevano notevolmente maturato, portandolo sempre più a trovare una propria cifra stilistica.
Nel 1970 incise il primo album a suo nome per la Contemporary: Blackstone Legacy.


Il disco venne accolto favorevolmente dalla critica e la rivista Down Beat, lo premiò come «talento degno di maggior riconoscimento» fra i trombettisti, grazie ad un referendum fra i critici di tutto il mondo.
Due anni dopo uscì il secondo album a suo nome Song of Songs (Contemporary 1972) con il quale cominciava ad allontanarsi dagli schemi dell'hard-bop.


Nello stesso anno entrò a far parte dei Jazz Messengers di Art Blakey dove sostituì Freddie Hubbard. 
Con Blakey incise diversi album e la sua presenza dette nuova vitalità a quel gruppo che ormai cominciava e perdere smalto. Il critico Giuseppe Piacentino definisce il suo contributo al gruppo come «una vibrante presenza tale da fargli sfiorare la perfezione in ogni assolo».
Quando nel 1973 Woody lasciò il gruppo aveva quasi 29 anni e la sua fase formativa era ormai giunta a conclusione.
Nel 1975 un nuovo album a suo nome Moontrane per la Muse ottenne grandi consensi, e ancora oggi viene considerato uno dei più importanti della sua ampia discografia.


Le qualità stilistiche di Woody attirarono l'attenzione di Miles Davis, che in quegli anni si era ritirato dalle scene per motivi di salute e che dirà di lui: «oggi c'è un grande trombettista capace di suonare in modo differente da chiunque», e lo segnalerà alla casa discografica Columbia, che lo mise sotto contratto.
Anche Dizzy Gillespie espresse la propria ammirazione nei suoi confronti: «Woody Shaw è una delle voci del futuro, anzi del presente! Ha qualcosa di diverso, qualcosa di unico da offrire».
Il breve video che propongo è più o meno di quel periodo e da un'idea del modo di suonare di Woody. Girato durante una sua tournée in Italia nel 1979 è tratto dal sito www.woodyshaw.com dedicato al trombettista e nel quale è possibile trovare vari video e files musicali.

...
Negli anni '80 è ormai pienamente affermato. Incide numerosi dischi a suo nome, almeno una decina, più altrettante collaborazioni con diversi artisti da Antony Braxton a Freddie Hubbard, da Mal Waldron a Kenny Garrett, ecc..
Il video seguente lo vede in concerto a Colonia nel 1986 con il sax di Johnny Griffin, in cui esegue Night in Tunisia (il video è tratto dalla vasta collezione dell'amico brasiliano Pedro Mendes).

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Infine concludo questa breve rassegna con un altro video del 1985 dalla Town Hall di New York, in cui suona con Jackie McLean al sax, McCoy Tyner al piano, Cecil McBee al basso e Jack DeJohnette alla batteria.


Fra pochi giorni Woody Shaw avrebbe compiuto 67 anni ed il rimpianto per la sua scomparsa è grande in quanto, avrebbe  potuto darci ancora tanti capolavori, migliorando e perfezionando la sua straordinaria tecnica e la sua geniale creatività. 

lunedì 12 dicembre 2011

Lo storico sestetto di Charles Mingus del 1964

Repost from Splinder (31 jan. 2009)


Poco più di un anno fa verso la fine dell'estate del 2007, la Blue Note mise sul mercato uno straordinario inedito del sestetto di Charles Mingus con Eric DolphyCornell 1964 (BN 92210) che rappresentò l'avvenimento discografico di quella stagione. Io purtroppo allora me lo lasciai sfuggire e finalmente solo in questi giorni sono riuscito a recuperarne una copia e dopo averlo ascoltato, essendone rimasto entusiasta, ho pensato di segnalarlo a chi come me se lo fosse perso.


CD 1:
1. Opening - 0:17;
2. ATFW You - 4:26;
3. Sophisticated Lady - 4:23;
4. Fables Of Faubus - 29:42;
5. Orange Was The Colour Of Her Dress, Then Blue Silk - 15:05;
6. Take The "A" Train - 17:26.

CD 2:
1. Meditations - 31:23;
2. So Long Eric - 15:33;
    3. When Irish Eyes Are Smiling - 6:07;
    4. Jitterbug Waltz - 9:59.

    Charles Mingus (contrabbasso);
    Johnny Coles (tromba);
    Eric Dolphy (sax alto, flauto, clarinetto, basso);
    Clifford Jordan (sax tenore);
    Jaki Byard (pianoforte);
    Dannie Richmond (batteria).



    Il nastro della registrazione di quel concerto tenutosi il 18 marzo 1964 alla Cornell University di Ithaca (NY), era rimasto nascosto per più di vent'anni in fondo a qualche armadio e bene ha fatto al Blue Note a metterlo a disposizione degli appassionati.

    Il disco documenta un'esibizione del sestetto un paio di settimane prima dell'uscita ufficiale del gruppo avvenuta alla Town Hall di New York, e subito seguita dalla famosa tournée in Europa, che toccò anche l'Italia con tappe a Milano e Bologna. (vds. Arrigo Polillo: Stasera Jazz, Mondadori, 1978 p. 126 ss.)

    Si tratta quindi di una specie di cantiere preparatorio per le successive esibizioni, che tuttavia denota già un'elevata maturità ed un'originalità stilistica inconfondibile, premessa per il grande successo che gli verrà tributato in tutta Europa, soprattutto nella prima fase della tournée fino a Parigi. Purtroppo dopo il concerto al Théâtre des Champs-Elysées, immortalato dal celebre album triplo Memorial Charles Mingus The Great Concert Paris 1964, il trombettista Coles cadde malato e dovette rientrare negli USA, senza essere sostituito e questo comportò una notevole limitazione per i successivi concerti.
    Per dare un'idea di cosa sto parlando vi propongo un video realizzato in Norvegia durante quella tournée, in cui è possibile ascoltare il gruppo, ancora al completo, in un splendida esecuzione di So Long Eric. Il brano dura oltre 20 minuti e consente a tutti i solisti di mettersi, a turno, in evidenza.
    Buona Visione