In questi giorni GEROVIJAZZ compie 6 anni, infatti nacque sulla piattaforma Splinder verso la fine di giugno del 2006, poi lo scorso novembre si è trasferito su Blogger spostandovi anche la maggior parte delle pagine realizzate negli anni, che con il post di oggi arrivano a 190. Per celebrare questo anniversario ho pensato di continuare con la serie degli standards, visto l'elevato gradimento riscosso dal post precedente.
I Can't Get Started nacque nel 1936 dalla penna di Vernon Duke per la musica e di Ira Gershwin per il testo, destinato alla rivista musicale Ziegfeld Follies di quell'anno e nella quale era cantato da Bob Hope, ma il picco della popolarità lo raggiunse l'anno successivo grazie ad una strepitosa versione realizzata dal trombettista Bunny Berigan (1908-1942)
ancora oggi considerata una delle migliori versioni mai realizzate, tale da meritarsi circa quarant'anni dopo l'inserimento nella Grammy Hall of Fame.
Oltre alla qualità della musica la canzone piacque anche per il testo particolare; Ira Gershwin aveva presente che a cantarla sarebbe stato un comico, Bob Hope e cercò di realizzare una storia divertente e attuale per l'epoca con riferimenti ad eventi e personaggi del momento (la guerra civile in Spagna, il presidente Roosevelt, Greta Garbo).
Dattiloscritto originale di Ira Gershwin contenente la prima stesura del refrain della canzone.
Il successo ottenuto da Berigan indusse molti altri artisti a cimentarsi con il brano. L'anno seguente Billie Holiday e Lester Young ne realizzarono un'altra versione eccellente, la prima al femminile, (la protagonista il tè lo prende con Robert Taylor anziché con Greta Garbo).
All'epoca i due erano all'apice della forma e della popolarità ed il feeling fra loro era ottimo. Ne uscì un'interpretazione che non aveva nulla da invidiare a quella di Berigan, con un assolo di Lester da manuale.
Negli anni successivi il brano venne ripreso non solo il forma vocale e costituì la palestra per interpretazioni di grande livello come quella del trombettista Clifford Brown con il quintetto di Max Roach del 1954,
o quella del pianista Lennie Tristano, che ne realizzò nel 1946 una versione intimistica in trio con Billy Bauer alla chitarra e Clyde Lombardi al basso, che evidenziava la dolcezza della melodia.
Lester Young riprese spesso il brano dopo la versione presentata in precedenza, qui lo ritroviamo nel 1946 in un concerto della serie Jazz at the Philarmonic con altri eccellenti solisti, primo fra tutti Charlie Parker
Negli anni si ebbero anche molte versioni vocali sia maschili che femminili, nelle quali il testo originale veniva di volta in volta modificato o attualizzato. Nel 1959 Frank Sinatra ne incise una versione molto lenta e pensosa nel suo famoso LP della serie Capitol No One Cares, con un testo completamente diverso dall'originale.
Jazzisticamente parlando tuttavia le interpretazioni più interessanti sono quelle strumentali in cui i solisti si cimentano in assolo spesso interessanti come nel caso del quintetto di Charles Mingus qui proposto registrato dal vivo nel 1959 (dall'LP Mingus in Wonderland) in cui prima John Handy al sax alto e poi Mingus ci offrono momenti di straordinaria emozione.
Altrettanto interessante è la seguente interpretazione dei Jazz Messengers di Art Blakey con John Gilmore al sax tenore e Lee Morgan alla tromba realizzata nel 1966 per la BBC.
In anni più recenti un altro talentuoso artista Wynton Marsalis si è cimentato nel 2008 con questo brano accompagnato dalla soave voce di Shirley Horn. Un'altra stupenda interpretazione degna di essere ricordata.
Negli anni anche molti musicisti italiani si sono cimentati con questo celebre brano, da Nunzio Rotondo a Enrico Peranunzi, da Enrico Rava a Franco Cerri solo per citarne alcuni. Per concludere proponiamo l'interpretazione che nel 1959 ne dette il sestetto Basso-Valdambrini, uno dei gruppi che in Italia hanno fatto la storia del jazz.