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martedì 3 aprile 2018

I miei standards preferiti: What's New (1939) [repost rinnovato]

Nell'ottobre 1938 Bob Haggart, bassista e compositore, all'epoca membro dell'orchestra di Bob Crosby, scrisse I'm Free, pensando alla tromba dell'amico Billy Butterfield, collega nella stessa orchestra. Un brano eccellente molto apprezzato da Crosby e che venne subito registrato con una pregevole esecuzione proprio di Butterfield. Il solista al sassofono è Eddie Miller.




Vista la notevole qualità della musica, l'anno successivo il paroliere Johnny Burke la corredò con un romantico testo sull'incontro fra due ex amanti che intitolò What's New. 


La canzone venne subito registrata dal cantante più in auge del momento: Bing Crosby, fratello di Bob, che ne fece un grande successo di vendite.



Il brano divenne presto famoso e venne ripreso da molte orchestre raggiungendo un'enorme popolarità.

Negli anni del dopoguerra si annoverano decine di versioni sia strumentali, sulle quali tornerò più avanti, sia vocali. Fra quest'ultime, veramente numerose, tre in particolare meritano, a mio avviso, di essere ricordate, dal punto di vista jazzistico. La prima è quella realizzata nel dicembre del 1954 dalla giovane Helen Merrill, nell'omonimo disco di esordio, accompagnata da un gruppo di musicisti di grande livello fra i quali spicca la tromba di Clifford Brown.


La seconda. dell'anno successivo, è quella di Billie Holiday, che, solo verso la fine della carriera, affrontò questo brano, incluso nell'album Velvet Mood, un Lp di standards 


realizzato con la collaborazione di un notevole gruppo di jazzisti come Harry "Sweet" Edison alla tromba, Benny Carter al sax alto, Jimmy Rowles al piano, Barney Kessel alla chitarra, ecc.. La copertina  un pò ruffiana, venne scelta per attirare anche acquirenti non del tutto interessati al jazz.


La terza versione è quella realizzata dal grande Satchmo nel 1957 contenuta nell'album Louis Armstrong meets Oscar Petersonsicuramente la miglior versione vocale maschile mai realizzata.


Di notevole spessore jazzistico sono anche molte versioni strumentali, che vedono impegnati alcuni dei maggiori jazzisti di quegli anni. 
Iniziamo però con una curiosità: siamo nel 1952, anno fra i più difficili nella carriera di Miles Davis, come lui stesso affermò nella sua biografia: «Ero sprofondato in una sorta di nebbia, ero sempre fatto e sfruttavo le donne per la roba [...] avevo una scuderia di puttane che battevano per me» e qui lo troviamo a fare da spalla a Jimmy Forrest, un modesto sassofonista che quell'anno aveva raggiunto una certa popolarità grazie al brano Night Train, che aveva scalato tutte le classifiche. La registrazione venne effettuata dal vivo al Barrell, un night club di Delmar in Missouri nel marzo 1952.



Non si tratta certo di una esecuzione memorabile, gli assolo sono elementari, ma resta comunque un documento interessante.
L'esecuzione  che propongo di seguito, realizzata nel 1956, dal vivo, dal quintetto di Clifford Brown e Max Roach, sembra venire da un altro pianeta. L'assolo di Brownie è strepitoso per originalità e fantasia.



Un altra esecuzione interessante e particolare è quella del trombettista canadese Maynard Ferguson realizzata all'inizio degli anni '50 con l'orchestra di Stan Kenton


Oltre ai numerosi trombettisti che, sulle orme di Billy Butterfield, nel tempo si sono cimentati con questo standard, anche molti sassofonisti, affascinati dalla straordinaria dolcezza della melodia, che ne faceva una ballad perfetta, ne diedero una propria lettura.
Cominciamo con Serge Chaloff, sassofonista baritono, uno dei Four Brothers di Woody Herman, che nel 1955, un anno prima della sua prematura scomparsa, ne incise una suadente versione con un proprio sestetto 



L'anno seguente fu la volta dell'altosassofonista Art Pepper che ne realizzò una versione in quartetto, anche questa altrettanto originale  e intrigante


In questa selezione non poteva mancare colui che è considerato lo specialista assoluto delle ballads, il tenorsassofonista Ben Webster che nel 1965 la incluse nel suo splendido album There Is No Greater Love, una specie di compendio del meglio delle ballads. Il pianista è Kenny Drew, al basso N-H. Ø. Pedersen e alla batteria Alex Riel. La perfezione assoluta!



Molto diversa, ma altrettanto toccante, è la lettura che John Coltrane ne dà con il suo classico quartetto, contenuta nell'album Ballads del 1961.


Questo standard è stato spesso eseguito anche da molti jazzisti italiani fra i quali ricordo Enrico Rava (in Age Mur con Lee Konitz), Massimo Urbani che ne ha realizzato diverse versioni, Franco Ambrosetti, Francesco Cafiso e molti altri. Tuttavia la versione più interessante, dal punto di vista storico, è quella realizzata nel 1988 da Lino Patruno con un quintetto che comprendeva al basso proprio Bob Haggart, il compositore del brano. Una vera perla per concludere questa carrellata su uno degli standards più famosi e popolari.






P.S. Questo post venne pubblicato la prima volta circa sei anni fa e necessitava di essere rivisto per sostituire video non più disponibili e per aggiornarlo con video più recenti o trascurati allora.
Rovistando fra vecchissimi LP ho scovato una versione di questo brano incisa nel 1958 da un misterioso gruppo denominato Modern Flaminia Quintet composto da musicisti sconosciuti tranne per il batterista Lionello Bionda. Una versione molto anni '50, da night club, con un discreto sassofonista Cecchino Tommasini di cui si sono perse le tracce, lo stesso dicasi per il vibrafonista Giovanni Spalletti, il pianista Raffaele Giusti e il bassista Sandro Santoni. 



Nel 2013 la cantante norvegese Elvira Nikolaisen e il trombettista Matthias Eick hanno realizzato una versione molto "nordica", con sfumature boreali che, per certi versi, la rende affascinante.




Infine concludiamo questa rassegna con colui che oggi è considerato il miglior trombettista in circolazione Ambrose Akinmusire, che, evitando di ricalcare le letture di illustri predecessori, ne ha dato nel 2011 una versione abbastanza originale.


venerdì 7 giugno 2013

I miei standards preferiti: A Ghost of a Chance (1932)


Questa celebre canzone, il cui titolo completo era I Don't Stand a Ghost of a Chance with You, venne scritta nel 1932 appositamente per Bing Crosby, che collaborò anche alla stesura del testo, dal paroliere Ned Washington (autore di celebri brani come: Stella by Starlight, The Nearness of You, I'm Getting Sentimental Over You, ecc.), su musica dell'altrettanto famoso compositore Victor Young (autore fra l'altro di My Foolish Heart, Johnny Guitar, ecc., e soprattutto di decine di celebri colonne sonore). All'epoca Crosby era la star più popolare di tutto il mondo dello spettacolo ed intorno a lui ruotava il meglio dello show business. La foto lo ritrae con l'attrice Carol Lombard.



Il disco ebbe un successo straordinario, raggiungendo i vertici delle classifiche, e ne venne realizzato anche un breve filmato, una sorta di odierno video clip.




L'arrangiamento e le atmosfere sono quelli in voga in quegli anni, ed hanno ben poco a vedere con il jazz, ma le splendida melodia venne ripresa, qualche anno dopo, da diversi jazzisti rendendola presto un celebre standard. 


Il primo fu il trombettista Bobby Hackett il quale, con la sua orchestra, nel 1938 ne realizzò una versione decisamente più moderna, che valorizzava al massimo le qualità musicali del brano.



Questa versione aprì la strada ad una serie di nuove interpretazioni da parte di altri musicisti, fra le quali, in particolare, spiccano quelle dei tre maggiori tenor-sassofonisti di quegli anni: Chu Berry, Coleman Hawkins e Lester Young.


Chu Berry (1908-1941)

Il primo, in quegli anni militava nell'orchestra di Cab Calloway e nel 1940, poco più di un anno prima della sua morte, ne incise una strepitosa versione ancora oggi insuperata. Una curiosità: in quell'occasione fra i membri dell'orchestra c'era anche Dizzy Gillespie.


Le altre versioni sopra ricordate furono realizzate entrambe nel 1944.


Coleman Hawkins (1904-1969)

Coleman Hawkins era accompagnato dall'orchestra di Cozy Cole e, contrariamente a Chu Berry che era l'unico solista, in questo caso l'assolo del sassofonista era integrato dagli interventi di altri membri dell'orchestra: Charlie Shavers alla tromba che introduce il brano, poi Tiny Grimes alla chitarra, Hank D'Amico al clarinetto e Slam Stewart che chiude con il suo caratteristico vibrato voce e contrabbasso.


L'assolo di Hawkins, pur eccellente, è più breve e molto meno fantasioso e originale di quello Berry. 

Lester Young (1909-1959)

Infine ascoltiamo la versione di Lester Young, accompagnato da Count Basie al piano con la ritmica della sua orchestra. Una versione più lenta e introspettiva delle precedenti, una lettura mesta, malinconica che sembra quasi presagire le tribolazioni e le umiliazioni che egli dovrà sopportare alcuni mesi dopo, a causa del richiamo nell'esercito, che segneranno il resto della sua vita.



Fra le versioni vocali, che vennero realizzate in quei primi anni, merita di essere ricordata quella del 1939 di Mildred Bailey, accompagnata da un gruppo di musicisti capeggiato dalla pianista Mary Lou Williams. 


Un mix interrazziale di swing e di melodia che modernizza il brano riportandolo all'attenzione di un pubblico più vasto.


Dopo queste memorabili esecuzioni il brano entrò nel repertorio di numerosi musicisti e cantanti e ancora oggi viene ripreso da diversi giovani artisti. Fra queste numerose interpretazioni alcune meritano di essere ricordate per la loro originalità.



Iniziamo con Thelonious Monk che nel suo album Thelonious Himself del 1957,  ne propone una versione di solo piano, una lettura in cui è possibile apprezzare tutte le sfumature della melodia.



Fra le esecuzioni imperdibili non poteva mancare quella di Billy Holiday, supportata dalla tromba di Harry "Sweet" Edison, dalla chitarra di Barney Kessel, e dal sax di Ben Webster; un'interpretazione, realizzata per la Verve nel 1955, piena di pathos che evidenzia anche le qualità poetiche del testo.



Molto particolare e delicata l'esecuzione del trio del pianista Elmo Hope, sempre del 1955 e contenuta nell'album Meditations. Questo artista dotato di grande talento, amico e coetaneo di Bud Powell,  purtroppo è caduto nell'oblio.


Vigorosa e piena di fantasia e di feeling è la versione che Clifford Brown registrò con lo storico quintetto che guidava assieme a Max Roach



Per venire a tempi più recenti, ho apprezzato molto, avendola ascoltata anche da vivo, l'interpretazione di Diana Krall, che nella seconda metà degli anni '90, la eseguiva spesso nei suoi concerti, accompagnata solo dalla chitarra di Russell Malone. Il video è stato realizzato durante un concerto tenutosi a Berna nel 1997.


Per chiudere questa, necessariamente incompleta, rassegna di interpretazioni di questo bellissimo standard, ho scelto la commovente versione di Chet Baker tratta dalla colonna sonora del film "Let's Get Lost", in cui è accompagnato fra gli altri da Frank Strazzeri al piano a da Nicola Stilo alla chitarra e al flauto.

domenica 5 maggio 2013

I miei standards preferiti: The Song is You (1932)

Visto il gradimento riscosso dalla serie dedicata agli Standards, continuiamo a proporne di nuovi. Per questo sedicesimo capitolo, oggi peschiamo nel Songbook di uno dei più famosi ed apprezzati compositori statunitensi del secolo scorso: Jerome Kern (1885-1945).


Scritto nel 1932 assieme al paroliere Oscar Hammerstein II per la commedia musicale Music in the Air, il brano venne interpretato inizialmente da un attore italiano, all'epoca molto popolare negli USA: Tullio Carminati (1895-1971).
La prima versione discografica venne realizzata sempre nel 1932 dall'orchestra di Jack Denny ed interpretata da un certo Paul Small, cantante in voga in quegli anni e di cui si sono perse le tracce.


Il disco ottenne un discreto successo di vendite, ma negli anni successivi la canzone venne dimenticata. Solo nei primi anni '40, grazie al recupero da parte di alcune orchestre molto in voga come quelle di Glenn Miller, Tommy Dorsey e Claude Thornhill e, soprattutto, grazie all'interpretazione del 1942 di Frank Sinatra con l'orchestra di Alex Stordahl, il brano ritornò ad godere di grande popolarità. Nel raro video seguente è possibile vedere il cantante che nel 1943, in piena guerra, esegue il brano di fronte a una platea di militari accompagnato da un'orchestra di marinai.


Frank Sinatra mantenne a lungo questa canzone nel suo repertorio e nel 1958 ne realizzò una nuova versione più "moderna" con l'orchestra di Billy May inserita nel famoso album "Come and Dance with Me".



Questa rinnovata popolarità del brano indusse molti musicisti a realizzarne diverse versioni soprattutto strumentali, consacrando il brano a standard.
Fra queste alcune meritano di essere ricordate in quanto particolarmente interessanti jazzisticamente.
Cominciamo con Charlie Parker che nel 1952 ne incide una travolgente versione accompagnato dalla sola sezione ritmica composta da Max Roach, Hank Jones e Teddy Kotick.


Nel 1954 Benny Carter ne realizza un'altra eccellente incisione con un sestetto di tutto rispetto: Bill Harris al trombone, Oscar Peterson al piano, Herb Ellis alla chitarra, Ray Brown al basso e Buddy Rich alla batteria. 



Anche fra le numerose versioni vocali di quegli anni se ne trovano alcune molto interessanti, come quella del 1959 di Bill Henderson contenuta nell'album The Complete Vee-Jay Recordings


in cui il cantante è accompagnato dalla tromba di Booker Little, dal sax tenore di Yusef Lateef, dall'euphonium di Bernard McKinney e dalla "rhythm session" per antonomasia, quella del primo quintetto di Miles Davis con Wynton Kelly, Paul Chambers e Jimmy Cobb. Una versione vocale decisamente diversa da quella di Sinatra ed altrettanto straordinaria.


Fra le diverse versioni femminili realizzate in quegli stessi anni ho scelto di proporre quella di Nancy Wilson che si distingue per la verve vocale e per l'eccellente swing. Il video è tratto da un episodio della serie TV I Spy.


Un altro artista che ha amato molto questo brano è stato Chet Baker che nel corso della sua carriera ne ha incise diverse versioni. Fra questo ne ho scelto una vocale e strumentale, registrata a Milano nel 1959 dall'album Chet Baker with Fifty Italian Strings


in cui è spalleggiato, oltre che dagli archi, da un gruppo orchestrale composto da eccellenti jazzisti italiani (Gianni Basso, Glauco Masetti, Franco Cerri, Giulio Libano, ecc.)


Nello stesso anno a New York un gruppo di rinomati jazzisti guidati da Lee Konitz e Jimmy Giuffre e comprendente Warne Marsh al tenore, Bill Evans al piano Buddy Clark al basso, ecc., ne realizzò un'altra eccellente versione contenuta nell'album Lee Konitz meets Jimmy Giuffre



Versione resa molto particolare dai singoli interventi dei solisti, uniti al tipico arrangiamento west coast di Jimmy Giuffre.
Venendo ad anni più recenti un altro artista che ha spesso interpretato The Song is You è Keith Jarrett con il suo trio nei vari concerti dedicati agli standards. Il video seguente lo coglie nel 1986 in un concerto ad Antibes con i suoi partners abituali: Gary Peacock al basso e Jack DeJohnette alla batteria.


Il brano, in versione molto più lunga, è compreso anche nel CD doppio Still Live registrato qualche settimana prima a Monaco di Baviera, durante la stessa tournée, ed è considerato da diversi critici uno dei momenti migliori dell'album.


Anche Wynton Marsalis nel suo Marsalis Standard Time Vol. 1 del 1987 affronta con il suo quartetto questo brano dimostrando le sue straordinarie doti di creatività improvvisativa. 


Prima di chiudere vorrei proporre anche due diverse esecuzioni di artisti italiani, una maschile e una femminile. La prima è quella di un cantante molto popolare Nicola Arigliano, scomparso a 87 anni nel 2010, 



uno dei pochi "crooner" italiani, che alla tenera età di 79 anni, nel 2002, la realizzò nell'album My Name is Pasquale accompagnato da da un gruppo di jazzisti italiani.


La seconda è quella della giovane cantante bolognese Chiara Pancaldi che dedica a questo brano il titolo del suo disco di esordio


in cui il brano viene presentato con grande swing accompagnata da quattro valenti musicisti: Nico Menci al piano, Davide Brillante alla chitarra, Stefano Senni al basso e Vttorio Sicbaldi alla batteria, i quali non si limitano all'accompagnamento ma impreziosiscono l'esecuzione con i loro interventi.


A questo punto non resta che augurarvi buon ascolto.

venerdì 15 marzo 2013

I miei standards preferiti: Where Are You? (1937)


Questo eccellente standard ha, per me, la peculiarità, in quanto mio coetaneo, di consolarmi del tempo che passa. Composto nel 1937 da Jimmy McHugh (autore di celebri standards: Don't Blame Me, On the Sunny Side of the Street, Let's Get Lost,. ecc.) su testo di Harold Adamson, per la colonna sonora del film Top of the Town (infelicemente tradotto L'Inferno del Jazz). Un film nato con pretese da grande musical, ma che in realtà si rivelò un vero e proprio flop e che oggi è completamente dimenticato. Unica cosa positiva rimasta è questa canzone divenuta presto un classico jazz standard
Nel film la canzone era interpretata da una famosa star dei musicals dell'epoca: Gertrude Niesen, nel classico stile "torch song" di quegli anni.


Molto probabilmente questo brano sarebbe stato presto dimenticato se, sempre in quell'anno, non fosse uscita anche  una versione swing interpretata da Mildred Bailey, con in evidenza la tromba di Roy Eldridge.


Da allora il brano è stato ripreso da diversi cantanti e musicisti che ne hanno realizzato versioni molto interessanti. 



Subito dopo la guerra Billy Eckstine realizzò la prima versione maschile di successo, accompagnato da un gruppo di musicisti fra i quali spiccavano i giovani sassofonisti Sonny Criss e Wardell Gray.


L'inconfondibile caldo e sensuale crooning di Eckstine crea un appeal particolare a questa esecuzione.


 

Grande successo ebbe la versione del 1957 di Frank Sinatra con l'orchestra di Gordon Jenkins, che dette anche il titolo all'LP che la conteneva.



Se Eckstine è stato il più significativo esponente della vocalità afro-americana, Sinatra, dal canto suo ha rappresentato, con la sue eleganza formale ed espressiva, al meglio il canto popolare bianco ed il confronto fra queste due esecuzioni ne è l'esempio più lampante.


Sempre nel 1957 Ben Webster e Oscar Peterson ne incidono una versione strumentale di grande feeling, in cui la sensuale sonorità del sassofono di Webster crea un'atmosfera melodica particolare.


Questa straordinaria performance di Webster offre lo spunto ad altri sassofonisti per cimentarsi nell'esecuzione del brano, a partire da Dexter Gordon che nel 1962 ne registra una versione in quartetto con Sonny Clark al piano, Butch Warren al basso e Billy Higgins alla batteria. Una versione meno sensuale in cui, però, la creatività improvvisativa di Gordon si esprime a pieno.


 Sempre nel 1962 Sonny Rollins include questo brano nel suo storico album The Bridge, che segnava il suo rientro dopo l'inaspettato abbandono delle scene nel 1959 a soli 29 anni. Lo accompagnano Jim Hall alla chitarra, Bob Cranshaw al basso e Ben Riley alla batteria.


Questo è stato il primo LP di Rollins che ho comperato e che conservo ancora con cura e questa esecuzione è stata quella che prima di ogni altra mi ha fatto amare questo brano.




Il 1962 fu un anno particolarmente prolifico per questo standard. Anche The Queen of Blues Dinah Washington, a pochi mesi dalla sua prematura scomparsa, ne registrò una versione inclusa nell'album Dinah '62,  che divenne presto un vero Smash Hit, come evidenziato sulla copertina dell'album.


La straordinaria versatilità vocale della cantante conferisce al brano una forte intensità emotiva, certamente una delle migliori versioni femminili in circolazione.


L'anno seguente una giovane Aretha Franklin, appena 21enne e non ancora icona del Soul, con qualche incertezza stilistica che la induceva a spaziare fra jazz, pop, gospel e soul, ne realizzò una versione, che pur ispirandosi a quella di Dinah Washington, evidenziava già la spiccata personalità e la dirompente vocalità di colei che era destinata a raccoglierne il testimone.



Numerose altre versioni più o meno interessanti vennero prodotte nei decenni successivi che non è il caso di stare qui ad elencare. 
Nel 1991 l'altosassofonista italiana Cristina Mazza realizzò un album con Mal Waldron e Reggie Workman intitolato Where Are You?, ma il brano omonimo in esso contenuto non era il classico standard, ma bensì una composizione della stessa Mazza, che si ispira vagamente al noto brano.



In tempi più recenti il cantante statunitense Kurt Elling ne ha realizzata un versione apparsa sul suo album del 2007 Nightmoves


Una versione che, come egli stesso dichiara nella presentazione del video, si ispira a quella di Dexter Gordon. Anche il testo è leggermente diverso dall'originale. L'assolo di sax è di Bob Mintzer.



N.B. Il brano, nel 1968, venne incluso da Ella Fitzgerald, anche in una medley dl suo album 30 by Ella presentato nel post precedente.

domenica 10 marzo 2013

Vecchi dischi da riscoprire: 30 by Ella (1968)


Per un modesto fruitore della musica afroamericana come me, che fra i vari generi, prevalentemente, predilige il jazz vocale e gli standards, dovendo scegliere un disco che contemporaneamente soddisfi entrambe le categorie non può non optare per 30 by Ella (Capitol 1968)


Il disco contiene 36 fra i più noti standards del songbook americano, riuniti in 6 medley di 6 brani ciascuna di cui 5 cantati dalla Fitzgerald inframezzati da uno, strumentale, affidato ad un solista del gruppo di musicisti che l'accompagnano. Un gruppo di altissimo livello guidato da Benny Carter con Jimmy Jones al piano, Harry "Sweet" Edison alla tromba, George Auld al sax tenore, John Collins alla citarra, Bob West al basso e Panama Francis alla batteria.


Le medley, grazie al prezioso lavoro di arrangiamento di Benny Carter e degli altri componenti del gruppo, non sono una semplice sequenza di brani diversi, bensì un'armoniosa fusione che procede con continuità, come come fossimo di fronte ad un unico brano. Un impegno pesante e faticoso. La stessa Fitzgerald agli inizi pensò che l'idea di un disco tutto di medley fosse terribile e tremendamente difficile. La cosa richiese numerose sedute di registrazione, ma, alla fine, la cantante dichiarò che si trattava "del più bel album che abbia mai registrato".



L'ascolto di questa prima medley che si apre con My Mother Eyes e si chiude con Goodbye My Love, inframezzata dal soave sax alto di Benny Carter e dalla chitarra di Collins nel classico ellingtoniano I Got It Bad (and That Ain't Good), ci da subito l'idea della straordinaria qualità e della indiscutibile originalità di questo progetto.



Questa raccolta ha goduto in Italia di una certa diffusione ed è abbastanza conosciuta dagli appassionati, in quanto parzialmente riproposta (4 medley su 6) nel disco dedicato alla cantante nella serie I Grandi del Jazz, distribuito in edicola nei primi anni '80, mentre le due medley mancanti vennero incluse nel CD sempre dedicato alla cantante nella serie JAZZTIME.




La seconda tornata di standards, affrontata dopo il soddisfacente risultato della prima, si realizzò in un clima più disteso. Apre la serie Four or Five Times, eseguito con particolare verve da Ella che prosegue senza esitazioni nel più dolce Maybe, seguito dalla tromba di "Sweet" Edison supportato dalla chitarra di Collins, nel gradevole e romantico Taking a Chance on Love; Ella si reinserisce con il vivace Elmer's Tune, per proseguire, con lo stesso swing, con At Sundown e chiudere con It's a Woonderful World.


Quando affrontò questa difficile prova la Fitzgerald aveva compiuto da poco 50 anni ed era all'apice della maturità vocale ed artistica. Il video seguente, realizzato nello stesso anno, ce la mostra in tutta la sua forma smagliante.



La terza medley, a mio avviso, è una delle più coinvolgenti. Si apre con lo splendido On Green Dolphin Street, introdotto dalla tromba sordinata di Edison, per proseguire con il più impegnativo Am I to Know; il successivo Just Friends è affidato ancora a Edison e alla sua calda tromba. Ella riapre ispiratissima con I Cried for You cui fa seguito il suggestivo Seems Like Old Time per concludere in bellezza con You Stepped Out of a Dream.


Proseguiamo con altro video sempre del 1968, in cui Ella si cimenta anche in una medley molto apprezzata dal pubblico, nel quale è possibile cogliere la grande generosità della cantante sempre pronta a dare tutta se stessa per soddisfare il pubblico.



Gran parte del merito per il successo di questa ardita operazione va attribuita alla maestria di Benny Carter, uno dei più apprezzati strumentisti di tutta la storia del jazz, sia come solista di sax e di tromba, sia come band leader e arrangiatore. Nella seguente serie di standard è possibile apprezzarlo particolarmente nello strumentale Ebb Tide.  Apre la sequenza If I Gave My Heart to You seguito da un soave Once in a While; dopo l'assolo elegante di Carter, la Fitzgerald si inserisce nuovamente con un delicato The Lamp is Low seguito da Where Are You? per concludere più vivacemente con Thinking of You.


Nel video seguente è possibile apprezzare le straordinarie qualità esecutive di Benny Carter proprio in uno degli standards presenti anche nel disco.


Il penultimo gruppo di canzoni si apre con Candy, brano da anni nel repertorio della cantante, seguito da All I Do Is Deam of You che magicamente si fonde con il successivo Spring is Here eseguito dal sax tenore di George Auld; Ella si reinserisce con il vivace 720 in The Book per proseguire con il delizioso It Happened in Monterey e chiudere What Can I Say After I Say I'm Sorry.



Concludiamo questa panoramica con l'ultima serie comprendente altri sei gioiellini; Ella apre con uno splendido No Regrets seguito dallo spiritoso I Have Got a Feeling You're Fooling, che si fonde con il sensuale sax tenore di Auld in Don't Blame Me coadiuvato dalla chitarra di Collins. La Fitzgerald rientra con un Deep Purple molto suadente, per proseguire con il delicato Rain e chiudere disinvoltamente con You're A Sweetheart.


Un disco che non mi stanco mai di ascoltare e che consiglio vivamente a chi non lo conoscesse.