giovedì 15 dicembre 2011

Ricordo di Sidney Bechet (1897-1959)

Repost from Splinder (28 maj 2009)


Il 14 maggio scorso è stato il 50° anniversario della scomparsa di Sidney Bechet, ricorrenza passata sotto silenzio.
Solo oggi, riascoltando il suo vecchio splendido album The Fabolous Sidney Bechet (Bleu Note 1951)


mi è tornata in mente la cosa e cerco di rimediare alla dimenticanza.

Nato nel 1897 a New Orleans è stato uno dei primi a sperimentare l'improvvisazione solistica nel jazz. Iniziò la carriera giovanissimo, come clarinettista, in alcune importanti orchestre della città culla del jazz.

Nel 1919 venne in Europa come membro di una delle prime orchestre negre (allora si diceva così!) ad attraversare l'Atlantico dopo la prima guerra mondiale: la Will Marion Cook's Southern Syncopated Orchestra.
Nel corso della tournée una sera capitò in sala il direttore d'orchestra svizzero Ernest Ansermet, fondatore della Orchestre de la Suisse Romande, una delle più importanti orchestre sinfoniche europee ed anche una delle più “moderne” per l'epoca, che aveva realizzato alcune delle prime esecuzioni di opere di Stravinsky.
Il maestro rimase particolarmente affascinato da quella musica così diversa ed innovativa e scrisse un saggio intitolato: Su di una orchestra negra, pubblicato il 1 ottobre 1919 sulla Revue Romande, che è storicamente considerato il primo saggio critico sul jazz.

In esso fra l'altro egli scriveva:
Vi è nella Southern Syncopated Orchestra uno straordinario virtuoso di clarinetto che è, sembra, il primo della sua razza ad aver composto sul clarinetto dei blues di forma compiuta. Ne ho ascoltati due che egli aveva lungamente elaborato, poi suonati ai suoi compagni perché ne potessero fare l'accompagnamento. Molto differenti erano l'uno e l'altro, altrettanto ammirevoli per la ricchezza d'invenzione, la forza d'accento, l'arditezza della novità e l'imprevisto. Essi davano già l'idea di uno stile e la forma ne era travolgente, a sbalzi, violenta, con una fine brusca e spietata come quella del secondo Concerto Brandeburghese di Bach. Voglio dire il nome di questo artista di genio, perché da parte mia non lo dimenticherò: è Sidney Bechet. [...] che cosa commovente è l'incontro di questo grande ragazzo tutto nero con denti bianchi e quella fronte stretta, il quale è ben contento che si ami ciò che egli produce, ma non sa dire nulla della sua arte se non che egli segue la sua «own way», la propria via e ciò è straordinario se si pensa che questa «own way» è forse la grande via nella quale il mondo si incamminerà domani.

Che viatico straordinario e che lungimiranza.
Nel corso di quella tournée, durante il soggiorno a Londra Bechet vide, nella vetrina di un negozio di strumenti musicali, un sassofono soprano e decise di comprarlo. Ben presto quello strumento sostituì quasi completamente il clarinetto e egli divenne il primo jazzista ad usare quello strumento.
Terminata la tournée non rientrò negli USA e si fermò a Parigi fino al 1921. Rientrato in patria suonò in diverse orchestre. Nel 1923 iniziò a collaborare con Clarence Williams, uno dei primi ad incidere, con i suoi Blue Five dischi jazz di grande successo. Fra questi meritano di essere ricordati Wild Cat Blues e Kansas City Man Blues, incisi in quello stesso anno, nei quali Bechet mette in evidenza le sue straordinarie qualità solistiche.
Di seguito propongo l'edizione dell'epoca del primo brano trovata su Youtube.

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Quelle incisioni gli dettero una certa popolarità e per un breve periodo suonò anche con Duke Ellington. Nel 1925 tornò in Europa con la Black Revue nella quale debuttava Josephine Baker, girò l'intera Europa fino a Mosca.

Nel 1928 si stabilì a Parigi con la famosa orchestra di Noble Sissle. Nel 1932 tornò negli USA e si esibì ad Harlem con un proprio complesso i New Orleans Feetwarmers, ma la crisi lo costrinse per sopravvivere a dedicarsi alla professione di sarto.
Passato il periodo peggiore rientrò nell'orchestra di Noble Sissle con la quale restò fino al 1938.
Uscito dall'orchestra cominciò uno dei periodi più felici della sua carriera di cui ci restano molte storiche incisioni con Jelly Roll Morton, con Louis Armstrong, con Tommy Ladnier, ecc., ripubblicate anni fa in un bel cofanetto di 4 CD dalla Bluebird.


Di quel periodo è il famoso Really the Blues scritto da Mezz Mezzrow

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e che diverrà il titolo di un libro autobiografico dello stesso Mezzrow (tradotto in italiano I primi del Jazz) molto noto fra gli appassionati.


Dopo la seconda guerra mondiale egli fu uno degli artefici di quel fenomeno che fu il New Orleans Revival, che riportò alla luce molti vecchi artisti degli anni venti scomparsi dopo il successo dello Swing. Questo revival da molti venne visto come una risposta al be-bop ed ebbe una grande successo popolare sia negli USA che in Europa.

Nel 1947 si trasferì definitivamente in Francia dove divenne uno dei beniamini del pubblico non solo francese e come ricorda Arrigo Polillo lo si vedeva e lo si ascoltava spesso: d’estate sulla Costa Azzurra (a Juan Les Pins c’era un ritrovo all’aperto, il Vieux Colombier, dove il suo sassofono soprano imperversava ogni sera), d’inverno nelle grandi città europee e soprattutto nelle caves della Rive Gauche, a Parigi. (Stasera Jazz, 1978, p.65)
Chi come me era ragazzo in quegli anni non può dimenticare lo straordinario successo del suo Petite Fleur.


Questa sua popolarità tuttavia gli inimicò molti puristi che lo ritenevano troppo commerciale, ma egli continuò a riscuotere straordinari consensi dal pubblico, come ad esempio all'Olympia nel 1955, o nei vari festival estivi della costa azzurra. Si veda questo video, di scarsa qualità ma significativo.


Se le sue esibizioni pubbliche talvolta scadevano un po' nel commerciale, per evidenti esigenze di businness, le numerose incisioni di quegli anni pubblicate quasi tutte dalla Blue Note sono invece dei veri gioielli di puro stile New Orleans, ai cui canoni principali egli rimase sempre fedele, come dimostrano questi due ultimi video con cui chiudo questo breve ricordo.




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