Repost from Splinder (19 oct. 2008)
Gerry Mulligan è stato il sax baritono che più di ogni altro ha raggiunto vertici elevati di popolarità, non solo come strumentista, ma anche come leader d'orchestra e di piccoli complessi, come arrangiatore e come compositore.
Ho scelto questa foto perché, per me, ha un significato particolare, infatti venne scattata in occasione di una serata, della quale parlerò più avanti, in cui ebbi finalmente l'opportunità di ascoltarlo dal vivo ed anche l'onore di essergli presentato e di scambiare due parole con lui.
Per quelli della mia generazione che hanno cominciato ad avvicinarsi al jazz negli anni cinquanta, fra le principali figure di riferimento, che rappresentavano l'immagine stessa del jazz, oltre a Louis Armstrong, Duke Ellington, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis c'era Gerry Mulligan. La sua popolarità, non solo fra gli appassionati di jazz, in quegli anni era all'apice ed egli fu assieme a Dave Brubeck, uno dei protagonisti dell'ultimo rigurgito di popolarità del jazz fra i giovani, prima dell'avvento del rock & roll. Un pubblico vasto, che negli anni quaranta si era gradualmente allontanato, disorientato dalle sonorità particolari del be-bop e del cool jazz.
Fu lo stesso Brubeck ad affermare che Gerry era riuscito: «a far progredire il jazz senza rompere bruscamente con la tradizione e senza mai andare sopra le righe».
Dotato di straordinarie capacità musicali, inizialmente si affermò, giovanissimo, come arrangiatore e compositore. A soli 17 anni vendette i suoi primi due arrangiamenti all'orchestra di una radio locale di Filadelfia, orchestra con la quale poi continuò a collaborare come arrangiatore e solo raramente come strumentista (allora suonava il sax tenore e contralto).
Nel 1945 quell'orchestra suonò nello stesso concerto in cui si esibivano Parker e Gillespie ed essendo venuto a mancare un sassofonista Gerry ebbe l'opportunità di suonare in quel concerto. Come era consuetudine all'epoca, i musicisti dopo lo spettacolo si ritrovavano in un night club per suonare in jam session fino al mattino. Il diciottenne Gerry si recò anch'egli nel locale, standosene timidamente in disparte con il suo strumento chiuso nell'astuccio. Ad un certo punto Bird gli si avvicinò, aprì l'astuccio, montò il sassofono e invitò Gerry a suonare, dandogli la possibilità di mostrare il proprio talento.
L'anno seguente venne scritturato nell'orchestra di Gene Krupa, ma anche in quest'orchestra il suo lavoro era principalmente quello di arrangiatore e solo saltuariamente gli veniva chiesto di suonare il sax tenore. Una di quella rare occasioni è stata fortunatamente immortalata nelle foto qui sotto in cui lo si vede subito a destra di Krupa.
Nel 1947 fu un disco con una sua composizione originale Disc Jokey Jump, registrata dall'orchestra ad attirare l'attenzione sul suo lavoro e a dargli una certa visibilità.
Poco tempo dopo venne licenziato dall'orchestra di Krupa, per dissapori con il leader, e di lì a poco, grazie all'intercessione di Gil Evans, entrò a far parte dell'orchestra di Claude Tornhill, in cui Evans era arrangiatore-capo. Quell'esperienza si rivelò determinante per il suo futuro.
Quell'orchestra si caratterizzava per una particolare sonorità ottenuta con l'impiego dei corni e del basso tuba, un influsso che si ripercosse in qualche misura anche su i suoi arrangiamenti. Fu all'epoca che decise di dedicarsi esclusivamente al sax baritono, abbandonando gli altri strumenti.
La frequentazione di Gil Evans e di Lee Konitz, che suonava anch'egli nell'orchestra lo portarono a far parte di quella straordinaria esperienza che fu la Capitol Tuba Band, della quale fu autorevole protagonista. Infatti ben tre pezzi di quel repertorio portano la sua firma: Jeru, Venus de Milo e Rocker (forse anche i più noti), mentre un quarto Goodchild, scritto da George Wallington, venne arrangiato da lui. Nella foto qui sotto lo vediamo di spalle accanto a Konitz durante una seduta d'incisione.
Quella mitica esperienza uscì a nome di Miles Davis, all'epoca il più famoso fra i protagonisti, grazie alla sua militanza nello storico quintetto di Charlie Parker, ma il contributo concettuale del trombettista non fu superiore a quello degli altri, anzi furono proprio i tre membri dell'orchestra di Tornhill, ad avere l'idea di creare sonorità simili a quelle di quell'orchestra, quel cloudy sound che caratterizzerà quasi tutte quelle composizioni che daranno vita alla stagione del cool jazz.
Purtroppo fu anche in quel periodo che Gerry divenne schiavo dell'eroina, compromettendo per un certo periodo il suo futuro.
Soli nel 1951, grazie all'aiuto di una donna forte e volitiva, riuscì ad uscire dal tunnel e trasferitosi in California riprese a lavorare con successo. Venne assunto come arrangiatore nell'orchestra di Stan Kenton, per la quale scrisse due pezzi Swinghouse e Young Blood, che ebbero un discreto successo e rimasero a lungo nel repertorio dell'orchestra.
In quello stesso anno ebbe finalmente l'opportunità di registrare il primo pezzo a suo nome: Roundhouse. che possiamo ascoltare di seguito.
Questo fu l'inizio di una nuova stagione che di lì a poco diventerà trionfale e lo proietterà per più di un decennio nel turbine del successo e della popolarità.
Nel 1952 nacque il famoso quartetto pianoless con Chet Baker, un rapporto musicalmente perfetto, ma umanamente difficile, del quale ho già ampiamente parlato in un precedente post. (qui)
Poi, dopo la separazione burrascosa con il trombettista di Yale, un nuovo quartetto con il trombonista Bob Brookmeyer, con il quale nel 1954, per la prima volta, arrivò anche in Europa ottenendo uno straordinario successo soprattutto a Parigi, dove tenne alcuni concerti alla Salle Pleyel. La casa discografica francese Vogue registrò quei concerti che vennero diffusi sia in un album a 33 giri, sia in diversi 45 giri (supporto allora molto diffuso fra i giovani). Io all'epoca ne acquistai tre che conservo ancora gelosamente.
Questa distribuzione capillare ne amplificò la popolarità anche in Italia e, finalmente nel 1956, tornato in Europa, con un sestetto comprendente oltre a Brookmeyer anche Zoot Sims al sax tenore e John Eardley all tromba, venne ad esibirsi anche da noi con diversi concerti e anche con un'apparizione in TV, dalla quale è tratto il filmato proposto di seguito.
Quella tournée rappresentò per gli appassionati un evento epocale, Arrigo Polillo nel suo Stasera jazz gli dedica un intero capitolo, in cui descrive l'entusiasmo degli spettatori, anche i più esperti, il cui commento unanime fu: «È il più bel concerto che abbia mai ascoltato». Lo stesso Polillo ammette:
anch'io non mi ero aspettato tanto. Conoscevo Mulligan come un musicista geniale, e non vi era incisione sua che non avessi degustato e ammirato; ma non potevo prevedere che avrei ricevuto da quel giovanotto, allora ventinovenne e nel pieno della sua creatività, un'impressione così forte.
Anche nella terza tournée europea del 1959 tornò a suonare ancora in Italia in diversi concerti, con un quartetto con Art Farmer alla tromba. Il concerto al Teatro Adriano di Roma venne anche registrato dalla televisione. Da allora il suo rapporto con l'Italia divenne via via più frequente fino a farla diventare una seconda patria. Negli anni '70 sposò, in quarte nozze, una signora milanese, con la quale rimase legato fino alla fine.
La seconda metà degli anni '50 rappresentò senz'altro per Mulligan il periodo più intenso e prolifico della sua vita. Superati definitivamente i problemi con la droga, nei quali, sia pur saltuariamente, era stato nuovamente coinvolto, intorno ai 30 anni aveva raggiunto al massima popolarità e si trovò impegnato in un'infinita serie di attività non solo discografiche. Oltre ai piccoli complessi cominciò a lavorare al progetto di un'orchestra, che si realizzerà fra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, con la Concert Jazz Band, un'orchestra di grandi dimensioni nella quale militarono solisti di grande levatura, considerata uno degli eventi più importanti di tutta la sua carriera, che si avvaleva di vari arrangiatori di altissimo livello e che secondo lo stesso Mulligan mirava ad ottenere «la sessa chiarezza di suono e lo stesso intreccio delle linee melodiche che avevo nei complessi più piccoli». Quei brani ancora oggi, dopo quasi 50 anni, conservano tutto il loro fascino e la loro qualità, come questo Apple Core ascoltabile qui tratto da un concerto tenuto all'Olympia di Parigi il 19 novembre 1960.
Oltre ai numerosi dischi a proprio nome in quegli anni venne affiancato in storiche incisioni con altri big, da Thelonious Monk a Ben Webster, da Jimmy Winterspoon a Annie Ross, solo per citarne alcuni.
Anche il cinema si interessò a lui non solo come musicista e compositore, ma anche come attore.
Un cenno particolare merita un film del 1958 di Robert Wise I Want to Live (in italiano Non voglio morire) con protagonista Susan Hayward, un'attrice allora molto popolare, uno dei primi films ad affrontare il drammatico tema della pena di morte. Il film era anche intriso di jazz con una colonna sonora bellissima, composta da Johnny Mandel ed eseguita da Mulligan con un gruppo messo insieme per l'occasione e che comprendeva Art Farmer alla tromba, appena subentrato a Brookmeyer nel quartetto e Red Mitchell al basso anche lui, sovente, membro dei suoi gruppi ed un gruppo di eccellenti musicisti della West Coast: Bud Shank al sax alto, Frank Rosolino al trombone, Shelly Manne alla batteria e Pete Jolly al piano.
Nel video che propongo di seguito ho estrapolato i titoli di testa ed anche i primi minuti del film che ci offrono uno spaccato di quale era effettivamente il mondo dei jazz club in quegli anni e dove i complesso viene ripreso per quasi tutta la durata della sequenza, con primi piani durante gli assolo dei musicisti, cosa pressoché unica per un film che non parli di jazz.
Ricordo che all'epoca rimasi affascinato da quel film e corsi a cercare il disco con la colonna sonora, e date le mie scarse risorse finanziarie dell'epoca dovetti accontentarmi di un 45 giri contente due dei principali temi del film, lasciando a malincuore sul banco del negozio l'album con tutta la colonna sonora.
Con l'avanzare degli anni '60 e con la fine dell'esperienza della Concert Jazz Band, le attività di Gerry andarono via via affievolendosi per scivolare in una specie di “apatia”, come ebbe a dire sempre Polillo, riducendo progressivamente i concerti e le incisioni e stando anche un anno intero senza entrare in sala d'incisione. Aveva sposato in terze nozze una giovane attrice e la seguiva nei suoi impegni cinematografici trascurando il resto.
Solo verso la fine degli anni '70 riprese gradualmente a suonare con continuità. Chiamato da Dave Brubeck per sostituire, come aveva già fatto in passato, Paul Desmond nel quartetto, per alcuni concerti, alla fine la collaborazione si rivelò più duratura e proficua del previsto, protraendosi per oltre un paio d'anni, anche con al realizzazione di alcuni albums interessanti.
Sempre in quel periodo, ritorna, dopo quasi cinque anni, a registrare un disco a proprio nome The Age of Steam (1971) con una big band composta da anche da diversi nomi famosi come Bud Shank, Harry “Sweet” Edison, Jimmy Cleverand, ecc.. Una specie di rimasticatura della Concert Jazz Band, che tuttavia non raggiunse i livelli della precedente esperienza ed il disco pur riscuotendo un discreto successo di vendite non servì a risollevare abbastanza le quotazioni di Gerry.
Nel 1974 incontra Astor Piazzolla e nasce il progetto di un album di tanghi : Tango Nuevo, che viene realizzato a Milano con un gruppo di musicisti italiani fra i quali Bruno De Filippi e Tullio De Piscopo. Un disco particolare lontano dalle sue precedenti esperienze e che tuttavia affrontò con umiltà e sensibiltà. Pubblicato inzialmente dall'italiana Carosello, negli anni viene ciclicamente ripubblicato da altre case editrici anche con il titolo Summit (in USA o in G.B.) o anche Reunion Cumbre (in Francia).
In quell'anno ebbe luogo anche il nuovo incontro con il redivivo Chet Baker alla Carnegie Hall, un emozionante revival. In quell'occasione vennero presentate, oltre ai vecchi successi, alcune nuove composizioni che da allora in poi verranno riproposte quasi sempre nei concerti: Song for Strayhorn e For an Unfinished Woman.
Nel 1976 mette insieme un nuovo gruppo il Gerry Mulligan's New Sextet con un organico insolito rispetto ai gruppi del passato, infatti compaiono vibrafono e chitarra, strumenti mai utilizzati prima, con cui realizza Idol Gossip, un disco in cui torna a privilegiare l'improvvisazione rispetto all'orchestrazione e all'arrangiamento, sostenuto dal bravo David Samuels al vibrafono. Anche in questo album compare una nuova composizione Walk on the Water che sarà protagonista del rilancio artistico di Mulligan, che in questa occasione si esibisce per la prima volta su disco anche al sax soprano. Il disco tuttavia passò abbastanza inosservato anche perché prodotto da una casa discografica minore la Chiaroscuro, ed ebbe una diffusione limitata, ed oggi è difficilmente reperibile. Negli anni '80 i brani di quell'album vennero riprodotti su due LP della raccolta I Giganti del Jazz /Curcio n. 49 e 99, senza alcun riferimento all'album originale.
Il 1980 rappresenta l'inizio di una nuova felice stagione; con una nuova orchestra composta da giovani musicisti esordienti (fra i quali emersero in seguito particolarmente il trombettista Tom Harrell e il pianista Mitchell Forman) venne realizzato un nuovo eccellente album intitolato appunto Walk on the Water, che ottenne un grande successo di pubblico e di critica e che fece tornare Mulligan sulla cresta dell'onda.
Ripresero le tournée con l'orchestra o con un nuovo quartetto, questa volta comprendente anche il pianoforte, suonato da Forman.
Nel 1982 in una delle sempre più frequenti tournèe in Italia, divenuta per lui, dopo il matrimonio con al signora Franca una specie di seconda patria, al Teatro Orfeo di Milano venne eseguito un eccellente concerto del quartetto con la Jazz Big Band della RAI durante il quale vennero eseguite diverse brani del disco citato. Di quella straordinaria orchestra comprendente alcuni dei migliori jazzisti italiani dell'epoca, ho già parlato in una vecchia pagina nella quale riportavo anche la formazione (qui) . Quel concerto venne trasmesso anche in TV e da esso è tratto il materiale seguente. Come primo brano ho scelto quello che dava il titolo all'album e che ci mostra Mulligan al sax soprano, il secondo invece è un medley ellingtoniano che consente ai componenti dell'orchestra di mettersi in luce.
La sera dopo quel concerto il quartetto si esibì al Bobadilla Feeling Club di Dalmine, un bellissimo jazz club (oggi purtroppo trasformatosi in discoteca) gestito da un grande appassionato di jazz, quel Benvenuto Maffioletti di cui ho già parlato in un'altra occasione, che mi onorava della sua amicizia. Quella sera, dopo aver ascoltato un bellissimo concerto, ebbi l'opportunità di conoscere personalmente Gerry. Un incontro molto veloce con i soliti convenevoli, ma per me fu lo stesso una grande emozione. La foto posta all'inizio di questo post venne scattata allora dalla moglie del proprietario la signora Luisa Cairati, valente fotografa che negli anni ha immortalato in tante bellissime foto tutti i grandi jazzisti passati per quel locale.
L'anno seguente viene realizzato un nuovo album di grande qualità: Little Big Horn, che riscosse anch'esso un notevole successo e in cui i brani sono eseguiti parte con un quartetto con Dave Grusin al piano e parte con un nuovo gruppo orchestrale comprendente fra gli altri Michael Brecker al sax tenore. L'album comprende sei nuove composizioni di Mulligan di grande qualità come Under a Star, Another Kind of Sunday, Sun on Stairs, ecc. tutte gradevolissime e che resteranno nel suo repertorio futuro.
Il disco in Italia venne prodotto dalla Five Records, una casa discografica legata al gruppo di Canale 5, che ebbe una vita effimera. Per promuovere il disco venne organizzato un concerto al teatro Manzoni di Milano con un nuovo quartetto con al piano Harold Danko, Frank Luther al basso e Butch Miles alla batteria e con ospite d'onore Ornella Vanoni, con la quale Gerry aveva collaborato per il suo ultimo disco Uomini. Il concerto venne anche trasmesso sempre da Canale 5, forse l'unica volta per il jazz su quella rete, e da esso ho tratto il seguente video.
Negli anni successivi Mulligan gestì oculatamente il suo rinnovato successo. Avvicinandosi ormai ai 60 anni, oltre al jazz cominciò a dedicarsi alla pittura ed alla musica classica, una passione coltivata fin da giovane, scrivendo diverse composizioni per sassofono baritono, alcune delle quali potè eseguire alla Fenice di Venezia.
Incise ancora alcuni dischi, ma ormai la sua vena creativa non aveva più grandi cose da dire, si trattava comunque di musica gradevole anche se un pochino fredda.
Si spense poco prima di compiere 69 anni lasciando un grande vuoto nel mondo della musica e non solo e ancora oggi è ricordato e rimpianto da tantissimi fans.
Si spense poco prima di compiere 69 anni lasciando un grande vuoto nel mondo della musica e non solo e ancora oggi è ricordato e rimpianto da tantissimi fans.
P. S.
Come al solito l'amico Jazzfromitaly ha contribuito ad arricchire con note ed immagini questo post e gliene sono molto grato. Pertanto riporto di seguto il suo commento.
Questo corposo e succulento post è fatto della materia che mi dona ispirazione, cioè il ricordo, la ricerca, il racconto, la passione.
Insomma, è di quelli che piacciono a me, per cui mi ci butto.
Mulligan è stato sicuramente tra le figure che hanno scritto la Storia di questa musica,
prima “nell’ombra” delle sue magnifiche composizioni,
poi offuscato da quel primo attore naturale che era Chet Baker ed infine, finalmente, con la riconoscibilità ed il calore del suo sax baritono.
Dici bene che l’Italia era la sua seconda casa,
anche perché come spesso è accaduto, la moralità latente ed il grosso ingranaggio del music business americano,
spesso hanno stritolato i grandi musicisti che si sono sentiti più compresi ed apprezzati in Europa che negli USA.
Ovviamente c’è anche la bellezza di questo paese e, non ultima, quella delle nostre signore.
Come ben ricordi, le prime tournée di Mulligan hanno germinato in un susseguirsi di soggiorni che hanno incrociato i nostri tanti jazzisti, oltre che fatto sbocciare dei gustosi frutti.
L’European Tour del ’56 che ha toccato l’Eliseo di Roma, il Teatro Universale di Genova, quello della Fiera Campionaria di Milano da dove è tratto il filmato di Schegge, il Teatro Nuovo di Torino e il Duse di Bologna.
Nel ’59, con Farmer, Bill Crow e Dave Bailey fu la volta del Palazzetto di Bologna, poi Milano, Torino, Padova, Genova ed il Teatro Adriano di Roma, concerto registrato dalla RAI quando ancora riteneva importante la cultura, che tu citi, e reperibile anche su disco in A NIGHT IN ROME, VOL. 1 &2 (Fini Jazz LP FJ 8801-1 and CD FJ-8801-2).
Ancora tra il ’68 ed il 1972 suonò al Lirico di Milano, al Metastasio di Prato, e a La Fenice di Venezia, in quartetto con Dave Brubeck.
Nel ’71 a Pescara con Hampton Hawes di cui si ha testimonianza nel disco Philology “THE FABULOUS PESCARA JAM SESSIONS 1970-1975”.
Poi c’è il filmato di Adriano Pino che documenta l’incontro con Sellani, Dodo Goya e De Piscopo in una splendida Line for Lyons ad Umbria jazz nel ’74, ai quali si aggiunge Gianni Basso in un concerto nella stessa location trasmesso anche dalla radio.
Insomma, si potrebbe continuare all’infinito, e tu sai che io divento logorroico per quanto riguarda il Jazz suonato in questo paese.
Per cui mi fermo qui, ma non prima di qualche altra annotazione:
la prima per ricordare un importante disco (o almeno una memorabile traccia) che è GERRY MULLIGAN MEETS ENRICO INTRA, registrato a Milano nell’ottobre del ’75, con Gian Carlo Barigozzi (fl, ts), Sergio Farina (g), Pino Prestipino (el-b) e Tullio De Piscopo (dm, pers) in cui il grande baritonista interpreta tre composizioni di Intra, tra le quali c'è “Nuova Civiltà” che meritava, secondo me, di essere menzionata in questo tuo approfondito ricordo.
La seconda per citare quel GERRY MULLIGAN ITALIAN QUINTET che con Mario Rusca ed i fidi Sergio Farina (g), Dodo Goya (b) e Tullio De Piscopo (dm) hanno suonato spessissimo su e giù per lo stivale, isole comprese, nel 1976, che hanno lasciato traccia in alcune incisioni private, come quella raccolta a Viareggio a Luglio
(con il vibrafonista Dave Samuels aggiunto) e quella a Porto Potenza Picena ad Agosto.
L’Orchestra Rai del 1982 l’hai citata tu e, davanti ai nomi di quei solisti, io mi alzo in piedi e resto in silenzio.
A te invece dico ancora una parola:
Grazie,
ci sei mancato!
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