mercoledì 30 novembre 2011

Dal vinile al MP3: pro e contro della “volatilizzazione” del supporto musicale


In questi giorni mi è capitato fra le mani un vecchio disco di Duke Ellington, un 45 gg. EXP, acquistato più di 55 anni fa. 





Si tratta, in assoluto, del mio primo disco di jazz.





Riprenderlo in mano, estrarlo dalla piccola custodia cartonata, rimuovere la polvere e metterlo sul piatto è stata un'emozione particolare, che si è accentuata quando le note di Blues I Love to Sing, un pò fruscianti, con la roca voce di Adelaide Hall, si sono diffuse nella stanza.


Mentre ascoltavo la musica mi rigiravo fra le mani la copertina e ripensavo alla evoluzione, o meglio, allo sconvolgimento che i metodi di riproduzione musicale hanno subito negli ultimi 50 e passa anni e mi chiedevo: il ragazzo di 17/18 anni, come ero io allora, che oggi acquista su iTunes dei brani musicali, quando avrà 75 anni non avrà più l'opportunità, come ho avuto io oggi, di rivivere emozioni simili, nè la possibilità di stringere fra le mani qualcosa di concreto che gli ricordi quelle emozioni.


La riproduzione digitale, con la sua fredda perfezione, ci ha certamente offerto risultati qualitativamente eccellenti dal punto di vista della qualità del suono. 


Il CD ha gradualmente soppiantato l'album di vinile, anche in praticità di ascolto, però ci ha privato di quei riti che accompagnavano la messa in funzione del vinile.


Il piacere di tenere fra le mani le copertine, spesso artisticamente eccellenti, arricchite da note discografiche e critiche di qualità. Cosa che nei CD, soprattutto per motivi di spazio, è riservata a persone con vista acutissima o dotate di lente d'ingrandimento.  

L'attuale passaggio ai files da scaricare da internet ha accentuato le suddette carenze e ridotto quasi definitivamente l'ascolto della musica ad un rito usa e getta.
Il consumo continuo di musica dei giovani d'oggi, che girano con il telefonino o l'iPod carico di diversi giga di musica, che ascoltano come riempitivo ovunque si trovino, rendendoli simili a zombie vaganti, ha reso la musica un sotto fondo senza emozioni, da coniugare con l'eterno ciancichio di gomma da masticare.
Ma questi, purtroppo, sono solo discorsi da vecchio brontolone e considerazioni che lasciano il tempo che trovano. Tutto questo è il frutto del progresso.
Progresso che, tuttavia, mi consente di mettere in rete queste note, di corredarle con musica, foto e filmati e di lasciare una traccia duratura, sempre che la piattaforma su cui posti non chiuda, come sta facendo Splinder.



Arrigo Polillo e la storia del Jazz

Pubblicato domenica 26 agosto 2007

Arrigo Polillo (1919-1984) è stato il più autorevole critico e storico del jazz italiano del dopoguerra. Con i suoi libri ed i suoi articoli sulla rivista "Musica Jazz", di cui è stato socio fondatore e direttore per molti anni, ha contribuito in maniera determinante alla diffusione della musica afro-americana in Italia ed anche all'affermazione del jazz italiano sostenendone i musicisti e seguendone con attenzione gli sviluppi.
La mia modesta cultura jazzistica è in larga parte debitrice ai suoi scritti. Il primo libro sul jazz che ho letto nel 1958 è stato il suo Il jazz moderno, musica del dopoguerra avuto in prestito da un amico, in cui per la prima volta sentii parlare di bebop e cool jazz e di Charlie Parker, Dizzie Gillespie, Miles Davis, Lennie Tristano, ecc.

Molto attivo anche come organizzatore di concerti e festivals fece venire in Italia per la prima volta molti dei più famosi musicisti: Ellington, Basie, Herman, Kenton, Bud Powell, Sarah Vaughan; Coleman Hawkins e molti altri. Da quell'esperienza ne uscì un altro interessantissimo libro Stasera Jazz nel quale in una specie di saggio-diario rievoca i suoi incontri con molti grandi del jazz descrivendone vita e tratti artistici.

Ma il suo contributo fondamentale alla storia del jazz lo ha dato con Il Jazz: la vicenda e i protagonisti della musica afroamericana, pubblicato per la prima volta nel 1975 e ripetutamente ripubblicato fino ad oggi in numerose edizioni.
Anni fà in un banchetto estivo di libri a prezzo ridotto trovai una edizione particolare che al testo che già possedevo univa della musicassette contenenti un audilibro dal titolo La storia del Jazz pubblicato quando venne lanciata l'iniziativa degli audiolibri; iniziativa che non riscosse grande successo, al punto da essere sospesa dopo pochi titoli.

In questi giorni nella casa al mare ho ritrovato quelle cassette e visto che ormai sono introvabili le ho rippate. L'opera, nella quale interviene anche lo stesso Polillo, è un escursus del jazz dalle origini all'inizio degli anni '70 con diversi inserti musicali, interessante sia per i neofiti, sia per chi ha dimestichezza con la materia, in quanto consente di rinfrescare le conoscenze.
Chi fosse interessato ad ascoltare quest'opera può scaricarla qui



Chet Baker: The Lyrical Trumpet

Pubblicato martedì 21 agosto 2007

Anche oggi  qui al mare imperversa il maltempo e non potendo andare in spiaggia a fare gli ultimi bagni prima di rientrare in città, non resta che la musica e così ho passato la giornata a riascoltare Chet Baker.
Chet Baker (1929-1988) pur non potendo essere annoverato fra i grandi maestri, resta uno degli artisti più popolari ed è ancora amato da un vasto pubblico anche giovanile. Questa sua popolarità è dovuta sia al particolare lirismo della sua tromba, al suo modo di cantare con quella voce flebile, timida, confidenziale, sia alla sua fama di artiste maudit, sempre alle prese con problemi di droga, che lo seguirà fino alla misteriosa morte ad Amsterdam, dovuta, sembra, ad una caduta da una finestra dell'hotel in cui risiedeva.
In Italia nel 1961 subì un famoso processo che io, allora poco più che ventenne, ricordo benissimo. Per la prima volta il problema della droga cominciava ad emergere. Venne condannato in appello a 16 mesi che scontò nel carcere di Lucca.
Nel 1962, appena uscito dal carcere, venne circondato dall'affetto degli amici musicisti italiani, che gli organizzarono diversi concerti. Gli fecero anche incidere uno storico album Chet is Back nella speranza di recuperarlo definitivamente alla vita normale. In quell'occasione lo accompagnarono alcuni noti musicisti francesi: Bobby Jaspar al sax tenore ed al flauto, René Thomas alla chitarra, Benoit Quersin al basso, Daniel Humair alla batteria ed il nostro Amedeo Tommasi al piano, che per l'occasione compose Ballata in forma di Blues dedicata a Chet, un brano bellissimo che vi ripropongo


Tornato negli USA  diverrà nuovamente preda degli spacciatori e nel 1966 subì un grave pestaggio che gli fece perdere i denti davanti.Per molti anni sparì dalle scene finendo a fare l'addetto ad una pompa di benzina.
Riconosciuto casualmente da un vecchio ammiratore, che lo aiutò economicamente a risistemarsi la bocca, riprese a studiare per poter suonare con la dentiera. Rientrato nel giro grazie all'aiuto di vecchi colleghi, ritornò in auge soprattutto in Europa e riprese ad incidere ed a fare concerti, restando comunque sempre ai margini della droga fino alla morte.
Completiamo questa pagina con alcuni filmati. Nel primo lo vediamo nel 1964 prima dell'incidente.



Il Love for Sale che segue è invece del 1979.


Nell'ultimo filmato infine lo vediamo a Tokio nel 1987, un anno prima della morte, in quel My Funny Valentine che per tutta la vita ha cantato in ogni concerto.


Max Roach: un altro grande vecchio se ne và

Pubblicato venerdì 17 agosto 2007

Ieri 16 agosto, all'età di 83 anni, è morto Max Roach, il più grande batterista, non solo jazz, di tutti i tempi.
Egli ha attraversato da protagonista oltre sessant'anni di storia del jazz, suonando con tutti i più grandi musicisti da Duke Ellington a Charlie Parker, da Miles Davis a Charles Mingus, da Clifford Brown a Sonny Rollins, da Cecil Taylor a Anthony Braxton, solo per citarne alcuni. Inoltre si è distinto per il costante impegno nella lotta per l'emancipazione degli afro-americani ed in quella contro l'apartheid in Sud Africa. Alcune sue opere sono dei veri e propri manifesti politici, come il famosissimo We Isist! Freedom Now Suite.
Mesi orsono gli dedicai già una pagina (qui).
Nato a New York il 10 gennaio 1924, inizia a studiare musica fin da giovanissimo, a 16 anni già suona saltuariamente in orchestre importanti. Di lì a poco comincia a frequentare la 52nd Street e partecipa alle jam sessions dove viene notato da Kenny Clarke che lo introduce nel mondo del jazz.
Nel 1944 suona già con i grandi del be-bop, nella foto qui sotto lo vediamo appena ventenne con baffetti ed occhiali con il quintetto di Charlie Parker e Miles Davis.



Nel 1953 è già il più grande di tutti e partecipa allo storico incontro alla Massey Hall di Toronto con Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bud Powell e Charles Mingus, qui ritratti durante il concerto.


Da allora la sua carriera è rappresentata da una interminabile serie di successi sia in concerto che su disco, che non stiamo qui ad elencare.





Per non venir  meno alla consuetudine ormai consolidata di corredare le pagine con qualche video, ho scelto due filmati lontani fra loro nel tempo.
Nel primo, realizzato nel 1964, lo troviamo con la moglie di allora Abbey Lincoln, durante una tournée in Europa. Il brano è Driva Man (preceduto da un accenno a Love for Sale), tratto dal già citato We Insist!.



Il secondo, di una ventina d'anni dopo, ci presenta invece uno dei suoi tipici "a solo"



Negli ultimi anni, colpito dal morbo di Alzheimer, aveva quasi completamente smesso di suonare.

martedì 29 novembre 2011

Duke Ellington - Symphony in Black (1935)

Pubblicato mercoledì 8 agosto 2007

Un altro video storico per gli appassionati. Da anni ne possedevo una versione in VHS molto degradata, quasi inutilizzabile, ed una scaricata dalla rete incompleta e di scarsa qualità. Finalmente ne ho trovata una versione completa molto buona e mi affretto a condividerla con gli amici.
Il filmato, il cui titolo completo è Symphony in Black (A Rhapsody of Negro Life) venne realizzata nel 1935 da Fred Waller (1886 - 1954), poco noto come regista, ma assurto all'onore delle cronache per aver inventato il Cinerama.
L'apetto più interessante per l'epoca è la mancanza dei soliti stereotipi sui negri, che caratterizzavano molti films di quel periodo. Ellington viene presentato come un elegante  e famoso compositore e il titolo del filmato tenta anche un paragone con il grande compositore bianco George Gershwin, all'epoca ai vertici della fama con la sua Rhapsody in Blue.
La sinfonia si articola in quattro parti e nella seconda A Triangle troviamo una giovanissima Billie Holiday (19 anni), nella sua prima apparizione in un film, che canta un blues intercalato dagli "a solo" di Barney Bigard al clarinetto e di Joe Nanton al trombone. 
Musica straordinaria ed immagini bellissime e suggestive che si concludono con una fugace rievocazione del clima che in quegli anni si respirava nei locali di Harlem come il famoso Cotton Club.



Stanlio e Olio in «Way Out West» (1937)


Pubblicato lunedì 13 agosto 2007

Che tristezza!! Fuori diluvia, così invece di andare al mare sono seduto davanti al PC, sperando che il tempo migliori in vista di Ferragosto.
Per consolarmi mi sono rivisto quella che considero la più straordinaria, divertente e gioiosa clip musicale della storia del cinema, un esempio di "improvvisazione" comica ancora oggi insuperato, nonostante i suoi 70 anni (il film da cui è tratta: Way Out West, in italiano I fanciulli del West, è del 1937). I maligni diranno che tale preferenza è dovuta a "solidarietà generazionale", può darsi, ma difficilmente oggi in giro si trova qualcosa di simile.



PS. Il brano su cui i due improvvisano è At the Ball, That's All cantata da The Avalon Boys

Concerto dell'Enrico Rava quintet a Umbria Jazz 2001

Pubblicato domenica 17 agosto 2007

Ultimamente ho un pò trascurato il jazz italiano e per recuperare dedicherò questa pagina ad uno straordinario concerto che ha avuto luogo a Perugia nel luglio 2001, nell'ambito di Umbria Jazz: protagonista un quintetto stellare con Enrico Rava e Paolo Fresu alle trombe, Stefano Bollani al piano, Enzo Pietropaoli al basso e Roberto Gatto alla batteria, ovvero il "gotha" del jazz italiano.


Pur non essendo presente quella sera, ebbi l'occasione di ascoltare quel magico quintetto nel corso della tournée che precedette quel concerto e ne rimasi estasiato. Così disponendo di un video che ci mostra quasi 50' di quello storico concerto finalmente sono riuscito ad inserirlo.
A questo punto non ci resta che metterci comodi e goderci questo spettacolo di grande jazz.


lunedì 28 novembre 2011

«Tarde em Itapoã» di Toquinho e Vinicius de Moraes

Pubblicato mercoledì 1 agosto 2007


In questi giorni, oziando su una sdraio in riva al mare, mi è capitato di riascoltare una delle canzoni brasiliane che amo di più Tarde em Itapoã scritta e musicata dal magico duo Toquinho e Vinicius de Moraes.



Come penso sia capitato a molti, per anni si ascolta una canzone, si resta affascinati dalla musica e dalla musicalità delle parole senza, tuttavia, chiedersi cosa in realtà dica il testo.
Di questa canzone finora sapevo che parlava di una sera trascorsa ad Itapoã, famosa città balneare, nota per aver dato i natali ad uno dei più grandi compositori brasiliani di musica popolare: Dorival Caymmi.
Le mie modeste cognizioni della lingua portoghese non mi hanno mai consentito di capire cosa in realtà venisse detto nella canzone.
Alla fine, stimolato dalla curiosità, mi sono detto: vediamo se con Internet risolvo il problema, magari qualcuno l'ha tradotta e messa in rete, invece ho trovato solo il testo in portoghese.
Um velho calção de banho, um dia pra vadiar
Um mar que não tem tamanho e um arco-íris no ar
Depois na praça Caymmi sentir preguiça no corpo
E numa esteira de vime beber uma água de côco
É bom passar uma tarde em Itapoã
Ao sol que arde em Itapoã
Ouvindo o mar de Itapoã
Falar de amor em Itapoã

Enquanto o mar inaugura um verde novinho em folha
Argumentar com doçura com uma cachaça de rolha
E com olhar esquecido no encontro de céu e mar
Bem devagar ir sentindo a terra toda a rodar
...
Depois sentir o arrepio do vento que a noite traz
E o diz-que-diz-que macio que brota dos coqueirais
E nos espaços serenos, sem ontem nem amanhã
Dormir nos braços morenos da lua de Itapoã
...


Sul portoghese scritto me la cavo meglio e così con l'aiuto di un dizionario mi sono cimentato in un velleitario tentativo di darne una versione in italiano.

Il risultato per quanto approssimativo rende tuttavia il significato del testo e ne evidenzia abbastanza il senso poetico.


Un vecchio costume da bagno, una giornata per oziare
Un mare senza fine e un arcobaleno nel cielo
Poi in piazza Caymmi sentirsi la pigrizia addosso
E su una stuoia di vimini bersi un’acqua di cocco
È bello passare una sera a Itapoã
Sotto il sole che ti scalda ad Itapoã
Ascoltando il mare di Itapoã
Parlando d’amore ad Itapoã
Mentre il mare si tinge di verde
Discutere dolcemente davanti ad un bicchiere di cachaça
Guardando là dove il cielo incontra il mare
E camminare lentamente sentendo la terra girare
Sentire poi un fremito per il vento che si alza la notte
Mentre un chiacchiericcio leggero arriva dai coccheti
E in un posto tranquillo, senza ieri né domani,
Dormire fra le braccia brune della luna di Itapoã 


Per completare il tutto ho estratto da un vecchio filmato RAI il video della canzone interpretata dagli autori e risentendola ne ho finalmente capito il senso.



Teddy Wilson: il re dello Swing-piano

Pubblicato venerdì 27 luglio 2007


Dopo poco più di un mese il blog torna operativo, proseguendo con la carrellata di video dei grandi maestri del Piano Jazz. Fra questi non poteva mancare quello che il noto critico statunitense Stanley Crouch ha definito: the most important pianist of the swing periodossia Teddy Wilson (all'anagrafe Theodore Shaw 1912 - 1986).
Wilson è stato, grazie alla sua militanza con Benny Goodman, il primo pianista di jazz che ho ammirato ed ascoltato più spesso nei primi anni della mia passione jazzistica.
Fu proprio grazie alla sua collaborazione con Goodman, iniziata ufficialmente nel 1936, che egli cominciò ad esprimere il suo messaggio artistico che, secondo il critico e storico del jazz Giorgio Lombardi, era «basato sulla semplicità e sulla chiarezza al servizio di una tecnica del tutto personale, codificata attraverso la naturale assimilazione di una gamma di svariate e multiformi influenze».
Influenze che andavano da un'impronta stride alla Fats Waller, ad un uso delle ottave con la mano destra che si rifaceva al trumpet-piano-style di Earl Hines il tutto con spunti virtuosistici alla Art Tatum.
Il suo grosso merito, sempre secondo Lombardi, è stato di «aver saputo elaborare, attraverso una mirabile sintesi di quelle tracce, [...] un suo preciso modulo stilistico, caratterizzato da un'elegante essenzialità».
Dal sodalizio con Goodman egli ottenne visibilità e fama che gli consentirono di registrare con altri grandi artisti anche con gruppi a suo nome. Meritano di essere ricordate le storiche incisioni con Billie Holiday e Lester Young.
Del periodo con Goodman ho trovato un breve video del 1937 tratto dal film Hollywood Hotel. Si tratta di un'esecuzione del quartetto con Gene Krupa alla batteria, Lionel Hampton al vibrafono. (La collaborazione con Goodman era limitata al trio ed al quartetto, mentre il pianista dell'orchestra era, di solito, Jess Stacy).


Il brano suonato: I've Got a Heartful of Love, è una rarità in quanto questa è una delle poche esecuzioni, se non la sola, del gruppo. Il video ha 70 anni (come me) e tecnicamente li dimostra tutti.
Lasciato Benny Goodman egli mise in piedi, per un paio d'anni una propria orchestra, successivamente si dedicò per molti anni all'attività solistica o a dirigere piccoli gruppi.
Nel 1965 lo troviamo a quel Piano Jazz Workshop, che già tanto materiale ha fornito a questo blog, prima in una performance individuale di straordinario virtuosismo poi in duo con il maestro Earl Hines, mattatore di quella serata.
Di seguito i due filmati entrambi molto godibili.



Negli anni più di una volta tornò a suonare con Goodman, in concerti rievocativi ed in tournée internazionali. Quel repertorio venne spesso eseguito da Wilson anche in altri contesti come possiamo vedere nell'ultimo filmato ripreso nel 1976 a Vienna con la Dutch Swing College Band, un affermato gruppo swing olandese ancora oggi in attività, in cui viene eseguito il classico del periodo goodmaniano Avalon.


Dai precedenti filmati sono trascorsi più di 10 anni ed è curioso vedere come nel 1965 a poco più di 50 anni Wilson ostentasse senza problema i capelli grigi mentre verso i 65 anni si presentava con i capelli tinti, un vezzo dovuto all'età.

Earl Hines ancora al Piano Jazz Workshop

Pubblicato venerdì 25 giugno 2007


Vista la lentezza burocratica di Telecom che nonostante la disdetta non si decide a staccare la connessione, ne approfitto per integrare la precedente pagina su Earl Hines con altri due gioiellini tratti da quella miniera di preziosità che è il filmato del Piano Jazz Workshop di Berlino 1965, chiudendo così in bellezza il primo anno di vita di questo blog aperto proprio il 25 giugno dello scorso anno.



segue un bis a grande richiesta



Hines in quell'occasione fu il mattatore della serata e qui lo vediamo duettare con Jacki Byard , di circa 20 anni più giovane di lui e che diventerà famoso per la sua militanza con Charlie Mingus. Il set è straordinario per ritmo, brio, vivacità e virtuosismo e i due si intendono perfettamente offrendo al pubblico una spettacolo unico ed irripetibile.


Earl Hines: il padre di tutti i pianisti jazz

Pubblicato martedì 12 giugno 2007

Questo blog ha visto la luce circa un anno fà, il 25 giugno 2006, ma quel primo anniversario non potrà essere celebrato in quei giorni perché, a causa del cambio di gestore per alcune settimane sarò senza ADSL, così ho deciso di anticipare ad oggi, con l'ultimo video di questo primo anno, la ricorrenza.
Fra i grandi vecchi del pianoforte presentati in precedenza ne mancano almeno due che a me sono altrettanto cari: Earl Hines e Teddy Wilson. Del primo parlerò oggi riservandomi di dedicare uno dei prossimi post all'altro.
Di Earl "Fatha" Hines (1903-1983) uno dei suoi ammiratori più convinti, Count Basie diceva: «Può continuare a suonare per novant'anni e non passare mai di moda».
Nella sua straordinaria e longeva carriera, durata quasi sessant'anni, è stato un eccellente partner di Louis Armstrong negli anni d'oro degli Hot Five, un valente direttore d'orchestra alla testa di una compagine di grande valore, nell'ambito della quale sono germogliati, anche se lui non condivideva, i primi sintomi del bebop, un grande solista che negli anni della maturità ha percorso in lungo e in largo l'Europa, riscuotendo straordinari successi, infine è stato in tutti questi ruoli un uomo simpatico, allegro, pieno di vita e di comunicativa come si può vedere dal video che presento oggi.
Si tratta di un'esibizione avvenuta a Berlino nel 1965 nell'ambito del Piano Jazz Workshop,


Musica di 70 anni fà

Pubblicato lunedì 11 giugno 2007

Nei giorni scorsi mentre mi trovavo nella casa al mare alle prese con gli imbianchini, ho superato la soglia delle settanta primavere. Per sottolineare il raggiungimento di questo traguardo ho cercato qualcosa che vi si potesse collegare ed ho scelto un video risalente all'epoca dei miei natali.


Si tratta di un'esibizione dell'orchestra di Benny Goodman, dal film "Hollywood Hotel" girato proprio nell'estate del 1937, in piena Swing Craze.
In quegli anni la popolarità di Goodman (allora 28enne) era alle stelle, paragonabile, per l'epoca, a quella che oggi hanno Springsteen o Madonna negli Usa o Vasco Rossi in Italia.
Nel filmato è possibile vedere l'orchestra nella formazione tipica di quegli anni, oltre al leader si vedono Harry Goodman (fratello maggiore) al basso,  Jess Stacy al piano, l'indiavolato Gene Krupa alla batteria e Allan Reuss alla chitarra; le trombe sono: un giovanissimo (appena 21enne) Harry James che ha anche spazio per un "a solo", Ziggy Elman, Gordon Griffin e John Davis, i tromboni sono Vernon Brown e Red Ballard, i saxes Vido Musso, Hymie Schertzer, Arthur Rollini e George Koenig. Una formazione di tutto rispetto.
Il titolo assegnato al filmato è Sing, Sing, Sing, in realtà il riff è quello di Christopher Columbus, che costituirà la base per il futuro strepitoso successo del suddetto brano, grazie all'indimenticabile Gene Krupa.
Benny Goodman è stato uno dei miei idoli da ragazzo. Quando avevo 18-19 anni vidi il film "The Benny Goodman Story" e ricordo che rimasi entusiasta per quella musica. Quando poco dopo finalmente anche in casa mia entrò un giradischi, uno dei primi dischi che comprai fu un LP con i principali successi di Goodman, sia con l'orchestra, sia con il trio-quartetto (con Teddy Wilson, Lionel Hampton e Gene Krupa).
Con il passare degli anni le mie conoscenze jazzistiche si sono ampliate e sono passato ad ascoltare Armstrong, Basie, Ellington, poi Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane e tutti gli altri grandi, ma lo swing di quegli anni lo ascolto sempre volentieri e con un pò di nostalgia.

Operazione nostalgia: Tornerai

Pubblicato giovedì 31 maggio 2007

Questo vecchissimo video, proveniente anche lui dalla mia raccolta, ci mostra lo straordinario quintetto dell'Hot Club de France con Django Reinhardt e Stephane Grappelli in un brano famoso: quel Tornerai del nostro Dino Olivieri, che in francese divenne Je T'attendrai.


...


Durante la II guerra mondiale questo fu il brano più cantato dalle mogli italiane e francesi. Riascoltando questa canzone la mia memoria è tornata a quegli anni ed ho rivisto l'emozione negli occhi di mia madre quando l'ascoltava, nella totale assenza di notizie sulla sorte di mio padre, che, per fortuna, alla fine della guerra è tornato!!!


N.B.
Il video postato infrangeva ipotetici diritti di proprietà intellettuale, pertanto è stato sostituito dalla versione ufficiale del video stesso in accordo con il titolare dei suddetti, sempre ipotetici, diritti. 

Basie & Ella: A Perfect Match

Pubblicato mercoledì 30 maggio 2007

Pescando dai miei video, torniamo al grande Count Basie, questa volta ripreso nel suo abituale contesto orchestrale al Festival del Jazz di Montreux 1979 con una guest star d'eccezione: Ella Fitzgerald, in una strordinaria esibizione improvvisata. Il titolo del brano Basella è emblematico. Un vero gioiello jazzistico.


Da questo straordinario concerto la Pablo di Norman Granz realizzò anche un bellissimo LP intitolato appunto Ella & Basie: A Perfect Match.

Laurindo Almeida & il MJQ

Pubblicato martedì 29 maggio 2007

Venerdì prossimo mi trasferirò nella casa al mare dove, purtroppo, non ho la "flat", quindi mi collegherò molto meno e posterò molto poco.


Così ora mi sfogo con altri video e questo è anche il primo video della mia collezione che ho messo su YouTube. Essendo il primo esperimento la scelta è stata un pò casuale, ma la qualità non è male, anche perché unisce due miei amori: il MJQ e la Bossa Nova.
Il problema di stare nei 100 mega condiziona un pò le scelte ed è necessario prenderci la mano, ma piano, piano, spero di arrivare a risultati soddisfacenti.
Comunque che classe hanno questi signori musicisti e la musica di Tom Jobim, anche se inflazionata, è straordinaria.
La ripresa risale quasi certamente al 1964, anno in cui per l'Atlantic uscì un LP che ebbe una larga diffusione The Modern Jazz Quartet featuring Laurindo Almeida.

Due giganti: Count Basie e Oscar Peterson


Pubblicato lunedì 28 maggio 2007

Vedendo i commenti dei molti amici che spesso si "affacciano" a questa finestra sul jazz e la sua storia, ho constatato che i video dei grandi maestri sono molto apprezzati e mentre mi stò attrezzando tecnicamente per cominciare ad immettere video provenienti dalla mia collezione, continuo a pescare da YouTube.
Il nuovo video che propongo oggi ci consente di apprezzare un incontro straordinario: quello fra Count Basie e Oscar Peterson, due maghi della tastiera.
I due sono qui ripresi  in un concerto non meglio identificato, accompagnati dal solito N.H.O. Pedersen al basso e da Louie Bellson alla batteria, il brano eseguito dovebbe essere Slow Blues.


L'epoca di questo concerto dovrebbe essere fra il 1974 e il 1978, periodo in cui la Pablo di Norman Granz pubblicò tre o quattro albums dedicati a questi ripetuti incontri. In alcuni brani di questi dischi è possibile ascoltare Basie anche all'organo, strumento cui si dedicava raramente, ma sempre con risultati eccellenti.
Per chi fosse interessato ad approfondire questi incontri, cosa che consiglio vivamente, sui siti specializzati sono disponibili le riedizioni in CD della Original Jazz Classics di:
- Satch & Josh (1974)
- The Timekeepers (1978)
- Night Rider (1978)
tre albums che conservo con grande amore ed ascolto sovente; ne vale la pena.

Ancora su Enrico Rava

Pubblicato domenica 27 maggio 2007

Il video inserito in precedenza mi ha stimolato a realizzare questa pagina sul musicista italiano che maggiormente apprezzo. Finora avevo rimandato la cosa per la difficoltà di descrivere nel breve spazio di un post la poliedrica e intensa figura di Enrico Rava. Poi rovistando nei miei cassetti ho trovato come risolvere la faccenda: una lettera che nel 1985 scrissi ad un amico, che si stava convertendo al jazz e che non conoscendo nulla del "jazz made in Italy" mi chiedeva lumi e consigli. Inviandogli una prima cassetta con una compilation su Rava scrivevo:
"Come primo personaggio per il nostro corso di aggiornamento ho scelto il trombettista e flicornista Enrico Rava. Perché lui e non altri, come ad esempio D'Andrea, Gaslini, Trovesi, ecc.?
Per più di un motivo: Rava innanzitutto è il musicista italiano più cosmopolita e più conosciuto in campo internazionale; è vissuto a lungo negli Stati Uniti, ha suonato ed inciso con personaggi del calibro di Steve Lacy, Lee Konitz, Carla Bley Dollar Brand, Gato Barbieri, Don Cherry; ha fatto parte a lungo della "Globe Unity Orchestra", una delle più significative formazioni d'avanguardia degli anni '70 suonando con Albert Mangelsdorff, Antony Braxton, Evan Parker ecc., quindi quale musicista più indicato per un primo approccio al jazz italiano?
In secondo luogo Rava è stato in larga parte responsabile del mio improvviso interesse per il "jazz made in Italy". Prima di ascoltarlo per la prima volta dal vivo a Bergamo (la foto si riferisce a quell'epoca) posso dire che praticamente non lo conoscevo, come conoscevo poco o nulla gli altri musicisti italiani. Un pò snobbisticamente, pensavo che solo gli americani sapessero fare il vero jazz. Un paio d'anni fà durante un festival del jazz a Bergamo l'ascoltai come direttore e solista dell'orchestra jazz della RAI e rimasi colpito dalla sua sensibilità di compositore e dalle sue qualità di esecutore. Andando al concerto mi aspettavo la solita musica cervellotica, che piace tanto ai critici, invece ho ascoltato della musica piacevole, gioiosa, bella che mi ha entusiasmato, così ho cominciato a documentarmi meglio sul personaggio e, sinceramente, è stata una piacevole sorpresa.
Infine l'ultimo aspetto è che, se non ho capito male, anche tu sei un ammiratore del grande Miles e Rava per certi aspetti lo ricorda molto."
Dopo 22 anni quel mio entusiasmo per un artista che stavo imparando a conoscere è divenuto ammirazione totale e completa. Da allora gradualmente ho acquisito, anno dopo anno, quasi tutto ciò che di suo è stato immesso sul mercato ed ho assistito a numerose esibizioni dal vivo: è l'artista che, in assoluto, ho ascoltato di più dal vivo, in numerosi contesti.



Quando all'inizio dell'anno è uscito il suo nuovo CD The Days and the Words sono rimasto, ancora una volta, favorevolmente stupito dalla sua capacità di creare atmosfere sempre nuove, anche quando riprende temi a lui cari, presenti in altri dischi, come Secrets, ripreso dall'omonimo Cd (Soul Note, 1987) e che ritroviamo anche in Bella (Philology, 1996), oppure come il simpatico autoritratto Dott.Ra, and Mr.Va, ripreso, dopo trent'anni da The Plot (ECM 1976), nel quale egli scherzava sulle due facce della sua musicalità, allora più accentuate di oggi, quella romatica, melodica e quella più sperimentale.

Non volendo questa essere una recensione del CD (in rete ce ne sono a decine, fatte da persone più competenti di me) mi limito a segnalarlo a chi non lo conoscesse ancora.

Concludo riallacciandomi al mio amore per la musica brasiliana, già espresso in precedenza, che, anni fà scopersi essere condiviso da Rava. Infatti in un'intervista di diversi anni fà dichiarava: «Fin dall'età di 16 anni il mio grande amore è stato Joao Gilberto, un musicista che mi commuove e mi coinvolge totalmente», parole che allora come oggi avrei potuto pronunciare io.
Infine per gli amici una rarità discografica: un Fine and Dandy tratto dalla seduta di registrazione del 30 marzo 1960, che vide il debutto discografico di Rava, accompagnato dal trio del pianista Maurizio Lama. Il brano ha essenzialmente un valore storico e dimostra come già a vent'anni il nostro possedesse una buona padronanza dello stumento ed un elegante fraseggio.

Enrico Rava & Paolo Fresu


Pubblicato domenica 27 maggio 2007

Prendete un capolavoro come 'Round Midnight di Thelonious Monk, due strumentisti del calibro di Enrico Rava e Paolo Fresu, una ritmica stellare come quella composta da Stefano Bollani al piano, Enzo Pietropaoli al basso, Roberto Gatto alla batteria e il gioco è fatto.
Questo è il jazz, guys!!!!


Billie Holiday: Strange Fruit


Pubblicato il 21 maggio 2007

Il mio interesse per il jazz è rivolto, più o meno, a tutte le sue forme, però l'utilizzo della voce come strumento primario mi appassiona particolarmente, com'è possibile constatare scorrendo le pagine di questo blog, e se vi è un artista che più d'ogni altro ha usato, consapevolmente, la voce come strumento questi è la grande Billie Holiday. Questa consapevolezza la espresse lei stessa già nel 1939 in un intervista rilasciata a Dave Dexter su "Down Beat":
«... io non penso di cantare. Mi sembra di suonare la tromba. Cerco di improvvisare come Les Young, come Louis Armstrong o qualche altro che ammiro. Detesto il canto puro. Devo cambiare il tono e adattarlo a me. Ecco quello che faccio».
Billie Holiday è stata, a mio avviso,  la prima vera grande cantante di jazz e rappresenta, ancora oggi, un punto di riferimento che a quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa (avvenuta nel 1959 a soli 44 anni) non è stato ancora superato e forse nemmeno uguagliato e «... la sua voce singolarissima rimane uno dei monumenti più preziosi e inscalfibili al jazz, inteso nella sua essenza più profonda, luminosa». (L. Federighi, Cantare il Jazz, Laterza, 1986, p.69).
Il filmato che ho trovato, però, la presenta in veste più recitativa, da comedienne sofisticata (sempre citando Federighi), in una delle sue interpretazioni più famose e shoccanti: quello Strange Fruit, manifesto politico contro il linciaggio dei neri, rifiutato dala Columbia, che allora aveva Billie sotto contratto, e realizzato nel 1939 solo grazie al coraggio del patron della Commodore: Milt Gabler.

STRANGE FRUIT
(Musica e parole di Lewis Allan)

Southern trees bear a strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black body swinging in the southern breeze
Strange fruit hanging from the poplar trees
Pastoral scene of the gallant south
The bulging eyes and the twisted mouth
Scent of magnolia sweet and fresh
And the sudden smell of burning flesh!
Here is a fruit for the crows to pluck
For the rain to gather, for the wind to suck
For the sun to rot, for a tree to drop
Here is a strange and bitter crop.


Versione italiana mia
Gli alberi del Sud generano frutta strana
Sangue sulle foglie e sangue nelle radici
Un corpo nero oscilla nella brezza del Sud
Strana frutta pende dai pioppi
Scena pastorale nel Sud cortese
Gli occhi fuori dalle orbite e la bocca storta
Dolce e fresco profumo di magnolia
E all’improvviso odore di carne bruciata!
Ecco qui un frutto da far beccare ai corvi,
Da far impregnare di pioggia, da far spazzare via dal vento,
Da far marcire al sole, da far cadere dall’albero.
Ecco qui uno strano e amaro raccolto.



L'argomento, scabroso per l'epoca, non ne condizionò il successo e il brano rimase nel repertorio della Holiday fino alla fine della sua carriera.



Non sono riuscito a risalire all'epoca di questo filmato, ma si tratta, quasi certamente, degli ultimi anni della vita della cantante.
Nell'esecuzione di questo brano, negli anni, si sono, arditamente, cimentati decine di artisti, ma solo alcune di queste esecuzioni meritano di essere ricordate (fra quelle a me note):
Abbey Lincoln nell'album Abbey sings Billie vol.1 ci offre una sentita versione con un vigoroso assolo di batteria di Mark Johnson;
Carmen McRae in Lover Man ne dà una struggente versione accompagnata solo dalla chitarra di Mundell Lowe;
Nina Simone in Feeling Good si avventura in una esecuzione quasi fotocopia di quella del video appena visto;
Cassandra Wilson in New Moon Daughter cerca di modernizzarla con un sapiente uso della ritmica.
Particolare anche la versione di Sting accompagnato dall'orchestra di Gil Evans nello storico concerto a Umbria Jazz 1986.
Fra le versioni vocali, comunque, quella della Holiday del 1939 con l'ottetto del trombettista Frank Newton resta insuperata.
Concludo proponendo l'ascolto di una particolare versione, solo strumentale, eseguita nel 1941 da un trio composto da Sidney Bechet al sax soprano, Willie "the Lion" Smith al piano e Everett Barksdale alla chitarra.
Buon ascolto!