Body and Soul,
da più di 80 anni ormai, è uno dei motivi più battuti dai
musicisti e cantanti di tutto il mondo, una melodia senza tempo, un
evergreen, sempre in auge,
come dimostra il successo riscosso dalla versione realizzata lo
scorso anno dal grande vecchio Tony
Bennett con la compianta
rockstar Amy Winehouse.
Il
brano venne scritto, nell'autunno del 1930, dal compositore
statunitense Johnny Green, mentre si trovava a Londra ed era
destinato ad una diva molto famosa all'epoca, la cantante ed attrice
britannica Gertrude
Lawrence, musa
ispiratrice di grandi scrittori e compositori come il commediografo
Noël Coward, che scrisse per lei “Spirito allegro” o George
Gershwin, che la volle protagonista di una sua commedia musicale a
Broadway.
La
canzone, con le parole scritte da Heyman, Sour e Eyton, ebbe subito
un larga diffusione ed il primo a coglierne le potenzialità
jazzistiche fu Louis
Armstrong, che, sempre
nel 1930, ne incise una versione vocale e strumentale, la quale
sostanzialmente, però, restava legata alla linea melodica tipica di
una canzone sentimentale, in gergo torch song.
Nel
1939 Coleman Hawkins
ne registrò, per la Bluebird
(etichetta economica della RCA), una versione strumentale, rimasta
negli annali, che consacrò definitivamente questo brano come Jazz
ballad.
La
particolarità di questa esecuzione stava nel fatto che,
contrariamente alla consuetudine degli esecutori dell'epoca di
elaborarne l'interpretazione agendo sulla melodia, Hawkins costruì
il suo assolo su variazioni basate sulla struttura armonica, aprendo
la strada ad altri musicisti, che nel tempo, in particolare fra i
sassofonisti, ne realizzarono un'infinità di versioni (nel mio
piccolo, fra versioni vocali e strumentali, ne dispongo di alcune
centinaia).
Particolarmente
interessante quella del 1960 del complesso di Charles
Mingus. Oltre 10 minuti
in cui i principali solisti: Roy
Eldridge alla tromba ed
Eric Dolphy
al sax alto, combinano variazioni melodiche e accentuazioni ritmiche
con forti connotazioni blues.
Il
sassofonista Dexter Gordon
fu uno dei più prolifici, lasciandocene numerose versioni,
prevalentemente live, spesso molto diverse fra loro. Fra queste ne ho
scelta una della maturità registrata dal vivo fra il 1978 e il 1979
al Keystone Korner di
San Francisco con George Cables al piano, Rufus Reid al basso e Edde
Gladden alla batteria. Una lunga versione, con influenze coltraniane.
Lo
stesso Coltrane
si è cimentato con il brano fin dal 1960. Infatti nel corso della
prima seduta di registrazione Atlantic, quella dell'album My
Favorite Things, ne realizzò
ben due diverse tracce, che però non vennero pubblicate, per volontà
dell'artista, insoddisfatto del risultato. Solo nel 1964, quando
Coltrane non era più sotto contratto, la casa discografica ne
pubblicò una delle due, senza l'approvazione dell'artista,
nell'album Coltrane's Sound.
Nel
1965 durante un concerto a Seattle ne registrò dal vivo un'altra
lunghissima versione, più di 21 minuti, con un sestetto
comprendente, oltre ai soliti Tyner, Garrison e Jones, un altro
bassista: Dave Garrett e un altro sax tenore: quello di Pharoah
Sanders. La versione,
forse proprio per la sua lunghezza, non venne inclusa nel doppio LP
del concerto e venne pubblicata postuma solo nel 1994. Coltrane, Tyner e Sanders
si alternano in una serie di assolo che smontano e rimontano la
melodia come in una specie di percorso ad ostacoli. Si tratta della
interpretazione più radicale e ardita mai realizzata e, fino ad ora,
considerata la più originale e rivoluzionaria dopo quella di
Hawkins.
Di
seguito la versione integrale in due audio-video. Nel primo è
possibile ascoltare Coltrane seguito da Tyner, nel secondo ancora
Tyner e poi Sanders che conclude.
Naturalmente,
oltre ad ispirare versioni strumentali da parte di grandi interpreti,
la canzone ha continuato ad avere una vita propria, con significative interpretazioni vocali da parte dei più famosi
cantanti jazz e pop, da Billie Holiday a Frank Sinatra, da Ella
Fitzgerald a Mel Tormé, da Betty Carter a Cassandra Wilson, per
citarne solo alcuni.
Fra le tante disponibili ho scelto di proporne una, a mio avviso fra le più originali ed espressive, quella di Sarah Vaughan, incisa nel 1954 in cui è accompagnata da John Malachi al piano, Joe Benjamin al basso e Roy Hayes alla batteria. La sua straordinaria estensione vocale che spazia attraverso quattro ottave, dal baritono al soprano, ci offre una lettura impeccabile non solo per la bellezza della voce, ma anche per l'incomparabile sensibilità del suo fraseggio.
Concludiamo questa carrellata con una versione decisamente atipica. Nei primi anni '50 cominciò a diffondersi una nuova forma di canto jazz, che il critico Leonard Feather battezzò "vocalese", che consisteva nella adattare delle parole ad un brano, sulla base del suono e del ritmo. Uno dei pionieri di questo genere Eddie Jefferson nel 1952 riprese l'esecuzione di Coleman Hawkins del 1939, scrivendovi sopra un testo dedicato al sassofonista che riprendeva la musica nota per nota.
Don't you know he is the king of Saxophone
Yes ideed he is,
Talking 'bout the guy that made it sound so good,
Some people know him by "the Bean",
But Hawkins is his name,
He sure can swing and play pretty too,
Sounds good to me,
Should sound good to you,
I love to hear him playing Body and Soul,
......
Nel 1979 questo brano, all'epoca passato quasi inosservato, venne ripreso dai Mahnattan Transfer per ricordarne l'autore morto quell'anno, e venne incluso nel loro LP Extensions riportandolo all'attenzione degli appassionati.
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