domenica 28 ottobre 2012

I miei standards preferiti: My Old Flame (1934)


Questa celebre ballad, scritta da da Arthur Johnston con testo di Sam Coslow, venne eseguita per la prima volta dalla popolarissima attrice e cantante Mae West nel film Belle of the Nineties del 1934. La bella e procace signora era accompagnata al piano da Duke Ellington, attorniato da alcuni suoi musicisti in una rilassata atmosfera da club.



Inizialmente la produzione aveva rifiutato la presenza di Duke Ellington, ritenendo inammissibile che una cantante bianca fosse accompagnata da musicisti neri, l'orchestra doveva essere bianca. Al limite Ellington e i suoi potevano registrare la colonna sonora, ma in scena avrebbero dovuto apparire musicisti bianchi. Solo grazie alla testardaggine della West, che voleva assolutamente il  Duca, la presenza dell'orchestra venne accolta.



 Nello stesso anno Duke Ellington ne realizzò anche una versione discografica con la parte vocale affidata ad Ivie Anderson, all'epoca cantante dell'orchestra.


Per diversi anni, questa sembra essere l'unica incisione discografica in circolazione. Solo nel 1941 Benny Goodman riprese il brano con la sua orchestra, affidandone la parte vocale alla giovane Peggy Lee, all'epoca poco più che ventenne. La tromba dovrebbe essere quella di Billy Butterfield.


Nello stesso periodo anche Count Basie ne registrò una versione con la voce di Lynne Sherman. Alle versioni vocali, all'inizio tutte abbastanza simili, cominciarono ad aggiungersi versioni strumentali di maggior interesse jazzistico, grazie anche ad assolo di eccellenti musicisti.
Cronologicamente la prima versione che ho trovato è quella realizzata nel 1944 dall'orchestra del trombettista Cootie Williams (uno dei musicisti che suonavano con Ellington nel video di Mae West). 



Il piano che introduce il brano è quello di un giovane Bud Powell appena ventenne; l'altro solista, oltre al leader ed a Powell, è il tenorsassofonista Eddie "Lockjaw" Davis. La linea melodica viene inizialmente affidata alla tromba e in seguito viene rielaborata dal sassofono. Un primo elementare tentativo di novità rispetto alle prcedenti versioni vocali.


L'anno successivo una All Stars, guidata dal trombonista Bennie Morton, ne registrò un'altra interessante versione strumentale, in cui l'elaborazione solistica della linea melodica si fa più concreta. I solisti,  nell'ordine, sono: il clarinettista Barney Bigard (lo stesso che seduto sul pianoforte suona nel video iniziale della West), seguito dal trombone del leader, dal sassofono di Ben Webster e dal piano di Sam Beskin, con una breve chiusura sempre di Morton.


Dobbiamo però aspettare il 1947 per avere finalmente una versione jazzisticamente significativa: quella del quintetto di Charlie Parker comprendente un ancora acerbo Miles Davis alla tromba, Duke Jordan al piano, Tommy Potter al basso e Max Roach alla batteria, un'esecuzione rimasta memorabile.


Nel 1950 uno Stan Getz ventitreenne, appena uscito dal "gregge" di Woody Herman, in cui si era distinto come uno dei famosi Four Brothers, ne realizza una versione per solo sax e rhythm session decisamente originale e apprezzabile per la qualità improvvisativa. Il basso in evidenza è quello di Percy Heath, al piano Tony Aless e alla batteria Don Lamond.


Un'altra incisione di grande interesse per la sua particolarità è quella realizzata nel 1953 dal "piano less" quartet di Gerry Mulligan con Chet Baker alla tromba. L'interplay fra tromba e sax baritono è di grande efficacia e rende questa esecuzione una delle migliori mai realizzate. Chet rimarrà molto legato a questo standard, che eseguirà spesso nei suoi concerti, anche dopo aver lasciato Mulligan, e ne esistono numerose versioni registrate negli anni. Il quartetto Mulligan-Baker ne incise anche una versione cantata con la voce di Annie Ross.


L'anno seguente, 1954, il brano viene registrato dal trio di Oscar Peterson con Ray Brown al basso ed Herb Ellis alla chitarra e successivamente incluso nell'LP Pastel Moods



Un'elegante e sofisticata lettura che evidenzia le grandi qualità interpretative dei tre eccellenti solisti.




Nei decenni successivi numerosi artisti si cimentarono con questo standard, ma nessuna di queste interpretazioni, a mio avviso, regge il confronto con le ultime quattro presentate qui sopra. 
Una curiosità riguardo a questo brano è rappresentata dal fatto che, a quel che mi risulta, non esistono versioni vocali maschili ad eccezione di quella realizzata nel 1957 da Matt Monro, crooner inglese molto popolare negli anni '60, versione che però restò inedita fino al 2010, anno in cui fu inclusa in una speciale raccolta contenente tutti i suoi 45 giri, 25 anni dopo la morte.


Si tratta di una versione molto convenzionale, di scarso interesse, ricordata solo per completezza d'informazione, trattandosi dell'unica versione vocale maschile che ho reperito.
Prima di chiudere un breve cenno anche al jazz italiano in quanto anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo standard. Di seguito ne segnalo tre che ritengo fra le più significative.



La cantante Tiziana Ghiglioni nel suo album del 1983 Sounds of Love in cui è accompagnata da un trio d'eccezione con Kenny Drew al piano, N-H. Ø. Pedersen al basso e Barry Altschul alla batteria, ne offre una lettura piena di colore e sensibilità all'altezza delle migliori interpretazioni vocali del passato.



Nel 2005 il giovane sassofonista siciliano Francesco Cafiso, all'epoca solo sedicenne, con il suo New York quartet ne realizza, per il CD New York Lullaby, una lunga versione nella quale vengono messe in evidenza le sue indiscutibili doti tecniche ed improvvisative.


Nello stesso anno il pianista Enrico Pieranunzi ne incide una particolarissima versione contenuta nell'eccellente album Special Encounter 


L'elegante pianismo di Pieranunzi sostenuto dal virtuosismo del bassista Charlie Haden e dalla batteria discreta di Paul Motian trasforma questa ballad in un raffinato esercizio stilistico di grande effetto emozionale.


lunedì 22 ottobre 2012

Vecchi dischi da riscoprire: "Four" di Joe Henderson con il trio di Wynton Kelly.


Il sassofonista tenore Joe Henderson (1937 - 2001) appartiene a quella folta schiera di eccellenti strumentisti che, nel corso della loro carriera artistica, hanno dovuto confrontarsi con la presenza o il ricordo di figure mitiche, che con quello strumento hanno scritto pagine insuperabili: Coleman Hawkins, Lester Young, Ben Webster, Dexter Gordon, Stan Getz, Sonny Rollins, John Coltrane. Sette nomi che dalle origini ad oggi (Rollins è ancora vivo) hanno primeggiato e tuttora restano insuperati.


Ad Henderson, nonostante questo handicap, non erano mancate occasioni per mettersi in luce. Aveva preso parte a numerose sedute di registrazione, soprattutto con Blue Note a fianco di Eric Dolphi, Kenny Dohram, Andrew Hill, Freddie Hubbard, ecc., oltre ad alcune registrazioni a proprio nome.
Nella primavera del 1968, quando stava per compiere 31 anni, venne contattato a New York dal pianista Wynton Kelly, che gli propose di unirsi al suo trio, per un concerto da tenersi la sera del 21 aprile a Baltimora, presso la Left Bank Jazz Society. La richiesta lo colse di sorpresa, Wynton Kelly capeggiava da oltre dieci anni un trio con Paul Chambers al basso, e Jimmy Cobb alla batteria, un gruppo perfettamente collaudato.

Jimmy Cobb, Wynton Kelly, Paul Chambers

Infatti dopo essere stati dal 1959 al 1963 la rhythm session del quintetto di Miles Davis, con cui fra l'altro presero parte alla realizzazione dello storico Kind of Blue, avevano continuato ad esibirsi unicamente in trio.



Henderson racconta che, prima di accettare, ebbe qualche perplessità, temeva, non avendo mai suonato con loro prima, di non riuscire ad inserirsi adeguatamente in un gruppo così affiatato.
Per facilitare la cosa la scelta del programma della serata cadde su una serie di brani molti noti e nonostante i timori iniziali si instaurò subito un feeling straordinario e i risultato della serata fu strepitoso.
Il concerto venne registrato interamente, quasi due ore e mezzo di musica, ma i nastri rimasero chiusi in qualche cassetto per quasi 25 anni.
Nel 1994 la casa discografica Verve decise di pubblicare un Cd intitolato Four contenente una selezione di sei brani scelti fra i migliori della serata,


e finalmente gli appassionati poterono godere di quell'unico ed eccezionale connubio. La scelta del titolo non si riferisce solo al numero dei musicisti, ma anche al brano di Miles Davis eseguito dal gruppo. Il brano, scritto originariamente proprio per essere eseguito in quartetto, venne inciso da Davis per la prima volta nel 1954 con Horace Silver,  Percy Heath e Art Blakey. 
Nel video seguente è possibile ascoltare una parte dell'esecuzione tratta dal CD, contenente il lungo assolo di Henderson.


Di seguito proponiamo il brano di apertura del CD, il classico Autumn Leaves di Prevert-Kosma che sempre Miles Davis consacrò come jazz standard. 


Motivi di copyright non consentono di proporre l'intero album, che tuttavia è disponibile a prezzi contenuti in numerosi siti a partire da iTunes.

Il Cd riscosse a suo tempo un buon successo di vendite che la Verve pensò bene di sfruttare proponendo due anni dopo un secondo CD contenente i rimanenti brani della serata e intitolato Straight No Chaser. Anche questo secondo album è degno d'attenzione, ma non aggiunge niente di nuovo e può interessare solo come completezza di documentazione.






giovedì 11 ottobre 2012

Ricordo di Art Blakey (11 ott. 1919 - 16 ott. 1990)


Art Blakey nacque l'11 di ottobre del 1919 ed è deceduto il 16 ottobre 1990, solo cinque giorni dopo il suo 71° compleanno. Viene considerato uno dei maestri della batteria moderna.
Nel video seguente è possibile apprezzare la grande vivacità percussiva


Egli è stato anche uno dei protagonisti, con i suoi Jazz Messengers della importante stagione dell' Hard Bop, che rappresentò il risveglio del jazz "nero" ed inoltre fu uno straordinario scopritore di talenti. Nei suoi gruppi hanno militato negli anni moltissimi personaggi divenuti in seguito della star, da Cliford Brown a Wynton Marsalis, da Woody Shaw a Lee Morgan, da Horace Silver a Mal Waldron, da Wayne Shorter a Bobby Watson, solo per ricordarne alcuni.
Ripropongo qui un vecchio post nel quale è possibile ripercorrere, a grandi linee, l'evoluzione del suo gruppo più famoso che per decenni ha raccolto successi in tutte le parti del mondo.

http://gerovijazz-jazzfan37.blogspot.it/2011/12/il-messsaggio-dei-jazz-messengers.html


giovedì 4 ottobre 2012

The King of Swing at The Carnegie Hall (16 jan.1938)

Fra poco più di due mesi saranno trascorsi 75 anni da quella storica serata del 16 gennaio 1938 in cui, per la prima volta, il jazz entrò alla Carnegie Hall, fino ad allora considerata il tempio della musica classica. Questo evento di rottura avvenne grazie a Benny Goodman, che, nel corso dell'anno appena trascorso, aveva raggiunto dei vertici di popolarità impensabili per l'epoca, al punto da essere proclamato Re dello Swing, e paragonabili, fatte le debite proporzioni, a quelli di una rockstar di oggi.


L'avvenimento fece grande scalpore e rappresentò un punto di svolta nei programmi della sala da concerto newyorkese, che costituirà l'avvio di manifestazioni analoghe negli anni successivi. Duke Ellington, Charlie Parker, Billie Holiday, Miles Davis e molti altri, negli anni, si sarebbero esibiti su quel palcoscenico. 
Il successo fu strepitoso, nonostante il pubblico non fosse costituito dai giovanissimi fans del clarinettista, ma, prevalentemente, da signori della classe benestante in abito da sera e smoking, come si può constatare dal seguente video realizzato con filmati d'epoca.


Il critico del New York Times il giorno dopo scrisse che Benny Goodman, che indossava un elegantissimo frack, venne accolto dalla sala con un caloroso applauso, come se fosse stato Toscanini.
Il concerto venne registrato con un solo microfono posto in alto sopra il palco, e quelle registrazioni rimasero in un cassetto per oltre vent'anni. Finalmente con l'avvento del Long Playing la CBS ebbe l'idea di pubblicare l'intero concerto contenuto in due dischi da 33 giri, consentendo agli appassionati di godere di questo storico evento.




Il concerto si aprì con le note di Don't Be That Way eseguita dall'orchestra con gli assolo nell'ordine di Benny Goodman, Babe Russin al sax tenore, Harry James alla tromba e Gene Krupa alla batteria, entrambi accolti da scroscianti applausi, e infine Vernon Brown al trombone.


L'orchestra continuò con Sometimes I'm Happy, non incluso nel disco perché la registrazione era difettosa.
Il brano successivo era One O'Clock Jump, un omaggio a Count Basie, - presente quella sera e che più avanti prenderà parte alla jam session - con un lungo solo iniziale del pianista Jess Stacy, gli altri solisti sono nell'ordine Russin, Brown, Goodman e James.



La fase successiva del concerto prevedeva una specie di rassegna storica intitolata "Venti anni di Jazz" e per l'occasione all'orchestra si unirono alcuni famosi solisti: Bobby Hackett alla cornetta, e gli ellingtoniani Johnny Hodges al sax soprano, Harry Carney al sax baritono e Cootie Williams alla tromba. 
Vennero eseguiti brani storici per ricordare l'evoluzione del jazz dalle origini, aprendo con un omaggio alla Original Dixieland Jazz Band. Il brano scelto era Sensation Rag eseguita quasi alla lettera da Goodman con Gordon Griffin al sax ten., Vernon Brown al trombone, Gene Krupa alla batteria e Jess Stacy al piano.


Il brano successivo era I'm Coming Virginia, un omaggio a Bix Beiderbecke, con Bobby Hackett alla cornetta e Allan Reuss alla chitarra che esegue la parte che era di Eddie Lang.


Il jazz di Chicago degli anni '20 e l'orchestra di Ted Lewis sono l'oggetto con When My Baby Smiles at Me del successivo omaggio


Non poteva mancare un breve omaggio a Louis Armstrong con Shine eseguito da Harry James.


L'omaggio successivo è all'altro grande maestro: Duke Ellington, in questo Blue Reverie in cui emergono gli ellingtoniani Hodges, Carney e Williams con al piano Jess Stacy.


Segue un'autocelebrazione dell'orchestra, con questa poderosa esecuzione di Life Goes to Party. Il brano scritto da Harry James e Benny Goodman, era dedicato al magazine illustrato Life, che aveva pubblicato un ampio servizio fotografico di una tournée dell'orchestra.



La fase della rievocazione storica si conclude con un'affollata e lunga jam session sulle note di Honeysuckle Rose, il noto brano di Fats Waller. Sul palco salgono Count Basie, con alcuni suoi orchestrali: Lester Young, Buck Clayton, Freddie Green, Walter Page, gli ellingtoniani Johnny Hodges e Harry Carney e infine Benny Goodman con i suoi Harry James, Vernon Brown e Gene Krupa. Quasi un quarto d'ora di puro jazz nel quale i protagonisti si alternano in brillanti performances solistiche. 


La fase successiva è dedicata ai piccoli complessi di Goodman: il trio con Teddy Wilson e Gene Krupa ed il quartetto con l'aggiunta del vibrafono di Lionel Hampton. Il trio esegue una particolare versione di Body and Soul


Il quartetto segue con tre brani del proprio classico repertorio: Avalon


seguito da The Man I Love


per concludere con I Got Rhythm



Dopo il quartetto rientrò l'orchestra per un'ulteriore sequenza di brani, cominciando con un famoso standard Blue Skies, nell'elegante arrangiamento di Fletcher Henderson, aperto dalla sezione delle trombe, con l'intervento di Vernon Brown e successivamente quello di Adrian Rollini al sax tenore, di Harry James alla tromba e di Goodman.


Il brano seguente era un motivo tradizionale scozzese Loch Lomond, arrangiato da Claude Thornill e affidato alla voce di Martha Tilton, voce solista dell'orchestra. La tromba è sempre quella di Harry James.


Un altro noto standard di Rogers & Hart, arrangiato ancora da Flether Henderson, Blue Room con in evidenza la tromba di Gordon Griffin.


Segue un tipico brano goodmaniano Swingtime in the Rockies, tromba solista Ziggy Elman


conclude questa seconda parte dell'orchestra un brano particolare tratta da un musical Bei Mit Bist Du Schon, reso celebre dalle Andrews Sisters, qui ripreso da Martha Tilton e da Ziggy Elman.


Nel brano successivo si torna al trio con un altro suo popolarissimo tema China Boy con un vivace confronto tra la batteria di Krupa e i vibrafono di Hampton 


il quartetto invece si cimenta qui in un brano di solito eseguito dall'orchestra il famoso Stomping at the Savoy


e conclude con un vivacissimo Dizzy Spells, composizione collettiva del gruppo, che consente di valutare a pieno le qualità virtuosistiche dei componenti 


Per il gran finale torna l'orchestra con quel Sing, Sing, Sing brano entrato nella leggenda grazie, soprattutto, alla vulcanica esibizione di Gene Krupa.


Il successo fu travolgente, gli applausi si conclusero con una standing ovation e i bis furono più di uno. Nel album venne tuttavia riportato solo Big John's Special, un vecchio successo di Fletcher Henderson ripreso da Goodman e divenuto presto uno dei brani più noti dell'orchestra.


In conclusione uno storico avvenimento che ancora oggi è pienamente godibile nonostante siano passati 75 anni, la mia intera vita!!!

P.S.: un particolare ringraziamento va al canale Irh1966 di Youtube che ha avuto la pazienza di postare l'intero album con tracce di qualità molto buona.

mercoledì 26 settembre 2012

Dischi storici: Duke Ellington & John Coltrane (1962)

Il settembre 1962 è stato per Duke Elligton un periodo di intensa attività, nonostante la non più giovane età - aveva 63 anni - nel quale si è cimentato soprattutto come pianista al di fuori dell'orchestra. Nel giro di un paio di settimane realizzò infatti due dischi molto importanti per chi voglia conoscerlo in tale veste. Del primo Money Jungle, con Charlie Mingus e Max Roach, ho abbondantemente parlato nel post precedente, oggi presenterò il secondo Duke Ellington & John Coltrane, registrato esattamente 50 anni fa, il 26 settembre 1962 per la Impulse! Records.


John Coltrane all'epoca aveva 36 anni ed aveva raggiunto una grande notorietà grazie alla sua militanza con Miles Davis, prima e con un proprio quartetto, comprendente al piano il giovane talento emergente McCoy Tyner, poi. La sua musica all'epoca rientrava ancora nel canoni della "normalità", la svolta verso il free avverrà nel 1964 con la realizzazione di A Love Supreme.
Il Duca lo volle al suo fianco per questo nuovo cimento con un musicista molto più giovane e con un background musicale diverso, ma con il quale trovava nel blues un terreno comune.
Per la seduta di registrazione i due portarono con sé i rispettivi bassisti e batteristi: gli ellingtoniani Aaron Bell e Sam Woodyard e Jimmy Garrison ed Elvis Jones, membri del quartetto di Coltrane, i quali si alternarono e si mescolarono nelle sette tracce contenute nell'album.


Il brano di apertura è un classico ellingtoniano In a Sentimental Mood nel quale Coltrane, sostenuto da Ellington e da una ritmica molto discreta, si limita ad eseguire il tema senza particolari variazioni.


Segue un brano composto per l'occasione da Billy Strayhorn, alter ego del Duca, Take the Coltrane, giocando nel titolo con l'altro famoso brano ellingtoniano, sigla dell'orchestra. Il brano molto più vivace e swingante offre a Coltrane lo spunto per una ampia improvvisazione in alternanza con Ellington.


Il brano successivo è una composizione di Coltrane: Big Nick, scritta per l'occasione,  in cui egli si esibisce al sax soprano.




La prima facciata si chiude con Stevie un brano del Duca, composto anche questo per l'occasione. Un blues che consente ai due artisti di evidenziare le loro rispettive qualità esecutive.


Il lato B si apre con un'altra delicata composizione di Billy Strayhorn: My Little Brown Book nella quale ancora una volta si evidenziano il pianismo essenziale del Duca e gli eleganti fraseggi di Coltrane.


Il brano successivo è una seconda nuova composizione del Duca: Angelica, dal ritmo latineggiante, molto gradevole.


L'album si chiude con un brano tratto dal repertorio di Ellington: The Felling of Jazz, che potrebbe anche rappresentarne il sottotitolo,  per il grande affiatamento che si riscontra fra musicisti che non avevano mai suonato insieme prima.

Per concludere un altro pezzo di storia del jazz che dopo mezzo secolo è ancora tutto da ascoltare.

giovedì 20 settembre 2012

Dischi storici: Money Jungle di Duke Ellington (1962)


Money Jungle il famoso album di Duke Ellington in trio con Charlie Mingus e Max Roach in questi giorni compie 50 anni essendo stato registrato nel settembre del 1962. Un album insolito per il grande band leader che, per l'occasione, si cimenta in veste di pianista con due dei maggiori talenti dei rispettivi strumenti, considerati in bilico fra il post-bop e l'avanguardia, cosa che sorprese la critica e lasciò interdetti i puristi ellingtoniani.
Dei sette brani proposti, tutti composti da Ellington, solo due (Caravan e Solitude) sono la riproposizione di vecchi successi, mentre i rimanenti sono stati scritti per l'occasione e si differenziano dal normale stile ellingtoniano.
L'album si apre con la title track, una composizione blues con sapori più sperimentali


Il brano successivo è una ballad intitolata Les Fleurs Africaine (nota anche come Fleurette Africaine) che invece presenta  spunti impressionistici.


Segue il vivace bluesVery Special che dopo una breve introduzione del tema contiene un lungo assolo del Duca


Il brano che conclude la prima facciata è un'altra dolce balladWarm Valley, che in seguito verrà ripresa da Johnny Hodges


La seconda facciata si apre con il brano forse più convenzionale  dell'album: Wig Wise 


segue una versione particolarmente vigorosa del classico: Caravan 


l'album si chiude con un altro classico ellingtoniano: Solitude eseguito splendidamente dal trio.

Diversi anni dopo Charlie Mingus confessò in un'intervista che durante la seduta ebbe un violento alterco con Max Roach, e solo per il rispetto che nutriva per il maestro Ellington ritornò sulla decisione di abbandonare lo studio.
Molti anni dopo l'album venne rieditato in CD con una serie di altre tracce alternate o inedite che tuttavia nulla aggiungevano alla qualità di questo piccolo gioiello discografico.

martedì 18 settembre 2012

I miei standards preferiti: Blue Skies (1927)


Per questo decimo capitolo della serie dedicata agli standards ho pescato nello sterminato Songbook di uno dei più prolifici e geniali compositori: Irving Berlin (1888 - 1989) che fu anche paroliere di se stesso.


Nato in Siberia da genitori ebrei - il suo nome era Israel Baline -  quando aveva 4 anni i genitori dovettero emigrare negli USA, per sfuggire ad uno dei tanti sanguinosi progroms zaristi, e si stabilirono a New York dove egli intorno ai 20 anni iniziò la sua lunga e fortunata carriera, avviata quasi subito al successo con Alexander Ragtime Band del 1911.
Blue Skies invece è del 1927 ed ebbe una genesi casuale, infatti venne richiesta all'autore, all'ultimo momento, per completare le musiche di una rivista di Broadway, scritta da Rogers e Hart: Betsy.
Mentre il musical in sé fu tutt'altro che un successo e venne sospeso dopo solo una trentina di repliche, la canzone fin dalla prima serata venne accolta con straordinario calore dal pubblico che, alla fine dello spettacolo, chiese ben 24 bis.
La prima registrazione discografica venne realizzata da Ben Selvin e raggiunse subito il primo posto nelle vendite discografiche di quello stesso anno. Quella versione è presentata qui di seguito


La popolarità del brano era tale che, quello stesso anno, venne incluso anche nel primo film sonoro della storia del cinema The Jazz Singer, eseguito da Al Jolson.




Il successo, grazie ai dischi e al film, si estese anche all'Europa, dove la canzone venne ripresa ed incisa da Josephine Baker,




Da allora il brano è divenuto gradualmente un successo planetario eseguito della orchestre più famose e dai cantanti più illustri, raggiungendo più volte nelle varie interpretazioni i vertici delle classifiche discografiche.
Benny Goodman lo incluse nel suo repertorio fin dagli inizi e lo esegui anche nel famoso concerto del 1938 che per la prima volta fece entrare il jazz alla Carnegie Hall, fino ad allora tempio della musica classica.




Anche Duke Ellington, nei vari concerti che negli anni '40 tenne alla Carnegie Hall, ne presentò un particolare arrangiamento di Mary Lou Williams, intitolato Trumpet No End, che metteva in evidenza la sezione di trombe dell'orchestra. Di seguito l'esecuzione che chiudeva il concerto del 27 dicembre 1947. le trombe sono: Francis Williams, Al Killian, Shorty Baker e Shelton Hemphill.


L'orchestra di Tommy Dorsey ne affidava invece l'interpretazione alla voce della stella emergente dell'epoca: Frank Sinatra, qui in una incisione del 1941.



Il brano ebbe all'epoca, una certa diffusione anche in Italia grazie all'interpretazione di Gorni Kramer



che all'inizio degli anni '40 ne incise una versione con il suo complesso e che, per le note leggi contro le parole straniere, dovette intitolare: Cieli Azzurri.

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Nel dopoguerra la popolarità del brano rimase invariata per molti anni, grazie a numerose versioni, soprattutto vocali, che si susseguirono nel tempo.
Fra queste ne segnalo due, una femminile e una maschile, che a mio avviso, sono fra le più significative dal punto di vista jazzistico.




La prima è di Dinah Washington, dall'album  After Hours with Miss D del 1953 con, fra gli altri, Junior Mance al piano, Eddie"Lockjaw" Davis al sax tenore e Clark Terry alla tromba.



La versione maschile scelta è quella di Johnny Hartman dall'album All of Me del 1956


con l'orchestra di Ernie Wilkins comprendente, fra gli altri, Howard McGhee alla tromba, Lucky Thompson al sax tenore e Hank Jones al piano.




Nel 1978 la canzone ebbe una seconda giovinezza grazie al famoso folk-singer Willie Nelson, il quale, con una versione vagamente country, raggiunse i vertici delle vendite, rimanendovi per lungo tempo e l'album Stardust che comprendeva il brano vendette milioni di copie ed ancora oggi risulta fra i suoi più veduti.




In questi ultimi 30 e passa anni la canzone ha continuato ad essere riproposta, sia in versione strumentale, sia in versione vocale da numerosissimi artisti. Fra le diverse decine di esecuzioni più o meno brillanti ne ho scelto tre differenti per stile e qualità. La prima del 1994 vede Oscar Peterson, cimentarsi con il violinista classico Itzak Perlman. Due virtuosi dei rispettivi strumenti in una esecuzione che si differenzia da quelle più diffuse.


La cantante e band leader canadese Susie Arioli nel 2008 ne incluse una versione nel suo album "Night Light


che ebbe un discreto successo e venne spesso ripresa nei diversi concerti. Di seguito l'esecuzione al Festival del Jazz di Montreal del 2011. Una vivace versione Live che conferma la popolarità della canzone, nonostante i suoi 85 anni.


Concludiamo questa rassegna con una voce maschile, quella del crooner nostrano Mario Biondi con l'esecuzione tratta dal suo eccellente doppio CD dello scorso anno: Due.