venerdì 15 marzo 2013

I miei standards preferiti: Where Are You? (1937)


Questo eccellente standard ha, per me, la peculiarità, in quanto mio coetaneo, di consolarmi del tempo che passa. Composto nel 1937 da Jimmy McHugh (autore di celebri standards: Don't Blame Me, On the Sunny Side of the Street, Let's Get Lost,. ecc.) su testo di Harold Adamson, per la colonna sonora del film Top of the Town (infelicemente tradotto L'Inferno del Jazz). Un film nato con pretese da grande musical, ma che in realtà si rivelò un vero e proprio flop e che oggi è completamente dimenticato. Unica cosa positiva rimasta è questa canzone divenuta presto un classico jazz standard
Nel film la canzone era interpretata da una famosa star dei musicals dell'epoca: Gertrude Niesen, nel classico stile "torch song" di quegli anni.


Molto probabilmente questo brano sarebbe stato presto dimenticato se, sempre in quell'anno, non fosse uscita anche  una versione swing interpretata da Mildred Bailey, con in evidenza la tromba di Roy Eldridge.


Da allora il brano è stato ripreso da diversi cantanti e musicisti che ne hanno realizzato versioni molto interessanti. 



Subito dopo la guerra Billy Eckstine realizzò la prima versione maschile di successo, accompagnato da un gruppo di musicisti fra i quali spiccavano i giovani sassofonisti Sonny Criss e Wardell Gray.


L'inconfondibile caldo e sensuale crooning di Eckstine crea un appeal particolare a questa esecuzione.


 

Grande successo ebbe la versione del 1957 di Frank Sinatra con l'orchestra di Gordon Jenkins, che dette anche il titolo all'LP che la conteneva.



Se Eckstine è stato il più significativo esponente della vocalità afro-americana, Sinatra, dal canto suo ha rappresentato, con la sue eleganza formale ed espressiva, al meglio il canto popolare bianco ed il confronto fra queste due esecuzioni ne è l'esempio più lampante.


Sempre nel 1957 Ben Webster e Oscar Peterson ne incidono una versione strumentale di grande feeling, in cui la sensuale sonorità del sassofono di Webster crea un'atmosfera melodica particolare.


Questa straordinaria performance di Webster offre lo spunto ad altri sassofonisti per cimentarsi nell'esecuzione del brano, a partire da Dexter Gordon che nel 1962 ne registra una versione in quartetto con Sonny Clark al piano, Butch Warren al basso e Billy Higgins alla batteria. Una versione meno sensuale in cui, però, la creatività improvvisativa di Gordon si esprime a pieno.


 Sempre nel 1962 Sonny Rollins include questo brano nel suo storico album The Bridge, che segnava il suo rientro dopo l'inaspettato abbandono delle scene nel 1959 a soli 29 anni. Lo accompagnano Jim Hall alla chitarra, Bob Cranshaw al basso e Ben Riley alla batteria.


Questo è stato il primo LP di Rollins che ho comperato e che conservo ancora con cura e questa esecuzione è stata quella che prima di ogni altra mi ha fatto amare questo brano.




Il 1962 fu un anno particolarmente prolifico per questo standard. Anche The Queen of Blues Dinah Washington, a pochi mesi dalla sua prematura scomparsa, ne registrò una versione inclusa nell'album Dinah '62,  che divenne presto un vero Smash Hit, come evidenziato sulla copertina dell'album.


La straordinaria versatilità vocale della cantante conferisce al brano una forte intensità emotiva, certamente una delle migliori versioni femminili in circolazione.


L'anno seguente una giovane Aretha Franklin, appena 21enne e non ancora icona del Soul, con qualche incertezza stilistica che la induceva a spaziare fra jazz, pop, gospel e soul, ne realizzò una versione, che pur ispirandosi a quella di Dinah Washington, evidenziava già la spiccata personalità e la dirompente vocalità di colei che era destinata a raccoglierne il testimone.



Numerose altre versioni più o meno interessanti vennero prodotte nei decenni successivi che non è il caso di stare qui ad elencare. 
Nel 1991 l'altosassofonista italiana Cristina Mazza realizzò un album con Mal Waldron e Reggie Workman intitolato Where Are You?, ma il brano omonimo in esso contenuto non era il classico standard, ma bensì una composizione della stessa Mazza, che si ispira vagamente al noto brano.



In tempi più recenti il cantante statunitense Kurt Elling ne ha realizzata un versione apparsa sul suo album del 2007 Nightmoves


Una versione che, come egli stesso dichiara nella presentazione del video, si ispira a quella di Dexter Gordon. Anche il testo è leggermente diverso dall'originale. L'assolo di sax è di Bob Mintzer.



N.B. Il brano, nel 1968, venne incluso da Ella Fitzgerald, anche in una medley dl suo album 30 by Ella presentato nel post precedente.

domenica 10 marzo 2013

Vecchi dischi da riscoprire: 30 by Ella (1968)


Per un modesto fruitore della musica afroamericana come me, che fra i vari generi, prevalentemente, predilige il jazz vocale e gli standards, dovendo scegliere un disco che contemporaneamente soddisfi entrambe le categorie non può non optare per 30 by Ella (Capitol 1968)


Il disco contiene 36 fra i più noti standards del songbook americano, riuniti in 6 medley di 6 brani ciascuna di cui 5 cantati dalla Fitzgerald inframezzati da uno, strumentale, affidato ad un solista del gruppo di musicisti che l'accompagnano. Un gruppo di altissimo livello guidato da Benny Carter con Jimmy Jones al piano, Harry "Sweet" Edison alla tromba, George Auld al sax tenore, John Collins alla citarra, Bob West al basso e Panama Francis alla batteria.


Le medley, grazie al prezioso lavoro di arrangiamento di Benny Carter e degli altri componenti del gruppo, non sono una semplice sequenza di brani diversi, bensì un'armoniosa fusione che procede con continuità, come come fossimo di fronte ad un unico brano. Un impegno pesante e faticoso. La stessa Fitzgerald agli inizi pensò che l'idea di un disco tutto di medley fosse terribile e tremendamente difficile. La cosa richiese numerose sedute di registrazione, ma, alla fine, la cantante dichiarò che si trattava "del più bel album che abbia mai registrato".



L'ascolto di questa prima medley che si apre con My Mother Eyes e si chiude con Goodbye My Love, inframezzata dal soave sax alto di Benny Carter e dalla chitarra di Collins nel classico ellingtoniano I Got It Bad (and That Ain't Good), ci da subito l'idea della straordinaria qualità e della indiscutibile originalità di questo progetto.



Questa raccolta ha goduto in Italia di una certa diffusione ed è abbastanza conosciuta dagli appassionati, in quanto parzialmente riproposta (4 medley su 6) nel disco dedicato alla cantante nella serie I Grandi del Jazz, distribuito in edicola nei primi anni '80, mentre le due medley mancanti vennero incluse nel CD sempre dedicato alla cantante nella serie JAZZTIME.




La seconda tornata di standards, affrontata dopo il soddisfacente risultato della prima, si realizzò in un clima più disteso. Apre la serie Four or Five Times, eseguito con particolare verve da Ella che prosegue senza esitazioni nel più dolce Maybe, seguito dalla tromba di "Sweet" Edison supportato dalla chitarra di Collins, nel gradevole e romantico Taking a Chance on Love; Ella si reinserisce con il vivace Elmer's Tune, per proseguire, con lo stesso swing, con At Sundown e chiudere con It's a Woonderful World.


Quando affrontò questa difficile prova la Fitzgerald aveva compiuto da poco 50 anni ed era all'apice della maturità vocale ed artistica. Il video seguente, realizzato nello stesso anno, ce la mostra in tutta la sua forma smagliante.



La terza medley, a mio avviso, è una delle più coinvolgenti. Si apre con lo splendido On Green Dolphin Street, introdotto dalla tromba sordinata di Edison, per proseguire con il più impegnativo Am I to Know; il successivo Just Friends è affidato ancora a Edison e alla sua calda tromba. Ella riapre ispiratissima con I Cried for You cui fa seguito il suggestivo Seems Like Old Time per concludere in bellezza con You Stepped Out of a Dream.


Proseguiamo con altro video sempre del 1968, in cui Ella si cimenta anche in una medley molto apprezzata dal pubblico, nel quale è possibile cogliere la grande generosità della cantante sempre pronta a dare tutta se stessa per soddisfare il pubblico.



Gran parte del merito per il successo di questa ardita operazione va attribuita alla maestria di Benny Carter, uno dei più apprezzati strumentisti di tutta la storia del jazz, sia come solista di sax e di tromba, sia come band leader e arrangiatore. Nella seguente serie di standard è possibile apprezzarlo particolarmente nello strumentale Ebb Tide.  Apre la sequenza If I Gave My Heart to You seguito da un soave Once in a While; dopo l'assolo elegante di Carter, la Fitzgerald si inserisce nuovamente con un delicato The Lamp is Low seguito da Where Are You? per concludere più vivacemente con Thinking of You.


Nel video seguente è possibile apprezzare le straordinarie qualità esecutive di Benny Carter proprio in uno degli standards presenti anche nel disco.


Il penultimo gruppo di canzoni si apre con Candy, brano da anni nel repertorio della cantante, seguito da All I Do Is Deam of You che magicamente si fonde con il successivo Spring is Here eseguito dal sax tenore di George Auld; Ella si reinserisce con il vivace 720 in The Book per proseguire con il delizioso It Happened in Monterey e chiudere What Can I Say After I Say I'm Sorry.



Concludiamo questa panoramica con l'ultima serie comprendente altri sei gioiellini; Ella apre con uno splendido No Regrets seguito dallo spiritoso I Have Got a Feeling You're Fooling, che si fonde con il sensuale sax tenore di Auld in Don't Blame Me coadiuvato dalla chitarra di Collins. La Fitzgerald rientra con un Deep Purple molto suadente, per proseguire con il delicato Rain e chiudere disinvoltamente con You're A Sweetheart.


Un disco che non mi stanco mai di ascoltare e che consiglio vivamente a chi non lo conoscesse.

lunedì 4 marzo 2013

"Quantum Discord" (Altrisuoni 2012) esordio discografico a proprio nome del pianista Andrea Manzoni.


Il pianista biellese Andrea Manzoni, dopo una lunga gavetta non solo jazzistica, a 33 anni si è cimentato con il primo album a suo nome Quantum Discord, in trio con al basso Luca Curcio, di formazione punk-rock e alla batteria Ruben Bellavia con background classico. Album pubblicato lo scorso anno per l'etichetta svizzera Altrisuoni e che ha riscosso in quel paese molte recensioni positive. La rivista in lingua tedesca Jazz 'n' More gli ha attribuito il massimo punteggio (5 stelle).



Un album molto particolare, interamente di sue composizioni (tranne una suggestiva rilettura di 'Round about Midnight di Thelonious Monk), composizioni che spaziano oltre il jazz con spunti rock e classici, caratterizzate da titoli ricercati ed insoliti.



Nel suo complesso l'album va oltre il jazz e presenta una serie di contaminazioni che spaziano in universi paralleli. Un esempio nel seguente breve stralcio della suite per piano solo contenuta nell'album.


In una recente intervista Manzoni ha dichiarato di sentirsi "un pianista cross-over" essendosi dedicato a generi musicali diversi: dal rock al pop, dalla musica classica al jazz, ed in questo suo primo disco si intravede  una specie di sintesi della sua storia musicale.
Il citato omaggio a Thelonious Monk, che proponiamo di seguito, rappresenta il versante jazzistico più esplicito.


In sintesi un disco diverso, intrigante, pieno di pathos e di energia che mescola eleganti ballads a vivaci brani con sapori rock-funky, tutti di gradevolissimo ascolto. Un assaggio è offerto da questo stralcio del brano che apre il disco 32Days


Per saperne di più su questo interessante musicista

domenica 24 febbraio 2013

Fabrizio D'Alisera Quintet: Mr. Jobhopper (Alfamusic 2012)


Quest'ultimo week end, trascorso in casa bloccato su una poltrona a causa di un atroce mal di schiena, l'ho utilizzato per ascoltare alcuni nuovi dischi pervenutimi di recente.
Fra questi mi ha particolarmente attratto Mr. Jobhopper, disco di esordio del giovane sassofonista romano Fabrizio D'Alisera (classe 1979). 


Un album perfettamente strutturato, del quale il musicista ha scritto tutte le composizioni ed elaborato gli ottimi arrangiamenti, evidenziando una notevole sensibilità jazzistica ed elevata capacità creativa, spaziando da atmosfere hard-bop a soavi ballads, da spunti rock a suggestioni ellingtoniane.


Il tutto coadiuvato da una compagine di musicisti di eccellente livello, a cominciare da Tiziano Ruggeri, che si alterna alla tromba ed al flicorno con grande maestria e duetta con il leader creando sensazioni che, fatte le debite proporzioni, ricordano i Jazz Messengers.


Un altro aspetto interessante è la presenza alternativa di Karim Blal al piano o di Martino Onorato all'organo o al fender rhodes, a seconda dell'atmosfera del brano. Completano il quintetto Giulio Scarpato al contrabbasso e basso elettrico e Alessandro Marzi alla batteria, due strumentisti eccellenti molto attivi nel panorama jazzistico romano.
Nel video seguente è possibile vedere all'opera il quintetto in un recente concerto romano dedicato alla presentazione del disco. 




Per concludere: un disco d'esordio molto promettente che, come ha correttamente osservato l'estensore delle note di copertina, tiene conto della storia senza appiattirsi sui modelli.

venerdì 22 febbraio 2013

I miei standards preferiti: Speak Low (1943)


Questo standard, considerato una delle più belle canzoni d'amore di tutti i tempi, venne musicato dal compositore tedesco Kurt Weill, su testo del poeta statunitense Ogdan Nash, noto soprattutto per i suoi versi anticonvenzionali e spiritosi.
Un testo decisamente originale e suggestivo

Speak low when you speak love 
Our summer day withers away too soon, too soon 
Speak low when you speak love 
Our moment is swift, like ships adrift, we're swept apart, too soon 
Speak low, darling, speak low 
Love is a spark, lost in the dark too soon, too soon. 

I feel wherever I go 
That tomorrow is near, 
Tomorrow is here and always too soon, 
Time is so old and love so brief 
Love is pure gold and time a thief. 

We're late, darling, we're late, 
The curtain descends, everything ends too soon, too soon. 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, speak love to me and soon... 

I wait, darling, I wait, 
Will you speak low to me, 
Slow to me, oh please, 
Just don't say no to me 
Let it flow to me, slow to me 
Soon...Soon...Soon... 
Ooo...Soon...Darling, speak low to me 
Darling, speak slow to me... 
Oh, oh, oh!


Kurt Weill. celebre per le sue collaborazioni con Bertold Brecht negli anni '20 (Opera da tre soldi, Ascesa e caduta della città di Mahagonny, ...) con l'avvento del nazismo, essendo ebreo fu costretto a lasciare la Germania. Nel 1937 arrivò a New York dove cominciò a comporre musica per gli spettacoli di Broadway.


Speak Low venne scritta per un musical di grande successo One Touch of Venus dal quale venne tratto anche un film dallo stesso titolo (in italiano Il bacio di Venere) interpretato da Ava Gardner in cui canta il brano doppiata dalla cantante Eileen Wilson. 
La prima versione discografica di successo venne realizzata da Frank Sinatra nel 1945


Il successo fu immediato e duraturo grazie anche al film che consacrò Ava Gardner come star di prima grandezza. 


Da allora il brano venne ripreso sia in versione vocale, sia in versione strumentale da moltissimi artisti fino ai giorni nostri.
Tra le numerose versioni vocali, in prevalenza femminili, una delle più interessanti è quella latineggiante realizzata da Billie Holiday nel 1956 per la Verve, accompagnata dalla chitarra di Barney Kessel, dal sax di Ben Webster e dal piano di Jimmy Rowles.


Molto diversa per ritmo e atmosfera, ma altrettanto interessante, è la versione realizzata Live a Chicago nel 1958 da Sarah Vaughan accompagnata dalla sola sezione ritmica, comprendente Roy Haynes alla batteria, Richard Davis al basso e il poco noto, ma bravissimo, Ronell Bright al piano.



Dopo Billie e Sarah, per par condicio, non possiamo tralasciare la versione della terza regina: Ella Fitzgerald realizzata nel 1983 con il chitarrista Joe Pass



Molte altre cantanti famose da Anita O'Day a Carmen McRae, da Dianne Schurr a Barbra Streisand, da Dee Dee Bridgwater a Dianne Reeves, solo per citarne alcune, si sono cimentate nel tempo con questo motivo. Fra le versioni più recenti, a mio avviso, merita di essere ricordata quella elegante del grande vecchio Tony Bennett in compagnia della giovane talentuosa Norah Jones.


Una citazione particolare merita il video seguente nel quale il contrabbassista Charlie Haden si esibisce in assolo su un nastro in cui Kurt Weill esegue al piano e canta la sua canzone. Un'esecuzione veramente suggestiva.




Numerose sono state negli anni anche le versioni strumentali ed alcune fra le più interessanti vengono qui riproposte. La prima è quella del quartetto di Gerry Mulligan con Chet Baker del 1953 nella quale tromba e sax baritono si fondono con grande maestria.


Diversa ma altrettanto pregevole è la versione realizzata nel 1958 dal quintetto del sassofonista Hank Mobley con Lee Morgan alla tromba, Wynton Kelly al piano, Paul Chambers al basso e Carl Pership alla batteria. Interresante confrontare il lirismo di Baker con il calore di Morgan. Molto intenso anche l'assolo di Mobley.



Più o meno nello stesso periodo John Coltrane ne incise un'altra originale versione con il sestetto del pianista Sonny Clark comprendente anche Donald Byrd alla tromba, Curtis Fuller al trombone, Paul Chambers al basso e Art Taylor alla batteria.



Un'altra eccellente interpretazione è quella tratta dall'album Crosscurrents del 1977 del trio di Bill Evans assieme a Lee Konitz al sax alto e Warne Marsh al sax tenore. Il bassista è  Eddie Gomez ed alla batteria c'è Elliot Zigmund.



Anche diversi musicisti italiani, nel tempo, si sono cimentati con questo brano. In particolare ricordiamo la strepitosa versione di Massimo Urbani nel suo doppio LP Dedication to A. A. & J. C. - Max Mood del 1980 in cui, alla sua maniera, si ispira a quella di Coltrane. Lo accompagnano Luigi Bonafede al piano, Furio Di Castri al basso e Paolo Pelegatti alla batteria.


In tempi più recenti il quintetto del batterista Roberto Gatto, nel suo secondo CD dedicato a Shelly Manne, ne propone una bellissima versione con in evidenza il sax di Max Ionata e la tromba di Marco Tamburini.


Concludiamo infine questo breve excursus con la voce della compianta Mia Martini, che incluse questo brano nella sua unica esperienza jazzistica Live, in cui era accompagnata da Maurizio Giammarco. Da quell'esperienza venne realizzato nel 1991 l'album Mia Martini in Concerto.

domenica 6 gennaio 2013

Magici incontri: Ben Webster e Gerry Mulligan (1959)


La storia del jazz è  costellata di mitiche jam sessions, di incontri fra artisti di provenienza diversa, di scontri all'ultima nota fra virtuosi di strumenti diversi o dello stesso strumento, con o senza accompagnamento ritmico. Un mare sterminato di perle rare, sovente uniche, in cui pescare. 
Oggi la mia attenzione si è concentrata su due "numeri uno": Ben Webster e Gerry Mulligan, appartenenti a due diverse generazioni, il primo era nato nel 1909 il secondo nel 1927.
Webster era considerato, con Coleman Hawkins e Lester Young, uno dei massimi sassofonisti dell'era swing e giunse all'apice della fama nei primi anni '40, quando militava nell'orchestra di Duke Ellington, con la quale è stato ripreso nel video seguente mentre esegue Cotton Tail, il suo cavallo di battaglia.



Mulligan è stato, invece, alla fine degli anni '40, con Gil Evans, John Lewis e Miles Davis, uno dei protagonisti del cosiddetto cool jazz e dopo la scomparsa di Serge Chaloff divenne anche il capofila fra i suonatori del sax baritono. Negli anni '50 raggiunse i vertici della popolarità grazie allo storico quartetto "senza pianoforte", in cui, per un certo periodo, suonò anche Chet Baker. Nel video seguente il quartetto nella versione con Art Farmer alla tromba.



Alla fine del 1959 i due, che pur avendo già suonato insieme in altre occasioni non avevano mai realizzato un disco insieme, vennero chiamati da Norman Granz, patron della Verve, che affiancò loro una ritmica composta da Jimmy Rowles al piano, Leroy Vinnegar al basso e Mel Lewis alla batteria. Nel corso di diverse sedute vennero realizzate ben 22 tracce, con numerose alternates, dalle quali vennero scelte le sei considerate migliori che confluirono nell' LP intitolato Gerry Mulligan meets Ben Webster.


La maggior evidenza data a Mulligan era dovuta al fatto che la star del momento era lui. Nelle edizioni successive la disparità venne eliminata.
Il primo brano scelto fu lo splendido Chelsea Bridge di Billy Strayhorn in un'esecuzione emozionante e piena di fascino come si può appurare dal seguente file audio/video. Apre con la sua sinuosa sensualità Webster, con sottofondo pulsante di Mulligan, il quale poi prosegue con un sound più robusto, mente rientra, nella parte finale, Webster con una tonalità più scura fino a concludere poi con il ritorno in sottofondo di Mulligan. Un pezzo da antologia.



Il secondo brano era una composizione scritta per l'occasione dai due: The Cat Walk, nel quale, dopo un inizio all'unisono, il primo assolo è di Webster, seguito da Rowles, da Vinnegar, da Mulligan e da Lewis, per concludere nuovamente all'unisono. Brano meno affascinante del precedente, ma che evidenzia le qualità dei singoli.


Il terzo brano scelto per chiudere il Lato A dell'LP originale era un popolare standard degli anni '20: Sunday, che possiamo ascoltare di seguito. (Il titolo indicato nel video è grossolanamente errato, ma era l'unico file disponibile con il brano interessato). Dopo un'apertura stride di Rowles e un unisono, questa volta il primo vivace assolo è di Mulligan, seguito nuovamente dal pianista e da un Webster particolarmente ispirato, per finire ancora con un unisono. Un altro pezzo da collezione.



Il lato B si apriva con una briosa composizione di Mulligan Who's Got Rhythm, che è possibile apprezzare nel seguente file, preso dalla stessa fonte del precedente con relativo titolo sbagliato, ma la qualità del sonoro merita la scelta. Il brano, dopo l'apertura della rhythm session, prosegue con un dialogo fra i due sassofoni col sottofondo del basso di Vinnegar, cui fanno seguito in sequenza gli assolo di Webster, Rowles, Mulligan, Vinnegar e riprende nel finale col dialogo fra i sassofoni con incursioni della batteria di Mel Lewis. Un gioiellino scritto da Mulligan per evidenziare le qualità dei singoli.



Il brano successivo era una soave composizione di Mulligan Tell Me When, quasi certamente pensata per esaltare la sensuale musicalità di Webster. Una delicata ballad in cui, dopo alcune battute introduttive di Rowles, Webster sfodera tutta la sua affascinante sensibilità con Mulligan in sottofondo, un omaggio compositivo al collega più anziano.


 

Il disco originale si concludeva con un'altra composizione dei due protagonisti Go Home che, anziché con il solito file musicale, presentiamo con un video tratto da uno show televisivo, in cui è possibile vedere i cinque protagonisti eseguire questo brano in una versione che, per esigenze televisive, è molto più breve di quello del disco, ma che resta comunque apprezzabile. La data è il 9 dicembre 1959 e non il 1962 come indicato nell'intestazione.


Fra i diversi brani rimasti inizialmente inediti e pubblicati solo in tempi più recenti, due almeno meritano di essere ricordati, si tratta dell'ellingtoniano In a Mellow Tone e del classico standard di Cole Porter What Is This Thing Called Love
Nel primo i due sassofoni inizialmente dialogano poi seguono gli assolo di Webster, Rowles e Mulligan per chiudere con un ulteriore dialogo. Un'esecuzione abbastanza di routine, senza particolari guizzi, che giustifica le perplessità di Mulligan sulla sua pubblicazione.


Nel classico standard di Cole Porter, invece, prima Mulligan, poi Rowles ed infine Webster si cimentano in eccellenti assolo per chiudere con un originale fraseggio finale. In questo caso l'iniziale esclusione resta meno comprensibile.



In quel dicembre del 1959 il quintetto oltre a riunirsi in sala d'incisione di esibì più di una volta in pubblico. Dopo la partecipazione allo show televisivo si esibì anche al  Renaissance di Los Angeles assieme al noto bluesman Jimmy Witherspoon, concerto che venne in seguito pubblicato in un album ben noto agli appassionati.

 

Concludiamo questa pagina con un brano tratto da quel concerto


mercoledì 5 dicembre 2012

I miei standards preferiti: It Might As Well Be Spring (1945)


Questa soave ballad venne scritta nel 1945 dal celebre duo Rodgers & Hammerstein II per il loro unico musical scritto direttamente per il cinema: State Fair (titolo italiano: Festa d'amore) in cui veniva cantata da Louanne Hogan, che prestava la voce alla protagonista Jeanne Crain. Nel video seguente posiamo vedere la sequenza interessata.


La canzone divenne subito popolarissima e venne premiata con l'Oscar come miglior canzone originale dell'anno. Questo riconoscimento ne aumentò il successo e indusse molti cantanti a registrarla.
Fra le numerose esecuzioni vocali, sia maschili sia femminili, di seguito ne ricordiamo alcune, cominciando con Sarah Vaughan, che dopo averne registrata, appena ventiduenne, una versione nel 1946  con l'orchestra di John Kirby, ne incise un'altra, jazzisticamente più interessante, nel 1950 accompagnata da un gruppo comprendente fra gli altri Miles Davis e che è possibile ascoltare qui di seguito


Molte altre famose voci femminili si sono cimentate negli anni con questa canzone, come ad esempio una giovane Nina Simone che nel 1959 la incluse in uno dei suoi primi LP The Amazing Nina Simone,


che rimase la sua unica interpretazione del brano, almeno su disco, e che possiamo ascoltare in questo video. Un'interpretazione intensa che la differenzia da quelle un pò "sdolcinate" di molte altre colleghe.



Nel tempo questa canzone non ha per nulla perso il suo appeal e nei suoi quasi settant'anni di vita è stata interpretata da decine e decine di cantanti. Ricorderò qui solo alcune versioni che in qualche modo si differenziano dalle interpretazioni più "classiche" come quella latineggiante di Astrud Gilberto del 1964 tratta dall'album Getz/Gilberto#2 (Live at Carnegie Hall) in cui troviamo anche Stan Getz, Joao Gilberto e Gary Burton.


Un'altra originale ed accattivante versione è quella realizzata nel 1997 da Cassandra Wilson per l'album Rendezvous con il pianista Jacky Terrasson.


Una lettura decisamente fuori dagli schemi consueti della canzone con eccellenti spunti jazzistici, grazie anche al contributo della  ritmica composta, oltre che dal pianista, dal basso di Lonnie Plaxico e dalle percussioni di Mino Cinelu.




In tempi più recenti alcune giovani cantanti emergenti si sono cimentate con il brano dandone, a volte, versioni jazzisticamente interessanti, come la giovane Sophie Milman (classe 1983), russo-israeliana che vive in Canada e che nel 2007 la incluse nel suo CD Make Someone Happy. Nel video seguente la versione live ripresa in concerto a Montreal.



Molto meno numerose sono le interpretazioni vocali maschili, nonostante la prima versione discografica in assoluto sia stata quella del cantante Dick Haymes, uno degli interpreti del film, all'epoca molto conosciuto grazie ad un popolarissimo programma radiofonico che conduceva insieme alla cantante Helen Forrest.
In particolare merita qui di essere ricordata l'interpretazione di Frank Sinatra del 1961 contenuta nell'album Sinatra & Strings.


Le innegabili qualità musicali della canzone sono all'origine anche di numerosissime interpretazioni strumentali jazzisticamente molto interessanti. La suadente melodia ha, in particolare, attirato l'attenzione di molti pianisti da Oscar Peterson a George Shearing, da Bill Evans a Kenny Drew, ecc. A mo' di esempio ne ho scelte due: una, più datata, di Erroll Garner risalente ai primi anni '60



e una più recente di Brad Mehldau tratta dall'album The Art of the Trio vol. V - Progression del 2001.


I circa quarant'anni che dividono le interpretazioni di questi due straordinari pianisti dimostrano come il brano costituisca sempre una eccellente fonte d'ispirazione. 
Fra le altre numerosissime interpretazioni non pianistiche ne ricordiamo di seguito solo alcune ritenute maggiormente meritevoli d'attenzione.
nel 1953 Clifford Brown ne incise una a Parigi accompagnato da musicisti locali in cui, al solito, evidenzia le sue doti di creatività improvvisativa.



Un'altra eccellente lettura, al flicorno, è quella di Art Farmer nell'abum del 1975 in cui è accompagnato dal Super Jazz Trio di Tommy Flanagan e anche in questo caso le capacità solistiche dei componenti del gruppo sono pienamente evidenziate.


Chiudiamo con il tenor-sassofonista Gene Ammons che nel 1958 incluse il brano nel suo album Groove Blues, accompagnato dal trio di Mal Waldron. Nelle note del video viene erroneamente indicata la presenza di John Coltrane, che pur avendo preso parte alla seduta d'incisione dell'album, in questo brano non suona, lasciando ad Ammons l'intera scena solistica.